A A+ A++

In marcia per il Diritto umano alla pace

Marco Mascia (2014)

Tipologia pubblicazione

: Human Rights Academic Voice

Lingua

: IT

Contenuto

Sono già più di 70 i Consigli comunali che a partire dall’inizio di quest’anno hanno adottato l’ordine del giorno per il riconoscimento internazionale del diritto alla pace come diritto fondamentale della persona e dei popoli: da Rovereto a Ragusa, da Novara a Napoli, da Marsciano a Desenzano, da Certaldo a Reggio Emilia, da Mesagne a Oderzo a Cattolica.

L’iniziativa è stata lanciata dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani che ha fatto propria la proposta del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova e della collegata Cattedra Unesco Diritti umani, democrazia e pace.

Con questa iniziativa di alto rilievo politico perché mina in radice il sistema di potere militare nazionale e transnazionale che si alimenta con la produzione e il commercio di armi, le Città chiedono al governo italiano e all’Unione Europea di cambiare passo e di sostenere il processo avviato in seno al Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite per l’adozione di una Dichiarazione delle NU sul diritto umano alla pace.

L’apposito Gruppo di lavoro intergovernativo del Consiglio, presieduto dall’Ambasciatore del Costa Rica, e aperto, come prassi, anche alla partecipazione di ONG con status consultivo all’ECOSOC, ha elaborato un primo progetto di Dichiarazione. Il documento contiene concetti e precetti rivoluzionari per il tradizionale modo di concepire il diritto e la politica internazionali.

I membri permanenti del Consiglio di sicurezza, Stati Uniti e Russia in testa, hanno manifestato con forza la loro netta opposizione, come già avevano fatto all’UNESCO quando nel 1999 l’allora Direttore Generale Federico Mayor aveva tentato senza successo una analoga iniziativa. L’Unione Europea, che si è subito allineata sulla posizione delle grandi potenze, deve essere riportata alla sua identità originaria, quella tracciata all’indomani della seconda guerra mondiale dai suoi padri fondatori, pacifisti senza se e senza ma diremmo oggi, e più di recente costituzionalizzata nel Preambolo e negli articoli 2, 3, 6 e 21 del Trattato di Lisbona e riconosciuta di fronte all’opinione pubblica mondiale con il conferimento del Premio Nobel per la Pace.

La persistente contrarietà di molti stati discende dalla consapevolezza che, una volta riconosciuto il diritto umano alla pace, su di essi incomberebbe il duplice obbligo giuridico di cancellare lo ius ad bellum quale attributo forte della loro sovranità, e di adempiere al dovere della pace, con la conseguenza che la violazione del diritto alla pace si configurerebbe, in quanto tale, come un crimine sanzionabile ai sensi del diritto internazionale.

La posta in gioco è molto alta poiché investe direttamente la concezione dell’ordine mondiale e della stessa ‘forma Stato’ nei suoi tradizionali attributi belligini di sovranità. Questo spiega perché il diritto umano alla pace è tuttora privo di formale riconoscimento nel vigente Diritto internazionale.

Per il movimento per la pace si tratta di una occasione storica, forse non ripetibile. Ma potrebbe anche essere il coronamento di una strategia coerente, coraggiosa, action- e policy-oriented e alla fine vincente. Avviata con le manifestazioni per il disarmo, le European Nuclear Disarmament Convention (END), l’Assemblea dei Cittadini di Helsinki, le obiezioni di coscienza, i digiuni, le azioni nonviolente per la risoluzione e la trasformazione dei conflitti, la creazione del Coordinamento nazionale degli enti locali denuclearizzati poi trasformatosi in Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, questa strategia si è poi consolidata e sviluppata con le vaste mobilitazioni contro le guerre in Iraq, nei Balcani, in Afghanistan, per citare le più note, fino alla straordinaria esperienza delle Assemblee dell’ONU dei popoli organizzate dalla Tavola della Pace all’insegna di “potenziamo e democratizziamo l’ONU” e “tutti i diritti umani per tutti”. Il movimento pacifista italiano deve, con l’intelligenza che lo contraddistingue, portare avanti questa campagna coagulando attorno a se movimenti e gruppi associativi di altri paesi, in modo da creare una robusta massa critica popolare transnazionale capace di creare opinione pubblica e di influire sull’operato dei governi.

Gli enti locali devono diventare l’anima e la forza motrice di questo movimento. Il mandato se lo sono conquistato sul campo. Dal 1991 infatti migliaia di Comuni, anche a seguito della Legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, hanno inserito nel loro Statuto la cosiddetta “norma pace diritti umani” che ritroviamo per la prima volta enunciata nella Legge 30 marzo 1988 n. 18 della Regione del Veneto, il cui art. 1 così recita: “1. La Regione del Veneto, in coerenza con i principi costituzionali che sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, la promozione dei diritti umani, delle libertà democratiche e della cooperazione internazionale, riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli”.

Ne discende che il movimento pacifista italiano è pienamente legittimato a far conoscere in sede mondiale, a cominciare dal Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, la sua pionieristica, esemplare esperienza e ad avviare un’ampia e capillare mobilitazione di idee e di azioni affinchè l’iniziativa delle Nazioni Unite abbia successo.

Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova

Aggiornato il

30/05/2019