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Kenya e Corte penale internazionale: la Camera Preliminare conferma l’ammissibilità dei due casi di crimini contro l’umanità nel contesto delle violenze post-elettorali del 2007-2008

Una panoramica dell'aula vuota della Corte Penale Internazionale a L'Aia
© ICC/CPI

Il 30 maggio 2011 la Camera Preliminare II della Corte penale internazionale ha rigettato il ricorso presentato dal Governo del Kenya diretto a contestare l’ammissibilità dei due casi, attualmente in esame presso la Corte, collegati alle violenze post-elettorali che hanno sconvolto il paese africano a cavallo tra il 2007 e il 2008.

I due casi oggetto del ricorso riguardano sei cittadini kenioti, di cui tre appartenenti all’Orange Democratic Movement (ODM), partito sconfitto alle elezioni, e tre esponenti del Governo membri del partito vittorioso, il Party of National Unity (PNU), nei confronti dei quali il Procuratore Luis Moreno-Ocampo aveva nel marzo di quest’anno ottenuto altrettanti ordini di comparizione in quanto sospettati di aver commesso crimini contro l’umanità nei confronti dei rispettivi avversari politici e della popolazione civile. Tutti gli accusati, comparsi volontariamente di fronte alla Corte il 7 e 8 aprile 2011, sono in attesa delle udienze di convalida delle accuse già fissate per il prossimo settembre.

Nel ricorso presentato, il Kenya, oltre a manifestare la volontà di perseguire coloro i quali si fossero macchiati di crimini durante il periodo post-elettorale, sosteneva di essere perfettamente in grado di esercitare le proprie prerogative sovrane in materia di esercizio dell’azione penale. A sostegno di queste affermazioni, il governo di Nairobi invitava la Camera Preliminare a considerare, in primo luogo, la profonda portata dalle riforme del sistema costituzionale e giudiziario adottate nel 2010, il cui effetto sarebbe stato quello di sanare debolezze e carenze dell’amministrazione della giustizia del paese africano e, secondariamente, il complesso di inchieste ed indagini già avviato nel paese sui fatti in questione.

La Camera Preliminare, nel decidere il ricorso, ha interpretato i parametri di ammissibilità delineati dall’articolo 17(1)(a) conformemente al criterio same person/same conduct, contrariamente a quanto era stato fatto dal governo del Kenya, per il quale appariva sufficiente aprire indagini nei confronti di individui aventi posizioni gerarchiche analoghe a quelle dei sei accusati. Quest’ultima presa di posizione, oltre a far sorgere alcuni dubbi sulla reale volontà del Kenya di investigare e perseguire i sei soggetti attualmente coinvolti nelle indagini della Corte penale internazionale, ha reso la Camera Preliminare poco incline a dare credibilità alle assicurazioni del governo ricorrente in merito all’esistenza di attività investigative attualmente in corso nei confronti di tali individui.

Non avendo quindi il Governo del Kenya fornito sufficienti informazioni e prove concrete a sostegno delle proprie affermazioni, la Camera Preliminare ha concluso che “there remains a situation of inactivity and, consequenlty, that it cannot but determine that the case is admissible”.

Questa pronuncia, per la quale il governo del Kenya è già ricorso in appello, appare di particolare importanza nel processo di definizione ed applicazione concreta del principio di complementarità, su cui in sostanza si fonda la nozione stessa di giurisdizione della Corte.

Essa si inserisce anche nella difficile dialettica che negli ultimi anni, in particolar modo a seguito del mandato di cattura a carico del Presidente sudanese Al-Bashir, ha caratterizzato i rapporti della Corte penale internazionale con un certo numero di Stati Africani. Non si può non ricordare infatti come a margine del ricorso del Kenya alla Corte, ci sia stato un tentativo dello stesso paese di far approvare dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un deferral ai sensi dell’articolo 16 dello Statuto, in grado quindi di bloccare l’azione della Corte per 12 mesi.   

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