Un commento del Prof. Antonio Papisca al Messaggio di Giovanni Paolo II


Un commento di Antonio Papisca
- al Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2005

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(buona parte del testo è pubblicata nella Rivista “Il Segno”, della Diocesi di Milano, gennaio 1/2005)

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“Il male non si sconfigge con il male … La pace è un bene da promuovere con il bene”. Questo monito riassume il senso profondo del Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2005. Con altre parole, il senso è che la guerra non si sconfigge con “guerra alla guerra” e che la pace si costruisce prevenendo i conflitti, perseguendo obiettivi di giustizia sociale ed economica, cooperando per lo sviluppo umano, disarmando, facendo funzionare gli organismi multilaterali.

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All’inizio del suo Messaggio il Papa attira l’attenzione sul mistero dell’iniquità nel mondo, un mondo sempre più interdipendente e globalizzato in cui, stando ad elementari principi di razionalità e di buon senso comune,la soluzione di certi problemi che affliggono l’umanità sarebbe a portata di mano: per esempio, basterebbe il 5% della spesa annuale per armamenti per salvare ogni anno la vita di 5 milioni di bambini.E invece così non avviene, nonostante le opportunità di bene che si sono moltiplicate soprattutto negli ultimi decenni.

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A partire dalla fine della seconda guerra mondiale del secolo scorso il mondo è stato dotato di strumenti di per sé idonei a perseguire efficacemente obiettivi di pace e di giustizia per la vita di tutti nel pianeta: si pensi soprattutto all’ONU, al sistema delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite (dall’Unesco alla Fao, dall’Organizzazione internazionale del lavoro all’Organizzazione mondiale della sanità), al riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani che si è venuto sviluppando a partire dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale del 1948. Si pensi alla miriade di organizzazioni non governative e di gruppi di volontariato che operano per scopi di promozione umana al di là e al disopra delle frontiere degli stati.

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Il mondo può essere paragonato a una casa ricca di sofisticati elettrodomestici, che però funzionano sotto tono o addirittura sono inattivi. Di chi la colpa? Non certo degli elettrodomestici, ma di chi non li fa funzionare adeguatamente e preferisce portare avanti quella sinistra strategia che ha il nome di “disintegrazione controllata” e che ha come bersaglio l’assetto di ordine mondiale – multilaterale, di sicurezza collettiva, di sviluppo umano - il cui DNA sta nella Carta delle Nazioni Unite e nel Diritto internazionale dei diritti umani. Le disastrose conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: basti pensare alla dilagante insicurezza e alla povertà che avanza anche nei paesi cosiddetti ad economia sviluppata.

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Di chi la responsabilità principale? Nel suo Messaggio, il Papa lancia un monito che ricorda quello che lanciò per così dire a braccio, quasi urlando, durante la visita in Sicilia nel pieno imperversare della criminalità mafiosa: “Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali…Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”. Giova ricordare che nell’Enciclica “Sollicitudo rei socialis”, il Papa aveva parlato di “strutture di peccato” con riferimento alle “differenti forme di imperialismo”. Col Messaggio 2005 sono interpellate le responsabilità personali di coloro, volti e nomi, i quali alimentano e addirittura programmano- lucidamente, a tavolino - le strutture di peccato. Non è difficile riportare a questa tipologia di pianificazione del male il cosiddetto scontro fra le civiltà, le cosiddette guerre etniche, certamente la guerra preventiva, la tortura sistematica, il genocidio, le strategie degli attentati terroristici, la ripresa della produzione e del commercio delle armi, il traffico di bambini e di organi, lo sfruttamento del lavoro dei più deboli, le campagne di xenofobia e di discriminazione razziale, ecc.

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Sempre nel Messaggio il Papa sottolinea che ciascuna scelta di male “porta in sé un’essenziale connotazione morale”. Ebbene oggi –segno dei tempi - anche il “nuovo” Diritto internazionale si fa carico di sanzionare i responsabili di crimini che venivano prima schermati (leggere: coperti da impunità) in virtù del principio di non ingerenza negli affari interni degli stati: tra i nuovi principi vi è infatti quello della “responsabilità penale personale” direttamente perseguibile in sede internazionale. Anche per questa materia vale la metafora della “casa attrezzata”: abbiamo le norme giuridiche pertinenti, abbiamo istituzioni sopranazionali specializzate nella materia, facciamo funzionare la Corte penale internazionale. E’ questo un modo concreto di raccogliere l’invito del Papa a fare uso della “grammatica della legge morale universale”.

