ONU dei popoli

Appunti per la costituzione del Comitato Italiano per l’ONU dei Popoli

Documento presentato in occasione del 16° Seminario nazionale della Tavola della Pace “Dalla Città, all’Europa, all’ONU. La pace interroga la politica”, Assisi 13-15 febbraio 2004
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

1. “L’ONU che vogliamo è l’ONU dei Popoli, non l’ONU degli stati sovrani armati”. Con queste parole, anzi con questa rivendicazione di diritti di cittadinanza planetaria si apre l’Appello per la democratizzazione delle Nazioni Unite lanciato dall’Associazione per la Pace nel settembre del 1992 e sottoscritto da numerosi esponenti dell’associazionismo, della cultura e delle istituzioni. Una rivendicazione doppiamente legittima, la nostra, perché fondata sul testo letterale del Preambolo della Carta delle Nazioni Unite – “Noi Popoli delle Nazioni Unite, decise a salvare le future generazioni dal flagello della guerra …” – e perché condivisa, in maniera sempre più diffusa e convinta, da milioni di persone in ogni parte del mondo.

In quell’Appello ponevamo una serie di interrogativi sul modo di gestire gli squilibri e le sfide dell’interdipendenza planetaria e degli altri processi di mutamento in atto nel mondo e affermavamo senza mezzi termini: “Se vogliamo passare dall’ONU delle sovranità armate all’ONU dei popoli dobbiamo avere un nostro progetto, una nostra strategia di nuovo ordine mondiale, da contrapporre a quella del blocco di potere multinazionale, un potere che è uno e trino: economico, politico, militare, e che sta frenando il corso della nuova storia”, quella del dopo-1989. 

Nello stesso documento indicavamo come prioritario “un reale processo di riforma strutturale” dell’ONU come essenziale alla costruzione di un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico, “avendo come riferimento valoriale il paradigma dei diritti umani e della democrazia, nucleo centrale del “nuovo” Diritto internazionale, quello inscritto nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nelle successive Convenzioni giuridiche internazionali, in particolare nei due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, nonché nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989. Nel 1995, durante la prima edizione dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli davamo ulteriore forza e specificazione alle proposte di riforma delle Nazioni Unite già puntualmente espresse nell’Appello del 1992.

2. Il nostro impegno progettuale si è sviluppato in un decennio segnato dai ripetuti tentativi della Super-potenza di rilanciare, in flagrante violazione del vigente Diritto internazionale, la “guerra” come istituto legittimo di relazioni internazionali. La sequela di operazioni belliche nel Golfo (1991), in Kossovo, in Afghanistan e in Iraq fa parte essenziale di un medesimo disegno strategico mirante a cancellare il nuovo Diritto internazionale e a riproporre il vecchio diritto delle sovranità statuali – nazionali, armate, confinarie – secondo la logica della legge del più forte. L’attacco portato al nuovo Diritto internazionale e al sistema dell’organizzazione internazionale multilaterale è espressione di de-regulation istituzionale, come dire estende alla sfera dei processi e delle istituzioni della politica la strategia della de-regulation economica. Lo stallo in cui versa il processo di riforma delle Nazioni Unite si spiega alla luce appunto dei tentativi di de-regulation istituzionale: l’unilateralismo, anzi l’oligarchismo bellicista guidato dagli USA dei Bush è elemento essenziale di questo disegno di destabilizzazione planetaria.

