democrazia

Democratizzare il sistema della politica? Globalizzare la democrazia

Relazione svolta al Seminario nazionale della “Tavola della Pace”, Perugia 6-7 luglio 2001
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

1. Crisi della governabilità e crisi della democrazia sono fra loro avviluppate all’interno della   più vasta crisi della Politica 

I grandi, pervasivi processi di mutamento strutturale in via di accelerazione nel pianeta hanno come sopraffatto le capacità di adattamento attivo delle classi politiche. La globalizzazione economica, con tendenza sempre più pronunciata alla concentrazione verso l’alto delle decisioni che contano, sta avendo un effetto espropriante delle sedi istituzionali della politica ai vari livelli, dal micro livello locale (espropriazione degli enti di governo locale del ruolo di erogatori primari di servizi sociali essenziali) al macro livello mondiale (espropriazione delle Nazioni Unite del ruolo di garante primario della pace e della sicurezza internazionali). È l’effetto de-regulation debordato, anzi fatto debordare, dal campo delle transazioni economiche a quello dei processi politici e delle pubbliche istituzioni.

Per (ri)costituire il tessuto della politica su più avanzate basi di sostenibilità, occorre che al rifiuto del mito neo-liberista di un mercato mondiale avulso dai dettami della giustizia sociale, si accompagni la progettualità di una nuova cultura politica, segnata da una forte tensione morale, innovativa e strategica. I contenuti di questa cultura, perché siano in corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza delle sfide, devono articolarsi all’interno di una visione complessiva di (nuovo) ordine mondiale saldamente ancorata ai valori umani universali, con obiettivi di breve, medio e lungo periodo. Il paradigma etico-giurico dei diritti umani internazionalmente riconosciuti serve a questo fine e va pertanto insegnato, divulgato e utilizzato in tutta la sua carica creativa.

2. Per dare alla politica il primato che le spetta, occorre innanzitutto individuare e formare i  soggetti che possono validamente farsene carico.

Se si ritiene che l’attuale personale politico non è (stato), in buona misura, all’altezza dei propri compiti istituzionali e che il mondo dell’economia e della finanza non ha interesse a fornire un (nuovo) personale alla politica disposto a “inculturare” le leggi economiche nel contesto storico delle esigenze vitali di tutti, in ogni parte della terra, occorre puntare sui soggetti solidaristi del mondo di società civile, cioè di un bacino ricchissimo di risorse umane, di idee, di disponibilità, di voglia di operare nel concreto con spirito di giustizia, di condivisione e di servizio.

Non ci può essere oggi alcuna forma valida di governabilità se si prescinde dalla dimensione internazionale della vita sociale, economica e politica e dal riferimento ai diritti umani.

Le forme, organizzate e non, di società civile solidarista e pacificatrice dimostrano, in parole ed opere, di essere portatrici di una cultura che è allo stesso tempo valoriale e transnazionale e che fa appunto dei diritti umani il proprio codice di condotta. Considerate l’estensione anche geografica di questa realtà e la sua capillarità operativa, possiamo dire che siamo in presenza di una di quelle “forze profonde della storia” le quali, una volta emerse, trasformano anche le situazioni più vischiosamente consolidate.

3. Il metodo democratico, inteso non soltanto nelle sue espressioni elettorali, rappresentative, parlamentari – assolutamente irrinunciabili –, ma anche in quelle di più diretta e spontanea manifestazione di volontà popolare, comprese le attività anòmiche a condizione che siano rigorosamente nonviolente e rispettose dei diritti umani, è lo strumento naturale con cui asserire il primato della politica.. 

La democrazia è la via maestra, il cui percorso non deve però arrestarsi alle frontiere dei singoli stati. Perché possa assolvere al grande compito di liberatrice, anzi di redentrice della politica ai vari livelli territoriali della governabilità, la democrazia deve essere essa stessa rivisitata alla luce di “tutti i diritti umani per tutti”, deve cioè essere praticata come “tutta la democrazia” – politica, economica, sociale, rappresentativa, diretta, partecipativa – ed essere internazionalizzata e globalizzata, nel senso che la sua pratica deve superare le colonne d’Ercole dello stato nazionale ed estendersi anche ai grandi santuari della politica internazionale, dalla città fino alle Nazioni Unite. 

