COVID-19 e popolazioni indigene
Negli ultimi mesi, a causa dello scoppio della pandemia di Covid-19, si è scatenata una crisi che non ha investito solo il sistema sanitario ma anche quello economico, sociale e politico. In generale quindi, nessuno può considerarsi escluso, soprattutto per quanto riguarda i soggetti più vulnerabili. Infatti, per questi ultimi, tra cui rientrano donne, bambini, anziani, persone con disabilità, rifugiati, richiedenti asilo, persone private di libertà o popolazioni indigene, come precisato dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, sono necessarie disposizioni ad hoc, in grado di prevenire o comunque mitigare l’impatto del virus. Questo breve testo tratterà nello specifico la situazione dei popoli indigeni e l’impatto della pandemia su questa già fragile realtà.
Nel mondo più di 476 milioni di persone appartengono a popolazioni indigene, corrispondente al sei percento della popolazione mondiale. Gli appartenenti a queste popolazioni sono riconosciuti come soggetti vulnerabili al livello internazionale, protetti dalla Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, adottata nel 2007, e dalla Convenzione n.169 dell’Organizzazione Internazionale del lavoro sui diritti dei popoli indigeni e tribali, adottata nel 1989.
In generale, i suddetti strumenti giuridici, oltre a riconoscerne i diritti, sono volte a proteggere l’identità delle popolazioni stesse, esortando gli stati a fornire risposte a possibili rischi e vulnerabilità che siano in linea con le relative tradizioni culturali e religiose. Infatti, per permettere che ciò avvenga, ogni progetto politico, sociale o economico che li riguarda dovrebbe essere accompagnato da un consenso libero, previo e informato da parte dei rappresentanti riconosciuti della popolazione indigena. È infatti tramite una consultazione con i beneficiari che gli stati o i privati sono chiamati a portare avanti le loro iniziative, anche e soprattutto nel contesto dell’emergenza Covid-19, sebbene nella pratica ciò non sia avvenuto.
Per quanto esistenti, nel complesso le Convenzioni sono state valutate come strumenti parzialmente efficaci, poiché non in grado di eliminare le discriminazioni e le disuguaglianze che investono le comunità indigene, peggiorate invece dall’attuale crisi. Infatti, se già prima dell’emergenza queste popolazioni avevano un tasso di povertà tre volte superiore rispetto alla media, essendo impegnate principalmente nel settore informale, dove mancano protezione sociale e adeguate condizioni salariali, con l’imposizione di misure emergenziali la situazione non poteva certo migliorare. Difatti, la riduzione della domanda di lavoro e la conseguente crisi economica ha portato gran parte dei nativi a non riuscire a procurarsi beni essenziali, tra cui il cibo.
Oltre a ciò, le precarie condizioni di salute, con alti tassi di mortalità e di malattie, sono caratteristiche ricorrenti tra i membri delle popolazioni, così come il mancato accesso ad acqua potabile, a saponi o igienizzanti ma anche e soprattutto alle strutture sanitarie, tutti elementi che contribuiscono a rendere il virus più pericoloso. Infatti, sebbene sia un diritto riconosciuto, l’accesso e l’utilizzo dei servizi sociali e sanitari da parte delle popolazioni indigene non è pienamente garantito poiché spesso vittime di stigmatizzazioni e discriminazioni che non permettono di poter usufruire delle migliori cure o tanto meno dell’accesso stesso alla struttura, quando disponibile.
Esistono poi ulteriori criticità a cui i popoli indigeni sono esposti, prima tra tutte il fatto che, nonostante gli appelli degli organi internazionali, non si sono fermate le attività estrattive e di produzione all’interno delle riserve. L’entrata nei territori di persone estranee, oltre ad essere in contrasto con i diritti riconosciuti alle popolazioni indigene, data l’impossibilità di condurre tavoli di negoziazione e quindi di ottenere un consenso previo e informato, determina un grave rischio per la salute e una violazione del diritto all’autodeterminazione di coloro che hanno deciso di mettere in atto misure di isolamento volontario.