La via legale, nonviolenta e democratica al nuovo ordine mondiale non è tuttavia rimasta schiacciata e nemmeno offuscata dagli eventi bellici né dal terrorismo né dalla strategia della duplice de-regulation. Al contrario. Proprio nell’ultimo decennio del secolo trascorso, da un lato si è estesa la mobilitazione di formazioni organizzate e di movimenti di società civile globale in ogni parte del mondo, dall’altro si sono incuneati nella realtà magmatica di un sistema internazionale in disordinata transizione importanti elementi di legalità e di cooperazione, i quali costituiscono altrettante tessere del mosaico di un ordine mondiale alternativo a quello propugnato dall’oligarchia bellicista. Ci riferiamo indicativamente all’entrata in funzione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, all’“Agenda per la Pace” di B.B.Ghali, alla Corte penale internazionale, alla Dichiarazione delle Nazioni Unite “sul diritto e la responsabilità degli individui e delle formazioni sociali di promuovere e proteggere i diritti umani dentro e fuori dei singoli stati” (c.d. “Carta degli human rights defenders), alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, al “Millennium Forum” di società civile globale alle Nazioni Unite nel 2000, naturalmente alle sessioni biennali dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli. Lo stesso decennio è stato segnato dal susseguirsi delle Conferenze Mondiali delle Nazioni Unite – da Rio in poi, con grande partecipazione di organizzazioni non governative –, dall’entrata in scena del Social Forum, dalla filosofia dello “human development” messa a punto nei Rapporti Annuali del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, UNDP, dalle coalizioni di formazioni di società civile globale per il Contratto mondiale sull’acqua, per la formale inclusione della povertà estrema nell’elenco dei crimini contro l’umanità. Senza dimenticare la martellante denuncia di Giovanni Paolo II della guerra quale “avventura senza ritorno”, costantemente ribadita nonostante le malcelate prudenze di taluni ambienti curiali preoccupati di non alimentare sentimenti di ‘antiamericanismo’… .

La sfida oggi è di raccogliere senza indugi tutte queste “tessere” per comporle nel “mosaico” di un ordine mondiale alternativo a quello propugnato dall’oligarchia prevaricatrice. Nel 1999, in occasione della 3a Assemblea dell’ONU dei Popoli, la Tavola della pace ha diffuso un documento in cui si evidenziavano, per contrasto, i caratteri dei due disegni di ordine mondiale: quello gerarchico e quello democratico. 

Nel portare avanti il disegno di ordine mondiale pacifico e democratico siamo oggi supportati non soltanto dall’esistenza degli elementi positivi prima ricordati, ma anche dai clamorosi, drammatici fallimenti della strategia dei neo-conservatori: si pensi alle vicende della new economy e della virtual economy. Il risultato è che insieme con la pace internazionale è sempre più a rischio la pace sociale all’interno anche dei paesi cosiddetti sviluppati. Complessivamente, il fallimento della strategia neo-liberista – politica, economica, sociale, militare –si misura nell’iperbolico tasso di insicurezza che pervade la vita quotidiana delle famiglie, dei gruppi e dei singoli in ogni parte del mondo.

3.In Italia, gli anni novanta e i primi anni duemila si segnalano per l’inclusione negli Statuti di migliaia di Comuni e Province, nonché in varie leggi regionali, di quella che è comunemente conosciuta come la norma “pace diritti umani”. In virtù di questa norma sono stati creati dipartimenti, uffici e sportelli “pace diritti umani solidarietà internazionale” i quali, in collaborazione con associazionismo, volontariato e mondo della scuola, stanno realizzando programmi di educazione e iniziative di solidarietà e di cooperazione decentrata allo sviluppo. La vicenda statutaria degli enti di governo locale del nostro Paese, segnata in particolare dal riferimento alle fonti del Diritto internazionale dei diritti umani, è assolutamente originale e di sicuro esempio sul piano mondiale. C’è inoltre da prendere atto con soddisfazione che, nel quadro della riforma in atto, è avvenuta l’attivazione in numerose Università di Corsi di laurea sia triennali (lauree di base) sia biennali (lauree specialistiche) specificatamente in materia di diritti umani, pace, cooperazione allo sviluppo.