Discorrere di democrazia avendo come unico punto di riferimento lo spazio territoriale dei singoli stati, separatamente, è una sorta di accanimento terapeutico. Se è vero che le grandi decisioni vengono prese altrove, più o meno legittimamente, più o meno trasparentemente, che i relativi processi non sono più controllabili dall’interno del singolo stato, che i Parlamenti nazionali sono in crisi per…vuoto professionale (dato che non possono controllare ciò che viene deciso in sede extra-nazionale), bisogna convenire che la pratica della democrazia – non, attenzione, il valore della democrazia – è in crisi per mancanza di spazio, prima e più che per eventuali degenerazioni partitocratiche o immoralità civica dei corpi elettorali, langue dentro la camicia di forza dei singoli ‘dominii riservati’ degli stati.

4.Allargare il campo d’azione della democrazia è condizione indispensabile per la governabilità. Alla perdita di capacità degli stati, quale risultato dell’erosione della loro sovranità provocata dalla situazione di interdipendenza planetaria e dai processi multidimensionali della globalizzazione, non si può ovviare mediante strategie di (ri)nazionalizzazione, di innalzamento di muri confinari … Chi pensasse a questo, oltre che irrazionale non sarebbe immune da sindrome autoritaria e poliziesca. 

Occorrono invece strategie di adattamento attivo alle nuove esigenze della governabilità, strategie che perseguano forme nuove di statualità, di statualità  sostenibile. Questo comporta essenzialmente che i poteri di governo vengano redistribuiti su più livelli nello spazio mondializzato che, in particolare per un paese come l’Italia, parte dall’ente locale e arriva fino all’Unione Europea e alle Nazioni Unite. Il principio guida non può che essere quello della sussidiarietà, che rischia però di esaurirsi in uno sterile esercizio di geometria delle competenze istituzionali se non lo si riempie di contenuti sostanziali: questi sono i bisogni vitali e quindi i diritti fondamentali delle persone e dei popoli. 

È il caso di sottolineare che per l’Italia due sono in particolare gli ambiti istituzionali di governance sopranazionale che, per il loro impatto sull’ordinamento nazionale, assumono rilievo costituzionale.

L’obiettiva esigenza di nuova divisione del lavoro politico tra una molteplicità di istituzioni di governo operanti su vari livelli, giustifica le rivendicazioni di ruolo internazionale avanzate dagli enti di governo locale e regionale. Ad aumentare la legittimità di queste rivendicazioni contribuisce l’argomento che all’intrinseco carattere di universalità dei diritti umani universali corrisponde la dimensione mondiale dello spazio entro cui realizzarli e proteggerli: all’esercizio del diritto allo sviluppo concorre la cooperazione decentrata; alla costruzione della pace concorre il dialogo interculturale perseguito all’interno della comunità municipale … È importante, anzi urgente che quei Comuni, Province e Regioni che non l’avessero ancora fatto inseriscano nella prima parte dei rispettivi Statuti l’enunciazione dei principi relativi ai diritti umani con esplicito riferimento, oltre che alla Costituzione nazionale, anche ai principali strumenti giuridici internazionali in materia (Dichiarazione universale del 1948, i due Patti internazionali del 1966, in particolare la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini).