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Vale qui la pedagogia dei “segni dei tempi”, cioè delle opportunità di bene che bisogna cogliere: principi di morale universale sono stati recepiti dal Diritto internazionale a partire dal momento in cui è stato proclamato che “il riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (Dichiarazione universale dei diritti umani). Il vigente Diritto internazionale si fa dunque traghettatore di etica dentro i campi della politica e dell’economia. E’ questo stesso Diritto che ci consente di sviluppare in termini istituzionali e politici l’ulteriore riflessione che il Papa fa sulla “cittadinanza mondiale”: “l’appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino”.

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Di cittadinanza universale si occupa appunto il Diritto internazionale dei diritti umani, il quale riconosce i diritti fondamentali di ciascuna persona non in quanto appartenente all’anagrafe di questo o quello stato, ma in quanto membro della “famiglia umana”. “Cittadinanza universale” è oggi un concetto giuridico, non più soltanto morale, il cui senso può essere colto ricorrendo alla metafora dell’albero: il tronco è lo statuto giuridico di “persona umana” internazionalmente riconosciuto a tutti gli esseri umani in virtù dei loro diritti innati (le radici), i rami sono le cittadinanze nazionali o anagrafiche. Poiché ancora oggi i rami sono staccati dal tronco, anche per il fatto che storicamente gli preesistono, il “nuovo” Diritto obbliga a stabilire la corretta fisiologica dell’albero: le cittadinanze nazionali devono armonizzarsi con la cittadinanza universale, le legislazioni nazionali e locali devono informarsi ai principi del “nuovo” Diritto internazionale, occorre promuovere il dialogo interculturale, favorire l’esercizio di eguali diritti di cittadinanza attiva di tutti i residenti nella “città inclusiva”, ecc. Nella stessa ottica operativa il Papa colloca la gestione dei beni pubblici, cioè di quei beni che sono indispensabili a soddisfare bisogni essenziali dei membri della famiglia umana e che quindi non possono essere lasciati in balìa dei meccanismi del mercato, del profitto, della privatizzazione. In termini concreti, i beni pubblici non si possono gestire e rendere equamente fruibili se non si rilanciano le istituzioni pubbliche, che naturalmente dovrano essere sempre più legittime, democratiche e partecipative. Il Papa parla di una “nuova fantasia della carità”: di questo disegno progettuale fanno certamente parte iniziative quali l’economia di giustizia, il commercio equo e solidale, la banca etica, il microcredito, il rilancio dell’aiuto allo sviluppo.

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Il Papa parla della necessità di una “nuova cultura politica” da sviluppare “specialmente nell’ambito della cooperazione internazionale” e indica, con accenti di accorata partecipazione, l’Africa come quella parte del mondo che più ha bisogno di aiuto solidale. Siamo in presenza di una chiara scelta preferenziale. Per la nuova cultura politica il Papa pensa ad una “grande opera educativa delle coscienze”, che coinvolga soprattutto le nuove generazioni nel fare il bene all’insegna dell’umanesimo integrale e solidale che, è sottolineato nel Messaggio, “la Chiesa indica e auspica”.

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Sul terreno pratico, quello che riportiamo alla sfera delle politiche pubbliche, il Papa sottolinea la necessità di “dare nuovo slancio all’aiuto pubblico allo sviluppo”, con l’invito a pensare “nuove forme di finanziamento”. Raccogliendo questo invito, viene spontaneo pensare alla strategia della cooperazione decentrata allo sviluppo, il cui schema operativo mette in campo enti di governo locale e regionale, organizzazioni non governative e gruppi di volontariato, università, piccole e medie imprese.

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Nell’ultima parte del Messaggio, il Papa ritorna sul tema del “mistero dell’iniquità” e lancia quella che può essere interpretata come una chiamata di leva universale per la “lotta contro i dominatori di questo mondo di tenebra e contro gli spiriti del male” Il passaggio è dunque solenne, denso di richiami che riportano alla dimensione apocalittica dei “tempi stretti”: dal “tenebrae factae sunt” (mistero dell’iniquità) all’orizzonte luminoso della morte e risurrezione di Gesù “rese sacramentalmente presenti in ogni Celebrazione eucaristica”. Citando il Vecchio e il Nuovo Testamento (Libro della Sapienza e San Paolo), il Papa invita “i cristiani, specialmente i fedeli laici” a tradurre in opere concrete - e, potremmo dire, in vere e proprie strutture di bene - la speranza che si nutre della consapevolezza che “l’azione dello Spirito del Signore riempie l’universo”. C’è dunque un chiaro invito a quanti si professano cristiani a stringere le fila per “insieme recare uno specifico ed efficace contributo all’edificazione di un mondo fondato sui valori della giustizia, della libertà e della pace”: dando l’esempio, naturalmente, in spirito di apertura, di dialogo e di servizio verso tutti.

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Per tutti, critiani e non, credenti e non credenti, viene spontaneo citare il Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani laddove proclama che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della giustizia, della libertà e della pace nel mondo”.
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