L’Italia è dunque terreno fertile per l’ulteriore elevazione del profilo politico della cultura della pace, dei diritti umani e della solidarietà internazionale. Forte della legittimazione e della credibilità che le derivano dall’essere stata antesignana nel propugnare la centralità delle Nazioni Unite e della democrazia internazionale nel disegno di ordine mondiale e dall’avere costantemente operato in questa direzione, la Tavola della Pace lancia un rinnovato appello perché si proceda urgentemente alla riforma della massima Organizzazione mondiale all’insegna di “rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite”. Tanto più attuale è questa parola d’ordine quanto più si diffonde la consapevolezza che neoliberismo, unilateralismo, deregolamentazione istituzionale, imposizione bellica o comunque armata dei diritti umani e della democrazia hanno fatto imboccare al mondo un tunnel senza uscita, dentro il quale si vanno accumulando le situazioni di ingiustizia, di emarginazione, di morte. È appena il caso di sottolineare che la recrudescenza del terrorismo trova una delle sue principali spiegazioni nell’indebolimento della cooperazione multilaterale e delle legittime sedi istituzionali sopranazionali in cui questa deve essere praticata. 

È in queste sedi che deve essere sviluppata la nuova frontiera della politica, quella della global governance, della sussidiarietà e dei diritti umani, della giustizia internazionale – sociale, economica, penale –, della lotta contro la povertà, della salvaguardia dell’ambiente, dell’equa distribuzione e fruizione dei beni comuni globali, del disarmo reale, dell’implementazione del Diritto internazionale dei diritti umani (di “tutti i diritti umani per tutti”), della democrazia internazionale, del dialogo interculturale, della cittadinanza universale, dell’inclusione nella comunità politica. In questa dilatata prospettiva, risulta con chiarezza l’indissociabilità del destino del nuovo Diritto internazionale da quello delle Nazioni Unite: l’uno protegge e rafforza l’altra, e viceversa. Il discorso sulla legalità internazionale non ha respiro se non lo si colloca nel contesto delle garanzie innanzitutto istituzionali, che sono principalmente quelle dei diritti umani e della sicurezza collettiva. Lo stesso discorso della democrazia internazionale, nella duplice indissociabile articolazione della rappresentanza elettiva e della partecipazione, non ha senso se si prescinde dalle sedi istituzionali in cui dare attuazione ai processi di democratizzazione. A livello mondiale non esiste altra sede appropriata al di fuori dell’ONU.

Occorre insistere nell’elucidare puntualmente i contenuti del nuovo Diritto internazionale, in particolare i principi relativi al rispetto della dignità umana, alla proscrizione della guerra, al divieto dell’uso della forza, all’obbligo di risoluzione pacifica delle controversie, alla giustizia penale internazionale, alle operazioni di polizia internazionale (militare e civile).

Occorre insistere nel sottolineare che nei riguardi della “guerra”, intesa come processo mirante alla distruzione di uno stato nemico (fatto quindi di territorio, popolazione, governo), il vigente Diritto internazionale dispone con un divieto che è di assoluta precettività. Per quanto riguarda l’uso della forza, il divieto è altrettanto tassativo, con la sola, circostanziata eccezione dell’autotutela successiva ad aggressione armata condotta da uno stato contro un altro stato. Occorre parimenti insistere nel chiarire che le eventuali operazioni con l’uso del militare, perché siano legittime, devono essere condotte in proprio dalle Nazioni Unite o da queste espressamente autorizzate ai sensi del Cap. VIII della Carta, e perseguire obiettivi di “polizia” (salvaguardia della vita delle popolazioni, interposizione fra le parti in conflitto, cattura dei presunti criminali, salvaguardia delle infrastrutture economiche, difesa del territorio e dell’ambiente, somministrazione di viveri e medicinali, ecc.). Occorre avere ben chiari questi riferimenti onde evitare che vere e proprie operazioni belliche siano spacciate, all’insegna dei diritti umani e dell’”umanitario”, per operazioni di polizia internazionale. 