5. All’interno di questa strategia di potenziamento della politica attraverso la democrazia e di rilancio di questa attraverso il diritto internazionale dei diritti umani, un posto importante occupa lo sviluppo delle istituzioni internazionali multilaterali. Non si può prescindere da esse per orientare socialmente l’economia mondiale e per gestire un sistema di sicurezza che, perché sia valido, non può che essere collettivo e quindi sottoposto ad un’unica autorità sopranazionale. Il perseguimento di questi obiettivi implica che si guardi alle istituzioni internazionali come ad entità di governo, non più oltre come ad entità meramente ancillari rispetto agli stati. Nel loro insieme, esse vanno considerate come macro-polo della sussidiarietà che interagisce coi meso- e micro-poli degli stati e degli enti di governo regionali e locali. A partire da questa scelta di evidente razionalità, si impone con carattere d’urgenza il problema della qualificazione democratica delle Nazioni Unite e di altre importanti organizzazioni internazionali a cominciare dall’Unione Europea. Anche per esse vale il principio che, senza la pratica della democrazia, non ci può essere governabilità sostenibile, che cioè sia allo stesso tempo capace e adeguatamente legittimata. In altri termini, il potenziamento delle Nazioni Unite sarà frutto della iniezione della pratica della democrazia nel loro tessuto organizzativo e funzionale, prima e più che della volontà ‘diplomatica’ degli stati. Questa stessa volontà maturerà non da sola ma, come sottolinea il rapporto della “Commission on Global Governance” (1995), sotto la pressione della volontà della società civile.

A ben vedere, il dibattito sulla democrazia internazionale è già avviato, in Italia soprattutto a partire dal 1995 grazie alle attività promosse dalla Tavola della Pace (con la prima Assemblea della ‘ONU dei Popoli’ in particolare). Senza dubbio, le idee in materia sono più chiare nel mondo della società civile che in quello delle istituzioni di governo. È importante elucidarle ulteriormente.

Per i diplomatici, democrazia internazionale è sinonimo di sovrana eguaglianza degli stati che, tradotta in procedura di voto, significa: “One country, one vote” (per ogni stato, un voto). Ma questa non è “democrazia-potere di popolo”, è “potere di stato” ammantato del principio formale della “eguale sovranità” degli stati. 

Democrazia internazionale in senso autentico non è cosa diversa dalla democrazia che, partita dalla polis, è faticosamente arrivata, attraverso i processi di costituzionalizzazione, agli stati nazionali e che ha quindi dovuto indossare, soprattutto per esigenze spaziali, la veste ‘rappresentativa’. Ora c’è la nuova sfida di arrivare fino all’ONU.

I diritti umani aiutano a capire la ragion d’essere, il fondamento, il contenuto, le dimensioni della democrazia. Il popolo è il grembo originario del potere perché ciascuno/a dei suoi membri è titolare in via originaria di diritti fondamentali innati, è la legge fondamentale, è pro quota sua sovrano in via originaria. L’organizzazione della comunità politica si articola in sistemi che derivano la loro ragion d’essere dai bisogni dei soggetti originari: lo stato è un sistema derivato, coerentemente le costituzioni democratiche proclamano che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme stabilite appunto dalle costituzioni.

La democrazia ha dunque lo stesso fondamento dei diritti umani, cioè la dignità umana. Ne discende che coloro che fanno parte della maggioranza hanno gli stessi diritti fondamentali di coloro che sono minoranza. I diritti umani sono il nucleo duro della cosiddette ‘regole comuni’, che maggioranza e minoranza devono rispettare. 

Questa sintesi concettuale vale anche per la democrazia internazionale. I suoi soggetti sono le persone umane, soggetti originari, non gli stati, sistemi derivati. I soggetti collettivi che, in questo momento della storia, possono genuinamente farsi portatori della sovranità dei membri della famiglia umana, sono quelle organizzazioni non governative che si riconoscono in parole ed opere nel codice universale dei diritti umani. L’attribuzione del cosiddetto status consultivo alle ONG presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali è il riconoscimento implicito di questa realtà soggettuale, in presenza della quale il discorso della democrazia internazionale non è più utopico né astratto. Le istituzioni internazionali hanno bisogno di un più robusto sostegno popolare. Perfino il Consiglio di Sicurezza sollecita la collaborazione delle ONG in un campo, come quello della pace, della sicurezza e della giustizia penale internazionale, che era rimasto fino a ieri gelosamente riservato alla diplomazia di vertice degli stati. 

