La CEDU condanna l’Italia nel caso Morabito c. Italia: riscontrata una violazione dei diritti umani

Il 10 aprile 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) si è pronunciata nel caso Morabito c. Italia (ricorso n. 4953/22), dichiarando l’Italia responsabile della violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta trattamenti inumani o degradanti.
Giuseppe Morabito, persona di 90 anni condannata per essere stato considerato un capo di un’organizzazione criminale di tipo mafioso, ha contestato la prosecuzione della sua detenzione e la sua permanenza, nonostante le condizioni di salute, nel regime speciale previsto dall’articolo 41-bis della legge penitenziaria italiana.
Tale regime è volto a impedire contatti tra i detenuti e le organizzazioni criminali. Tuttavia, nonostante l’età avanzata del ricorrente e il progressivo declino cognitivo, il regime è stato applicato per quasi vent’anni.
Morabito soffre di diverse patologie croniche, tra cui problemi alla prostata, ipertensione, artrite e deterioramento cognitivo. Pur ricevendo cure mediche regolari, la Corte ha ritenuto che le autorità non abbiano fornito motivazioni sufficienti per giustificare la prosecuzione della sua detenzione in un regime così restrittivo. Secondo la Corte, alla luce dell’età e delle condizioni di salute del ricorrente, non era chiaro se egli rappresentasse ancora un pericolo o mantenesse contatti con l’organizzazione criminale.
La Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla detenzione e all’applicazione del regime di cui all’articolo 41-bis successivi al 24 maggio 2023, poiché avvenuti dopo la presentazione del ricorso.
Per quanto riguarda la detenzione del ricorrente e le cure mediche ricevute, la Corte ha ritenuto all’unanimità che non vi sia stata violazione dell’articolo 3, giudicando adeguata l’assistenza medica prestata e compatibile con il rispetto dei diritti sanciti dall’articolo in questione.
Tuttavia, con sei voti contro uno, la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 in relazione alla protratta applicazione del regime di cui all’articolo 41-bis. La Corte ha concluso che il mantenimento di tale regime, in assenza di una giustificazione concreta e adeguatamente motivata, ha costituito un trattamento inumano e degradante.
La Corte ha stabilito, con sei voti contro uno, che la constatazione della violazione costituisce di per sé una giusta soddisfazione per il danno morale subito dal ricorrente. Non è stato disposto alcun ulteriore risarcimento.
Questa sentenza riafferma l’importanza di una valutazione regolare delle condizioni di detenzione, in particolare per i detenuti anziani con gravi problemi di salute, e sottolinea la necessità che eventuali restrizioni siano giustificate da motivazioni dettagliate e convincenti.