4. Uscendo da una retorica di convenienza, molto diffusa in questi mesi, dare concretezza alla “centralità delle Nazioni Unite” significa fare scattare una volta per tutte l’ora x della loro riforma. Perché questo avvenga, occorre superare una volta per tutte la stagnazione del dibattito in materia, sterilmente condotto dentro il Palazzo di Vetro da una pletora di ‘gruppi di lavoro’, ‘panels’, ‘comitati di saggi’, ecc., tutti, quale più quale meno, generici e ripetitivi, privi di potere effettivo e di coraggio progettuale, tutti autoreferenziali anche perché privi della reale volontà politica degli stati membri. Per uscire dallo stallo, occorre avviare un autentico processo di ingegneria politico-istituzionale che, partendo dalla Carta delle Nazioni Unite e dall’intero corpus di nuovo Diritto internazionale che dalla Carta è derivato – quindi, saldamente ancorati a questa base di legalità –, adatti e completi l’architettura dell’ONU e dell’intero sistema di Agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Occorre fare attenzione a non cadere nella trappola di coloro che sostengono che, poiché l’ONU non funziona, occorre “inventare” qualcosa di completamente nuovo: si farebbe il gioco di chi si muove nella logica del “morto un diritto se ne fa un altro”, su propria misura evidentemente, cioè dell’anteporre la legge della forza alla forza della legge. Dunque, l’approccio corretto è: riformare l’ONU nella continuità della logica del nuovo Diritto internazionale e del sistema di multilateralismo che gli è speculare.

Negli ambienti di società civile globale, in particolare in Italia, ci si è finora interessati più dei contenuti che delle procedure e degli strumenti della riforma. La cosa non è negativa e neppure scorretta, poiché abbiamo chiaro in mente ciò che vogliamo in termini di sostanza. Ora però bisogna passare all’azione, avanzando proposte sul come far “precipitare la massa critica riformatrice” dell’ONU. Su questo terreno si misurerà la reale volontà delle forze politiche e dei governi. 

Il riferimento all’esperienza “convenzionale” dell’Unione Europa può aiutare a sbloccare la situazione. La via convenzionale è frutto originale di un compromesso tra intergovernativismo (istanza di vertice degli stati) e democrazia internazionale, nella forma di un organo pluralistico ad hoc, dotato di maggiore rappresentatività degli ordinari organi dell’istituzione ‘committente’: una formula dunque che consente di aprire alla partecipazione di nuovi soggetti e che ha il preciso mandato di elaborare, in via ufficiale, un “progetto”. Nel caso dell’Unione Europea abbiamo avuto due “Convenzioni europee”, una per la preparazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, l’altra per la preparazione del “Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa”. Ambedue questi bodies hanno rimesso il loro prodotto alla pertinente istituzione dell’UE, cioè al Consiglio Europeo, per gli opportuni seguiti. Per innescare effettivamente la riforma delle Nazioni Unite si propone di seguire, con gli opportuni adattamenti, la medesima via “convenzionale” dando vita ad una “Convenzione universale per il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite” (o, anche, “Convenzione universale sul futuro delle Nazioni Unite”). Questo organismo ad hoc dovrebbe essere istituito in virtù di una risoluzione dell’Assemblea Generale – nel cui ambito non può essere esercitato il potere di veto –, col mandato di elaborare un documento organico di proposte relativamente agli organi e alle funzioni dell’ONU, compresa la funzione di coordinamento nei confronti di Istituzioni economiche quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

La “Convenzione universale” dovrebbe avere la seguente composizione, per fasce rappresentative anche di quei soggetti che, pur essendo politicamente rilevanti per la governance a tutti i livelli, non hanno tuttavia adeguato accesso ai processi decisionali dell’ONU:

  • gli stati membri, per raggruppamenti regionali;
  • le istituzioni del sistema delle NU;
  • le organizzazioni internazionali regionali;
  • i parlamenti nazionali (per es. attraverso l’Unione Interparlamentare);
  • gli enti di governo locale (per esempio, attraverso la “International Union of Local Authorities”, IULA, e “United Cities”, o quella che deriverà dalla loro imminente fusione: spendita del principio di sussidiarietà territoriale);
  • il mondo delle formazioni di società civile globale (attraverso una delegazione di ONG con status consultivo: spendita del principio di sussidiarietà funzionale);
  • gli Osservatori Permanenti, a cominciare da quello della Santa Sede.