Nel complesso, le comunità indigene si trovano particolarmente a rischio in diverse parti del mondo, dall’Australia all’Europa del Nord. Per questo, molte istituzioni pubbliche si sono prese carico dei problemi delle popolazioni che vivono all’interno dei loro territori, come in Canada, Colombia, India, Messico e Perù, riuscendo a prevenire la diffusione del virus tra le comunità indigene, fornendo assistenza sanitaria. In altri invece è risultata evidente l’incapacità dei governi di proporre misure adeguate alla protezione dei loro diritti, come nel caso del Brasile.
America Latina
Il Brasile si va ad inserire nell’area con la più alta densità di popolazione indigena del pianeta, l’America Latina, come mostrano i dati raccolti da un rapporto regionale, pubblicato dal Fondo per lo sviluppo dei popoli indigeni dell’America Latina e dei Caraibi (FILAC). La popolazione indigena della regione supera i 45 milioni di persone, circa il 10% della popolazione totale, con 826 gruppi indigeni di cui 100 transfrontalieri. Di questi, 305 sono registrati in Brasile, seguito da 102 in Colombia e 85 in Perù.
La pandemia COVID-19 si sta diffondendo rapidamente in America Latina e nei Caraibi, e in società con forti disuguaglianze come quelle presenti nella regione gli effetti di tale diffusione sono a loro volta disuguali. Le vulnerabilità rispetto al COVID-19 non sono tra l’altro le stesse per tutte le comunità indigene, che sono colpite in maniera diversa a causa delle differenze tra loro.
Come nel caso di altre minoranze marginalizzate, le popolazioni indigene della regione subiscono un maggiore impatto a causa di fattori precedenti alla diffusione della pandemia. Esistono infatti problemi strutturali che causano una correlazione tra popoli indigeni e maggiori tassi di povertà, legati a un minore accesso ai servizi essenziali. In alcuni paesi c’è inoltre una maggiore incidenza di problemi di salute, e in particolare le popolazioni indigene volontariamente isolate hanno un sistema immunitario più debole di fronte a patogeni esterni.
Le cause sono radicate nel razzismo strutturale e nella discriminazione storica a svantaggio delle popolazioni indigene, tramite processi che risalgono all'epoca coloniale e continuano tutt’oggi, come spiegato da una recente pubblicazione della Pan American Health Organization, dando vita ad una serie di conseguenze: redditi più bassi, livelli inferiori di scolarizzazione, percentuali più alte di popolazione nel lavoro informale e una maggiore presenza di malattie croniche. Tali sfide sono spesso in comune con altre minoranze etniche, come le popolazioni afrodiscendenti della regione. Lo stesso documento contiene una lista di raccomandazioni e spiega come tali problemi vadano affrontati attraverso misure sviluppate dal punto di vista delle minoranze etniche in questione, in America Latina così come nel resto del mondo.
A tal proposito, la Commissione interamericana sui diritti umani, organo dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha rilevato con preoccupazione, in un recente comunicato, l’offerta di servizi che non sono culturalmente appropriati, fornendo cure che ignorano le pratiche della medicina tradizionale e la diversità linguistica e culturale delle popolazioni indigene. Riconosce inoltre le stesse cause alla base della violazione sistematica dei diritti umani delle popolazioni indigene, in particolare quelli di natura economica, sociale, culturale e ambientale, e mette in guardia gli Stati in merito a tali violazioni, specialmente in relazione alle attività estrattive.
Le popolazioni della regione sono in molti casi sfollate a causa di conflitti interni, espropriazione della terra e barriere nell’accesso alle risorse naturali, rendendo le migrazioni interne un fenomeno comune. Particolarmente vulnerabile è la situazione delle donne indigene della regione, già in precedenza colpite da rischi specifici, ai quali si aggiunge l’aumento di violenza legato al periodo di permanenza in casa: in questo contesto, secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, è importante garantire che le donne indigene abbiano accesso a sistemi di supporto culturalmente pertinenti e disponibili nelle proprie lingue, compresa l’assistenza psicologica.
In Perù, ad esempio, sono stati rilevati i primi casi di COVID-19 all'ingresso di una delle riserve protette. In Ecuador, il Gruppo parlamentare per i diritti umani dell’Assemblea Nazionale ha denunciato la carenza di test diagnostici, in particolare nella comunità Siekopai, e le difficoltà di quest’ultima di ottenere provvedimenti per la loro protezione, allarmata dall’aumento del numero di casi.
