Israele

Corte Penale Internazionale: mandati di arresto per Netanyahu e Gallant e respingimento dei ricorsi di Israele

La sede della Corte Penale Internazionale ne L'Aia, Paesi Bassi.
© Vincent van Zeijst

Giovedì 21 novembre 2024, la Camera preliminare I della Corte penale internazionale (CPI) ha emesso due decisioni cruciali per la situazione nello Stato di Palestina. All’unanimità, la Camera ha respinto le richieste presentate da Israele ai sensi degli articoli 18 e 19 dello Statuto di Roma e ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant.

Israele aveva contestato la giurisdizione della Corte sulla situazione in Palestina e sui cittadini israeliani, richiedendo anche che la Procura notificasse nuovamente l’avvio dell’indagine. Tuttavia, la Camera ha stabilito che la giurisdizione territoriale della Corte si estende alla Palestina, come precedentemente deciso, e ha ritenuto prematura la contestazione di Israele, poiché lo Statuto non consente tale ricorso prima dell’emissione di un mandato di arresto.

Quanto alla richiesta di una nuova notifica dell’indagine, la Corte ha ricordato che Israele era stato informato nel 2021 e aveva scelto di non agire in quella fase. Pertanto, non vi erano ragioni per sospendere i procedimenti in corso, inclusi i mandati di arresto per Netanyahu e Gallant.

I mandati di arresto emessi riguardano presunti crimini commessi dai due esponenti politici israeliani, tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, durante il conflitto in Gaza. La Camera preliminare ha riscontrato fondati motivi per accusare Netanyahu e Gallant di crimini contro l’umanità e crimine di guerra.

Secondo la Corte, Netanyahu e Gallant hanno agito consapevolmente per impedire aiuti umanitari, violando il diritto internazionale umanitario. Tali azioni avrebbero causato malnutrizione, disidratazione e sofferenze gravi alla popolazione civile, con un impatto devastante su ospedali e infrastrutture essenziali. La Camera ha sottolineato che le restrizioni erano motivate politicamente e non da necessità militari.

Queste decisioni segnano un importante sviluppo nei procedimenti della CPI e pongono ulteriori interrogativi sulla responsabilità e il rispetto del diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese.
 

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