La Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati
Venerdì 19 luglio, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha emesso il suo parere consultivo sulle conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati e sulle conseguenze della condotta di Israele per gli altri Stati, a seguito di un processo durato 18 mesi che ha previsto udienze pubbliche a cui hanno partecipato più di 50 Stati, tra cui la Palestina, e tre organizzazioni internazionali. Il parere consultivo, atteso da tempo, afferma che l'occupazione israeliana dei territori palestinesi è una chiara violazione del diritto internazionale.
Il 30 dicembre 2022, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/RES/77/247 con la quale ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di esprimere un parere consultivo su due questioni. Tali questioni riguardano in primo luogo le conseguenze giuridiche derivanti da alcune politiche e pratiche di Israele in quanto potenza occupante in una situazione di occupazione belligerante dal 1967. In secondo luogo, riguardano il modo in cui tali politiche e pratiche influenzano lo status giuridico dell'occupazione alla luce di alcune norme e principi del diritto internazionale e le conseguenze giuridiche che derivano da tale status.
Israele considera la Cisgiordania un territorio conteso, il cui futuro dovrebbe essere deciso nei negoziati, sebbene vi abbia trasferito popolazioni nelle colonie per consolidare la propria posizione. Inoltre, ha annesso Gerusalemme est con una procedura non riconosciuta a livello internazionale, mentre si è ritirato da Gaza nel 2005 pur mantenendo il blocco del territorio a seguito della presa di potere di Hamas nel 2007. La comunità internazionale considera generalmente tutte e tre le aree come territori occupati.
Nel suo parere consultivo, la CIG ha concluso che la continua presenza di Israele nei Territori palestinesi occupati è illegale, ritenendola contraria al divieto dell'uso della forza nelle relazioni internazionali e al suo principio correlato di non acquisizione del territorio con la forza. Questa violazione ha un impatto diretto sulla legalità della continua presenza di Israele, come potenza occupante. La Corte ritiene che Israele non abbia diritto alla sovranità o all'esercizio di poteri sovrani in nessuna parte dei Territori Palestinesi Occupati a causa della sua occupazione.
La Corte ha anche esaminato la questione delle conseguenze legali derivanti dall'adozione da parte di Israele di leggi e misure discriminatorie nei confronti dei palestinesi. Questa differenziazione di trattamento non può essere giustificata con riferimento a criteri razionali e oggettivi né a un obiettivo pubblico legittimo. Di conseguenza, la Corte ritiene che questo regime di restrizioni globali costituisca una discriminazione sistemica basata, tra l'altro, sulla razza, la religione o l'origine etnica, in violazione del diritto internazionale.
La Corte si sofferma poi sugli effetti delle politiche e delle pratiche di Israele sull'esercizio del diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese. A questo proposito, la Corte ritiene che, a causa delle politiche e delle pratiche israeliane, che durano da decenni, il popolo palestinese sia stato privato del suo diritto all'autodeterminazione per un lungo periodo, e che un ulteriore prolungamento di queste politiche e pratiche comprometta l'esercizio di questo diritto in futuro. Per questi motivi, la Corte ritiene che le politiche e le pratiche illegali di Israele violino l'obbligo di Israele di rispettare il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione.
La Corte ritiene che l'occupazione non possa essere utilizzata in modo tale da lasciare indefinitamente la popolazione occupata in uno stato di sospensione e incertezza. Alla luce del parere della CIG, tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali (comprese le Nazioni Unite) hanno l'obbligo di non riconoscere come legale “la situazione creata dalla presenza illegale dello Stato israeliano nei territori palestinesi” e di non inviare “aiuti o assistenza” che possano garantire la sopravvivenza degli insediamenti.