È un esempio di come potrebbe articolarsi il “pluralismo” della Convenzione, con possibilità evidentemente di integrazioni. Non dovrebbe essere comunque un organismo numericamente troppo pesante.

La Convenzione universale dovrebbe disporre di un sito web con reali possibilità di accesso a raggio mondiale.

Una volta conclusi i lavori, la Convenzione rimetterebbe il proprio dossier ufficiale all’Assemblea Generale.

L’attore politico che può farsi portatore credibile di questa proposta è l’Unione Europea: è dato ipotizzare che essa avrebbe l’appoggio di un numero elevato di stati membri delle NU.

5. Quanto ai contenuti delle proposte, la Tavola della Pace in Italia dispone già, come prima ricordato, di puntuali elaborazioni. Si tratta ora di aggiornare il quadro, anche alla luce degli eventi riguardanti la guerra in Iraq e del rilancio della “domanda di ONU”.

Di seguito, alcuni esempi di possibili proposte.

Consiglio di Sicurezza: ampliamento numerico, in funzione di una più adeguata rappresentatività, moratoria dell’esercizio del potere di veto (in attesa della sua abolizione), attribuzione all’Unione Europea di un seggio di “membro associato” in ragione della “missioni esterne” dell’UE condotte in collaborazione con le NU…;

Assemblea Generale: rafforzamento dei poteri d’indirizzo generale, collegamento effettivo e permanente con il Consiglio di Sicurezza; Creazione di una seconda Assemblea generale nella forma di una Assemblea Parlamentare delle Nazioni Unite, composta di delegazioni dei Parlamenti nazionali (l’analogia è con le Assemblee Parlamentari di altre Organizzazioni internazionali);

Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC): attribuzione di poteri reali di orientamento sociale dell’economia mondiale, monitoraggio sulle attività della Banca Mondiale, del Fondo Monetario, quindi sua trasformazione in Consiglio per la Sicurezza economia e i Beni globali; 

Composizione democratica delle delegazioni degli stati nei vari organi (rappresentanza dell’Esecutivo, del Parlamento, delle formazioni di Società Civile);

Ufficio dell’Alto Commissario delle NU per i Diritti Umani: potenziamento delle sue sedi decentrate, costante partecipazione al funzionamento degli altri organi(human rights mainstreaming);

Corte Internazionale di Giustizia: poteri di controllo di legittimità sugli atti del Consiglio di Sicurezza;

Corte Penale Internazionale: dotazione di un corpo di Caschi Blu giudiziari, rafforzamento della sua autorità ‘sopranazionale’;

Forza di polizia permanente, sotto il diretto comando delle NU: realisticamente, potrebbe trattarsi di un più organico coordinamento di “stand-by units” messe a disposizione da stati e da altre organizzazioni internazionali: l’esempio dovrebbe essere dato dall’Unione Europea.

Per quanto riguarda gli aspetti specificamente militari della sicurezza, occorre collocarli nella più ampia visione – culturale, giuridica, politica, sociale – di “human security”, la cui titolarità è delle popolazioni e delle persone (people security) e i cui contenuti sono molteplici: economici, ambientali, sociali, di ordine pubblico. La tradizionale sicurezza dello stato (State security) è strumentale in ordine al perseguimento degli obiettivi di una sicurezza che, in quanto umana, è necessariamente collettiva, multidimensionale, e deve essere garantita dalle Nazioni Unite e da altre legittime istituzioni sopranazionali debitamente coordinate con l’ONU. 

