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La Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (CtEDU) si è definitivamente pronunziata, in data 30 marzo 2016, relativamente al caso Armani da Silva c. UK, n. 5878/08.
Il caso riguardava l’omicidio del sig. Charles De Menez, un cittadino Brasiliano, erroneamente identificato quale attentatore suicida e per tale ragione ucciso all’interno della metro da alcuni colpi di arma da fuoco alla testa esplosi da due agenti delle forze speciali britanniche. A seguito di lunghe indagini, le autorità giudiziarie nazionali hanno attribuito la responsabilità dell’accaduto ad una cattiva gestione ed esecuzione delle operazioni di polizia, non ritenendo alcuno dei poliziotti coinvolti personalmente responsabile dell’omicidio. Si risarciva quindi la famiglia del sig. De Menez con un’indennità di 175.000 sterline senza tuttavia emettere alcuna sentenza penale di condanna o provvedimento disciplinare nei confronti di alcuno dei funzionari.
La sig.ra Armani da Silva, cugina del soggetto ucciso, ricorreva quindi alla CtEDU lamentando l’avvenuta violazione, sotto l’aspetto procedurale, dell’art. 2(1) CEDU (tutela del diritto alla vita). La ricorrente invocava la responsabilità del Regno Unito per non aver assicurato l’accertamento della responsabilità penale e la successiva condanna degli agenti responsabili dell’omicidio.
Le principali questioni giuridiche sottoposte all’attenzione della Corte di Strasburgo riguardavano innanzitutto la legittimità del grado di evidenza probatoria prevista dall’ordinamento inglese richiesta per la prosecuzione delle indagini. Ai sensi del Code of Crown Prosecutor (CPS), si prevede, in capo al procuratore, l’obbligo di apportare prove sufficienti a prospettare realisticamente la sussistenza della responsabilità penale dei soggetti indagati, relativamente ad ogni capo d’imputazione a loro carico. Secondo il ricorrente, tale disposizione aggravava lo standard di evidenza probatoria richiesta per il proseguimento delle indagini assicurando, di fatto, l’impunità ai due agenti.
In secondo luogo, si lamentava l’illegittimità della formulazione giuridica della scriminante della legittima difesa in relazione alla norma che tutela il diritto alla vita prevista all’art. 2(1) CEDU. Nello specifico, si sottolineava come, al fine dell’integrazione della scriminante suddetta, la norma richiedesse l’esclusiva valutazione dell’“onesta” credenza degli agenti in merito alla necessarietà dell’utilizzo della forza. Una valutazione di opportunità della condotta operante esclusivamente sul mero piano soggettivo e non anche sull'ulteriore piano oggettivo, individuato al contrario dalla valutazione della ragionevolezza della condotta integrante il reato.
Per ciò che concerne la prima questione, la Grande Camera ha ritenuto che l’evidenza probatoria richiesta dal CPS al fine della prosecuzione del procedimento penale rientri nell’esclusivo margine di discrezionalità dello Stato. Ha ritenuto inoltre che il criterio utilizzato nell’ordinamento anglosassone non potesse essere considerato arbitrario, essendo stato sottoposto a frequenti rivisitazioni e consultazioni pubbliche, che non sussista alcuna armonizzazione normativa tra i vari Stati in tale materia e che, in ogni caso, il requisito richiesto dall’ordinamento inglese rifletta esclusivamente il sistema giuridico preesistente.
La Corte si è espressa inoltre sostenendo che l’art. 2(1) CEDU non implica l’affievolimento del criterio dell' evidenza probatoria nel particolare caso in cui la morte del soggetto sia stata determinata da pubblici ufficiali.
In merito alla seconda questione, la Corte ha sostenuto che i presupposti per l’integrazione della legittima difesa in Galles ed Inghilterra non siano poi particolarmente lontani dagli standard applicati dalla Corte stessa. In qualsiasi caso, si è constatato che le autorità giudiziarie nazionali abbiano ritenuto sussistere l’onesta e ragionevole credenza, da parte dei due agenti di polizia, che il soggetto ucciso fosse un terrorista pronto a farsi detonare in qualsiasi momento, e per tale motivo abbiano ritenuto applicabile la scriminante suddetta.
La CtEDU ha aggiunto che la decisione di non perseguire legalmente alcuno degli esecutori materiali non fosse dovuta a lacune nelle indagini o ad una volontà di essere complici o tolleranti di atti illeciti. A seguito di un’indagine approfondita, infatti, l’autorità giudiziaria nazionale aveva ritenuto non esserci una sufficienza di prove ai fini della determinazione della sussistenza della responsabilità penale a carico due agenti. Per tali ragioni la Grande Camera si è espressa dichiarando la non avvenuta violazione dell’art. 2(1) CEDU
23/5/2016