Dichiarazione universale

Articolo 12 - Diritto alla privacy

Poster con disegno e testo dell'art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
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Articolo 12

Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

 


E’ qui riconosciuto il diritto alla riservatezza, alla cosiddetta privacy. Non è sinonimo di diritto ‘all’anonimato’ o ‘ad essere solo/a’, bensì come diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni quale presupposto per l’esercizio di molti altri diritti di libertà.

E’ un classico diritto “negativo”, nel senso che lo stato (e qualunque altro soggetto) deve astenersi dall’interferire in modo arbitrario o illegale nella vita privata della persona. Non significa però ‘inerzia’ delle istituzioni. Alla ‘astensione’ deve infatti accompagnarsi la ‘protezione’ del diritto fondamentale.

L’articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici riprende integralmente l’articolo 12 della Dichiarazione. Ci sono vari tipi di privacy. Uno riguarda la diffusione via Internet di dati personali: la loro divulgazione potrebbe indurre a comportamenti discriminatori o razzistici. C’è un diritto alla privacy in campo medico e anche in campo politico. In questo secondo caso tra le garanzie dei diritti democratici c’è quella della segretezza del voto.

Siamo in presenza di un diritto particolarmente complesso, difficile ed esigente per una molteplicità di ragioni. Innanzitutto perché, coinvolgendo onore e reputazione, tocca la sfera più intima e sensibile della dignità umana, interpella cioè il valore dei valori dell’intera costruzione giuridica dei diritti umani. Allo stesso tempo, la sua protezione e la stessa interpretazione dei suoi contenuti deve confrontarsi con l’evoluzione di una tecnologia sempre più pervasiva e invasiva e con le esigenze, sempre più impellenti, della sicurezza sociale e collettiva, interna e internazionale.

La protezione del diritto alla privacy comporta che ci siano appropriate normative dei singoli stati, le quali dispongano per l’istituzione di appositi organi di garanzia e la messa in opera di adeguate procedure.

La Costituzione italiana è molto dettagliata al riguardo, ma in presenza di una fenomenologia in costante evoluzione e complessificazione, anch’essa ha bisogno di essere aggiornata e integrata, in via continuativa, da una più specifica normativa, nonché dalla giurisprudenza e dagli ‘interventi’ (sanzionatori) ad opera dell’Autorità (indipendente) di garanzia dei dati personali (Garante della privacy).

L’articolo 12 della Dichiarazione universale menziona luoghi ed ambiti in cui il diritto alla riservatezza deve essere particolarmente garantito: famiglia, casa, corrispondenza. Il concetto di famiglia è quello definito dall’articolo 16 della stessa Dichiarazione, peraltro da ‘inculturare’, senza snaturarne il senso, negli ordinamenti interni degli stati. Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha stabilito che per ‘casa’ deve intendersi il luogo in cui la persona risiede o realizza la sua abituale occupazione, e sollecita gli stati a specificare, nei rapporti che sono obbligati a presentargli periodicamente, il significato che nelle rispettive società viene dato anche alla famiglia. Ma evidentemente l’onore e la reputazione possono essere messi a repentaglio anche in altri ambienti e situazioni.

Afferma lo stesso Comitato che “poiché tutte le persone vivono in società, la protezione della privacy è necessariamente relativa”. Anche la privacy ha dunque dei limiti, a condizione però che siano rigorosamente previsti e disciplinati dalla legge.

Certamente legittima è la video-sorveglianza nei luoghi pubblici. Quanto legittima è in altri ambienti? Fin dove possono arrivare le esigenze di intelligence (‘cìmici’ in case private, intercettazioni telefoniche, pedinamenti)? La ‘legittimità’ dell’interferenza può arrivare fino a denudare le persone con il metaldetector nei posti di controllo di polizia all’imbarco negli aeroporti (non in cabine riservate)?

E c’è la privacy di soggetti particolarmente vulnerabili: bambini, anziani, persone con disabilità, immigrati, detenuti, degenti negli ospedali, … . Anche essi sono titolari di un diritto fondamentale, ma quanto funzionano nei loro riguardi gli strumenti di protezione? E come proteggere la riservatezza, l’onore e la reputazione dall’invadenza tentacolare di Internet?

Si pensi alla voragine di fango putrido alimentata da messaggi messi in circolazione tramite reti informatiche, cellulari, sms e fotografie, che offendono pudore, onore e reputazione di vittime innocenti, o allo sbattere sui giornali la foto di chi riceve un avviso di garanzia con la prospettiva di un processo a distanza di anni. In questo secondo caso c’è violazione dell’onore e della reputazione, oltre che del diritto alla presunzione d’innocenza. Quando giornalisti assediano le abitazioni di parenti di caduti sul lavoro o in incidenti stradali o in missioni internazionali di pace, con lunghe zummate sui volti stravolti dei familiari e con l’insistenza perchè rispondano a: come si sente? che cosa prova in questa triste circostanza? C’è violazione o meno del diritto alla privacy? Tra il diritto d’informare (quale informazione?) il pubblico dei lettori o dei teleutenti e il diritto alla riservatezza, al rispetto dell’onore e della reputazione di una persona, quale deve prevalere? Nell’odierna società dello ‘strillo’ e del ‘reality’, onore e reputazione sono relativizzati, pare anzi che ci si vergogni di parlarne: roba d’altri tempi. Eppure, in moltissimi casi c’è sicuramente la lesione dell’onore e della reputazione della persona, non soltanto la maleducazione o la sguaiataggine.

Insomma, il diritto alla privacy tocca l’essenza della dignità umana nel suo quotidiano incarnarsi: l’ingiusta perdita dell’onore e della reputazione equivale alla distruzione di una vita. Cosa fare? Certamente, rafforzare gli strumenti e le istituzioni di garanzia, a cominciare dall’Autorità indipendente, soprattutto dare spazio adeguato a questa tematica nei programmi di educazione scolastica e di formazione continua, nella consapevolezza che, insieme col Garante, è la società civile in quanto tale che deve sentirsi responsabile e vigilare.

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