Il personale militare impiegato nel settore della sicurezza deve essere adeguatamente riconvertito, quindi educato al rispetto dei diritti della persona e dei popoli e addestrato a funzioni che sono profondamente diverse da quelle tipiche degli ‘eserciti’. 

L’inclusione del militare nel sistema di sicurezza multi-dimensionale deve necessariamente comportare il disarmo reale e quindi liberare risorse per programmi di economia di giustizia.

6. Per i Comuni italiani, in particolare per quelli che fanno parte del Coordinamento degli Enti locali per la pace e i diritti umani, si prospetta una stagione densa di azioni internazionali, a cominciare dal loro più diretto impegno nello stimolare e alimentare democraticamente il processo di riforma delle Nazioni Unite. Essi dovrebbero innescare una estesa mobilitazione per la messa in opera della “Convenzione universale sul futuro delle Nazioni Unite” appellandosi (quale fonte di legittimazione del loro operare per la democrazia internazionale) sia alla “norma pace diritti umani” dei loro Statuti sia al principio di sussidiarietà, principio essenziale a qualsiasi disegno di ordine mondiale democratico. A questo fine, potrebbero farsi promotori di “coalizioni” ad hoc a livello europeo, sia nel sistema dell’Unione Europea (Comitato delle Regioni e dei Poteri Locali) sia in quello del Consiglio d’Europa (Congresso dei Poteri Locali, Agenzie della Democrazia Locale, Città dei Diritti Umani, ecc.). Il raggio d’azione di queste coalizioni dovrebbe estendersi fino al sistema delle Nazioni Unite e interessarsi anche delle attività del neonato “United Nations Advisory Committee of Local Authorities”, Unacla, incardinato con funzioni consultive nella struttura organica dell’ONU. Questa mobilitazione “costituente” dovrebbe contribuire ad arricchire di ulteriori, qualificanti contenuti l’agenda operativa degli uffici o degli sportelli pace diritti umani. Tra i compiti tanto impegnativi quanto non dilazionabili c’è sicuramente quello di educare e addestrare il personale politico e amministrativo per lo svolgimento di più competenti e motivati ruoli lungo quel percorso di pace positiva che dalla Città arriva fino all’ONU. A questo fine la cooperazione con organizzazioni non governative, che si muovono agilmente in varie parti del mondo, e centri universitari si rivela indispensabile e apre nuove prospettive al potenziamento del ruolo delle autonomie locali 

7. Il mondo di società civile globale si caratterizza oggi per la accresciuta, distinta visibilità di due componenti fondamentali: quella delle “formazioni organizzate” (ONG e gruppi di volontariato) e quella dei “movimenti”. Tra queste due componenti c’è, naturalmente, condivisione di valori, ma occorre realizzare una più efficace complementarietà di ruoli nella divisione del lavoro. Deve esserci intesa sui grandi obiettivi di democratizzazione del sistema internazionale, in particolare sulla riforma democratica delle Nazioni Unite, e sulla necessità che tali obiettivi vadano perseguiti sia all’interno sia all’esterno del sistema. 

La convergenza deve portare sullo stesso modello di ordine mondiale e quindi sulla difesa del Diritto internazionale dei diritti umani e delle sedi istituzionali deputate a garantirlo. Una naturale divisione del lavoro vede, da un lato, le ONG e le varie formazioni organizzate di società civile operare all’interno delle istituzioni internazionali, profittando di tutti gli ‘interstizi’ che vi sono presenti (dallo ‘status consultivo’ alla partecipazione nelle delegazioni degli stati), dall’altro, i movimenti agire in piena autonomia e creatività – e in forme anche pacificamente anòmiche – come “massa critica costituente” di nuovo ordine mondiale democratico. Tra i due ambiti operativi di società civile globale devono essere costantemente alimentati i sinergismi.

La Tavola della Pace, ricca della sua esperienza e della sua legittimazione, è naturalmente portata ad agire a più diretto confronto e interazione con il mondo delle istituzioni.

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