Le preoccupazioni aumentano con la diffusione sempre maggiore attraverso l'Amazzonia, che minaccia le popolazioni indigene e in particolar modo quelle non contattate o in contatto iniziale.
Il caso del Brasile
L’amministrazione Bolsonaro, già criticata per una gestione inefficace dell’emergenza sanitaria e accusata per i crescenti attacchi alla democrazia e i diritti fondamentali, ha suscitato un incremento delle preoccupazioni circa la situazione della popolazione indigena durante l’emergenza sanitaria.
La Commissione interamericana dei diritti umani, il 6 maggio 2020, è intervenuta chiamando in causa gli stati membri ad “adottare misure urgenti per proteggere il diritto alla salute delle comunità indigene e ha messo in guardia gli stessi stati contro la vulnerabilità specifica delle popolazioni indigene, in particolare di quelle che si trovano in isolamento volontario o in contatto iniziale”. Secondo i rapporti ottenuti dalla Commissione, la quantità di terra che è stata illegalmente deforestata nei territori appartenenti al popolo Yanomami nello stato brasiliano di Roraima è aumentata del 3% nel mese di marzo, rispetto al mese precedente. Inoltre, la ONG International Work Group for Indigenous Affairs ha reso noto come i missionari evangelici abbiano continuato a condurre visite non autorizzate a comunità in isolamento volontario nella Vale do Javari, nello stato brasiliano di Amazonas. Le popolazioni indigene in Brasile, come del resto quelle presenti in tutto il mondo, si trovano in una situazione di particolare emergenza, aggravata dalla diffusione del Covid-19, considerando che, in molti casi, non avendo accesso ai servizi essenziali non è loro garantita un’adeguata assistenza medica. Secondo i dati della principale federazione indigena brasiliana, Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB), i decessi da COVID-19 nelle comunità indigene sono aumentati da 46 il 1º maggio a 262 il 9 giugno. Insieme ai numeri conteggiati dai dipartimenti sanitari di tutto il paese, le statistiche dell'APIB mostrano che il 9,1% degli indigeni che contraggono la malattia stanno morendo, quasi il doppio del 5,2 per cento tra la popolazione generale brasiliana. L’APIB ha inoltre dichiarato:
“il Coronavirus non è l'unica cosa che ci attacca. È impossibile proteggere le nostre comunità solo isolandosi, poiché le invasioni di taglialegna, minatori e land grabber continuano a violare i nostri diritti, distruggendo l'ambiente e aumentando le possibilità di infezione da Covid-19”.
Come riportato da Human Rights Watch, le preoccupazioni degli indigeni sono del tutto fondate se si considera che dall’insediamento del Presidente Bolsonaro, la deforestazione nella terra indigena in Amazzonia è aumentata del 65% da agosto 2018 a luglio 2019 . Preoccupazioni che si aggiungono al mancato intervento del governo nell’emanare misure concrete a tutela del popolo indigeno, nonostante i continui appelli delle varie comunità presenti nel territorio. L’inefficace gestione del governo Bolsonaro, in un contesto dove i diritti fondamentali sono stati già minacciati, ha portato le comunità indigene presenti nel territorio brasiliano ad inviare una lettera aperta all’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) affinché istituisca un fondo economico per l’emergenza tale da garantire un aiuto alle popolazioni durante la crisi sanitaria in corso. Sino ad ora, sebbene un intervento concreto a difesa degli indigeni è stato fatto dalla Corte Suprema, la quale è intervenuta sospendendo tutti i processi giudiziari di pignoramento e annullamento delle terre indigene durante la pandemia di Covid-19, le preoccupazioni non si attenuano. Difatti, come dichiarato dall’APIB:
“È urgente che le organizzazioni internazionali per i diritti dell'uomo facciano pressione sul governo brasiliano affinché rispetti la Costituzione e adotti misure per garantire la protezione delle popolazioni indigene. Continueremo a chiedere un piano d'azione d'emergenza al governo federale per proteggere la vita delle persone e una risposta seria da parte dei governatori di ogni Stato per adottare le misure suggerite dall'APIB, al fine di prevenire un altro genocidio”.