Dichiarazione universale

Articolo 13 - Terra: casa comune

Poster con disegno e testo dell'art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
© UN Photo

Articolo 13

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

 

E’ il diritto fondamentale ad abitare la Terra-casa comune di “tutti i membri della famiglia umana”. La libertà di movimento è condizione indispensabile per il libero sviluppo della persona. Il ‘movimento’, evidentemente, non è inteso soltanto in funzione di turismo o di studi e ricerca scientifica. Sempre più numerosi sono coloro che si muovono per emigrare e stabilirsi in altri paesi.

La norma internazionale distingue il movimento a seconda che avvenga dentro il territorio di uno stato o da uno stato all’altro. In questa seconda ipotesi, la libertà è di uscire e di rientrare nel proprio paese.

L’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici specifica ulteriormente e arricchisce il contenuto dell’articolo 13 della Dichiarazione universale, in particolare stabilendo che la libertà dentro uno stato è dello “individuo che vi si trovi legalmente”, e che tale diritto non può essere oggetto di restrizioni tranne che quelle che, previste dalla legge e compatibilmente con tutti gli altri diritti fondamentali, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, nonchè gli altrui diritti e libertà. Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha affermato che la questione di stabilire se uno ‘straniero’ si trovi legalmente nel territorio di uno stato è materia che rientra nella giurisdizione domestica dello stato interessato, ma che in ogni caso deve essere disciplinata in conformità con gli obblighi internazionali di quest’ultimo. Ha altresì affermato che chi, entrato illegalmente in uno stato, vi è stato successivamente regolarizzato, deve essere considerato alla stregua di chi si trova legalmente nel territorio. Uno straniero espulso legalmente ha il diritto di scegliere il paese di destinazione col consenso di questo.

Anche in questo campo, naturalmente, è vietata la discriminazione. Lo stato deve garantire l’esercizio della libertà di movimento e residenza da interferenze sia pubbliche sia private. Il diritto di una donna di liberamente muoversi e scegliere una residenza non può sottostare alla decisione di un’altra persona, compreso un parente. La garanzia è anche contro ogni forma di trasferimento forzato all’interno dello stato.

Il diritto di lasciare un paese comprende il diritto di ottenere i necessari documenti di viaggio, compreso il passaporto. Uno stato non può rifiutare di prolungare la validità del passaporto di un proprio cittadino che si trovi all’estero e voglia rientrare. Il rifiuto infatti può comportare la deprivazione del diritto di quella persona di lasciare il paese di residenza e di spostarsi altrove.

Le barriere politiche e burocratiche che gli stati frappongono all’esercizio di questo diritto sono praticamente infinite, dalle normative in materia di cittadinanza e immigrazione che ignorano il paradigma dei diritti umani, alle lungaggini e agli ostruzionismi perpetrati in numerosi stati all’interno di ambasciate, consolati, uffici di polizia.

La materia è resa difficile e complicata da un peccato d’origine, cioè dallo spezzettamento della Terra in tanti territori, grandi e piccoli, ciascuno transustanziato insieme con popolo e governo nella “forma” dello stato-nazione-sovrano-confinario. Studiosi hanno teorizzato questa situazione come una generalizzata occupazione coloniale della Terra. Una situazione di difficile perpetuazione, oggi, in presenza dei processi di interdipendenza, globalizzazione, transnazionalizzazione, internettizzazione, low-cost travelling, inquinamento, processi che sbriciolano i confini degli stati e condizionano la governance pervicacemente segnata dall’arroganza, dalla separazione, dalla discriminazione, dall’uso facile delle armi.

Il neoliberismo ha mirato all’abbattimento delle barriere doganali che ostacolano la circolazione delle merci, in nome della libertà degli scambi e della realizzazione del mercato unico mondiale, come dire: sì alla libertà di movimento delle cose materiali in nome della liberalizzazione dei mercati, no a intralci alla libertà di movimento delle persone umane nel rispetto dei loro diritti fondamentali.

Nel sistema dell’Unione Europea c’è un po’ più di coerenza. Come noto, il processo di integrazione economica si è sviluppato all’insegna di “quattro libertà di movimento”: delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali. Un cocktail originale… Con il Trattato di Maastricht è sopraggiunta la ‘cittadinanza dell’Unione Europea”, quale valore aggiunto alle cittadinanze nazionali dei paesi membri. Con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Nizza, 2000) si è fatto un ulteriore passo avanti sul cammino della civiltà del diritto. Qualcosa di assolutamente innovativo è arrivata nel 2006 con il Regolamento (congiuntamente deciso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio UE), che prevede la creazione del ‘Gruppo europeo di cooperazione territoriale’, dotato di personalità giuridica di diritto comunitario europeo. Si tratta di entità territoriali transnazionali, organizzate con propri statuti ed organi, promosse e composte da enti di governo locali (comuni, province, regioni, lander, contee): insomma le Euro-regioni assumono forma pienamente giuridica. Questi enti sono genuinamente ‘territorio’, ma non ‘confine’. Inizia in Europa la liberazione della territorialità dall’uso monopolistico che ne è stato fatto, con muri e guerre, dagli stati ‘sovrani’.”


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