Dal canto loro, gli enti di governo regionale e locale possono efficacemente contribuire a far precipitare la massa critica democratizzante del sistema internazionale.

6. Concretamente, democratizzare le istituzioni internazionali significa:

  • conferire una più diretta legittimazione popolare agli organi rappresentativi delle principali istituzioni internazionali create dagli stati,
  • fornire più adeguati canali d’accesso alla partecipazione politica popolare all’interno dei processi di presa delle decisioni delle organizzazioni internazionali,
  • rendere più rappresentativa la composizione delle delegazioni degli stati in seno alle organizzazioni internazionali (rappresentanti dell’esecutivo, del parlamento, della società civile). Per quanto riguarda in particolare le Nazioni Unite, il problema della loro democratizzazione è stato sollevato e sempre più puntualmente elucidato dalle organizzazioni di società civile – non dai governi – nel quadro del dibattito sulla riforma. L’approccio “democrazia internazionale” ha indubbiamente elevato il profilo del dibattito politico in materia. Le proposte sono molte. Le più importanti e sulle quali c’è maggiore convergenza, sempre nel mondo di società civile, riguardano:
  • la costituzione di una seconda Assemblea generale, composta dai rappresentanti dei popoli delle Nazioni Unite”, che affianchi l’attuale Assemblea generale composta dai rappresentanti degli stati: in attesa di elezioni dirette di un ‘Parlamento delle Nazioni Unite’, si conviene sulla opportunità  di istituire una “Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite”, composta da delegazioni designate dai Parlamenti degli stati membri (dunque, assemblea elettiva di secondo grado),
  • la riforma del Consiglio di sicurezza aumentando il numero di membri riservato ai paesi del sud del mondo,
  • l’abolizione del potere di veto dei cinque membri permanenti e, subito, la moratoria del suo esercizio, in particolare per quanto riguarda soprattutto la materia dei diritti umani,
  • il potenziamento del regime di status consultivo delle ONG, riconoscendo a queste un ruolo di co-decisionalità per quanto riguarda la materia dei diritti umani, dello sviluppo umano e dell’ambiente,
  • la creazione di un Comitato o di un Foro delle NU rappresentativo degli enti di governo locale e regionale.

7.Per quanto riguarda l’Unione Europea, si tratta di colmare il deficit d mocratico al suo interno, tuttora persistente nonostante l’incremento di poteri del Parlamento europeo reso possibile mediante la procedura di co-decisione (affiancatasi alla procedura di concertazione e a quella di consultazione). Rimane il fatto che il Parlamento europeo, primo esempio di Assemblea sopranazionale eletta a suffragio universale diretto, non è ancora pienamente autonomo nel legiferare. Questo è uno degli obiettivi da conseguire con la massima urgenza. 

La rappresentanza degli interessi corporativi e di settore nel sistema UE rimane ancora privilegiata rispetto alla rappresentanza degli interessi generali dal fatto che, fin dall’inizio, i gruppi d’interesse economico di settore hanno avuto canali d’accesso prioritari presso la Commissione europea. Le ONG non hanno mai beneficiato di status consultivo. Un aspetto negativo della situazione complessiva è dato dal fatto che i cosiddetti partiti europei, in particolare i due più grandi PSE e PPE, sono strutture di coordinamento dei partiti nazionali e non possono gestire autonomamente le elezioni europee (non spetta loro fare le liste elettorali…). È, questo, un indicatore significativo della crisi della politica a livello nazionale.

Le principali proposte relative alla democratizzazione dell’Unione Europea riguardano, oltre il conferimento di poteri pienamente legislativi dal Parlamento europeo,:

  • l’apertura di validi canali d’accesso alle istituzioni UE per le ONG e gli enti di governo regionale e locale,
  • l’istituzione di un regime di consultazione delle ONG analogo allo status consultivo in vigore presso le altre organizzazioni internazionali,
  • la disciplina delle attività di lobbying mediante codici di condotta per i rappresentanti dei gruppi d’interesse economico,
  • la valorizzazione delle attività del Comitato Economico e Sociale,
  • la valorizzazione del ruolo del Comitato delle Regioni e dei Poteri Locali,
  • lo sviluppo dei partiti europei,
  • il conferimento di uno specifico portafoglio diritti umani ad uno dei Membri della Commissione europea.

La questione della “Costituzione europea” è evidentemente centrale all’intero processo di democratizzazione. Si tratta innanzitutto di equilibrare il contenuto della Carta dei diritti fondamentali dell’UE dando maggiore rilievo e specificità ai diritti economici, sociali e culturali. Si tratta quindi di inserirne il testo nel Trattato sull’UE, dandogli il crisma della giuridicità. C’è già una interessante mobilitazione popolare al riguardo. Per aumentarne l’efficacia, occorre un maggior coordinamento tra le ONG delle varie aree (pacifisti, federalisti, ambientalisti, ecc.).

8. Gli obiettivi della democratizzazione e della good governance in sede internazionale possono essere efficamente perseguiti all’interno di una strategia operativa che si avvale di due metodi contestuali e sinergici: l’incuneamento interstiziale e la costituente di nuovo ordine internazionale democratico.

Il primo metodo consiste nell’agire dentro le istituzioni della politica mondiale, soprattutto laddove esistono delle aperture e delle innovazioni (interstizi), cogliendo le opportunità che esse offrono (per mezzo di normative, status consultivi, conferenze mondiali, contro-rapporti ai 6 Comitati diritti umani delle Nazioni Unite, Millennium Forum del maggio 2000 al Palazzo di Vetro, Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ecc.). Dunque, dialogo e pressing dentro il sistema.

Il secondo metodo consiste nelle attività esplicate, in piena autonomia, all’interno della multiforme realtà delle formazioni transnazionali di società civile.  In questa sede si tratta, essenzialmente, di rendere sempre più chiaro, sistematico, organico, condiviso e operativo l modello di ordine mondiale fondato sui diritti umani. Parole d’ordine: chiarirsi le idee, coordinarsi, esercitare capacità di ingegneria politica e istituzionale.

In conclusione, l’impegno per la democrazia internazionale dà respiro e contenuti di good governance alla politica, stimola l’iniziativa e la creatività dei soggetti della politica, conferisce loro decoro e prestigio, consente di impiegare meglio risorse umane e finanziarie, evitandone il perdurante spreco per mantenere in piedi schemi istituzionali e organizzativi obsoleti. Anche dal punto di vista del calcolo costi-benefici, conviene mettere le Nazioni Unite e le altre legittime organizzazioni internazionali in grado di funzionare, costerà molto di meno ai singoli stati assicurare, insieme, la pace sociale (all’interno dello stato) e la pace internazionale.

Nessuno degli attuali partiti politici ha metabolizzato la cultura di “tutti i diritti umani per tutti” e della “democrazia internazionale” traducendola in organici programmi. Non potrà pertanto venire direttamente da essi il personale politico con la cultura, la competenza, lo spirito che sono necessari per conquistare alla politica il primato che le spetta. Questo potrà essere espresso direttamente dal mondo delle formazioni volontaristiche e solidaristiche della società civile, con la collaborazione degli enti di governo regionale e locale e con l’appoggio di formazioni religiose autenticamente spirituali, universaliste e umaniste. Un mondo reale, non soltanto un embrione. Le lauree di base triennali e quelle specialistiche biennali di recente attivazione nelle nostre università nella specifica materia dei diritti umani, delle relazioni internazionali, dell’integrazione europea, della cooperazione allo sviluppo, della pace, sono destinate ad alimentare la cultura del circuito virtuoso sopra delineato.

In Italia ci sono seri presupporti di un rinascimento della politica nel segno dei valori umani universali.

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