La Corte Africana dei diritti umani e dei popoli
La creazione della Corte Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli
A differenza del sistema europeo e inter-americano di promozione e protezione dei diritti umani, la Corte Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli non è stata creata contestualmente all’adozione della convenzione regionale sui diritti umani.
La Carta Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, adottata nel 1981, prevedeva solo l’istituzione di una Commissione con la funzione di controllo e supervisione della condotta degli Stati rispetto agli obblighi previsti dalla Carta stessa.
Le ragioni addotte per spiegare tale scelta sono di varia natura: per alcuni, i motivi sono radicati nelle tradizioni culturali locali, in particolare nella consuetudine, radicata nelle società africane, di risolvere le dispute attraverso strumenti di mediazione e conciliazione piuttosto che contenziose e conflittuali. Altri hanno sostenuto che gli Stati dell’allora Organizzazione per l’Unione Africana (OUA) che, agli inizi degli anni ottanta, avevano da poco riacquistato la loro sovranità, fossero restii a cederne di nuovo una parte ad un’istituzione sovranazionale.
Fu nel corso degli anni novanta, sulla scia delle ondate di democratizzazione degli Stati africani, che si giunse ad una maturazione culturale e politica che portò il Segretario Generale dell’OUA a riunire un comitato di esperti per uno studio sulla creazione della Corte Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli. Venne quindi redatto un Protocollo ad hoc alla Carta africana, adottato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel giugno 1998 ed entrato in vigore il 25 gennaio 2004. Gli Stati che hanno ratificato il Protocollo sulla Corte a febbraio 2023 sono 34.
Le competenze della Corte
La Corte è competente su tutti i casi riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Carta Africana sui diritti dell'uomo e dei popoli, del Protocollo ad hoc che provvede alla sua stessa creazione e di altri strumenti sui diritti umani ratificati dagli Stati in questione.
I casi possono essere presentati alla Corte da:
- la Commissione Africana sui diritti dell'uomo e dei popoli;
- gli Stati parte al Protocollo;
- le Organizzazioni intergovernative africane;
Per quanto riguarda i singoli individui e le Organizzazioni non governative a cui è stato riconosciuto lo status di osservatore presso la Commissione Africana sui diritti umani e dei popoli, essi hanno facoltà di adire direttamente la Corte solo nel caso in cui gli Stati, contro cui si presenta il caso, abbiano esplicitamente dichiarato di accettare tale procedura. È infatti necessario che venga depositata la Dichiarazione di cui all’art. 34(6) in casi che coinvolgono individui e organizzazioni non governative. Ad oggi, solo otto Stati lo hanno fatto: Burkina Faso, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Malawi, Mali, Niger e Tunisia.
Le funzioni della Corte
Funzione giurisdizionale
Ai sensi dell’articolo 3 del Protocollo, la Corte emette sentenze vincolanti su casi di violazione dei diritti umani e dei popoli così come sanciti dalla Carta africana o da altri strumenti per la protezione dei diritti umani ratificati dagli Stati in questione e ordina rimedi, riparazioni e, ove necessario, misure provvisorie. A differenza della Commissione, la Corte tiene udienze pubbliche e pronuncia pubblicamente le sentenze. Queste ultime sono adottate a maggioranza entro 90 giorni dalla conclusione della trattazione, a garanzia dell’interesse della vittima di avere una giustizia tempestiva.
Le sentenze della Corte sono definitive e inappellabili e gli Stati che hanno ratificato il Protocollo hanno l’obbligo di eseguirle. Può essere richiesta una revisione della sentenza nel caso vengano alla luce nuove prove e secondo le regole stabilite dal Protocollo. Lo Stato coinvolto deve presentare alla Corte delle relazioni periodiche che dimostrino l’attuazione della sentenza. La funzione di controllo sull’esecuzione delle sentenze della Corte è esercitata dal Consiglio esecutivo dell’Unione Africana. Nel caso in cui le sentenze non siano eseguite, è previsto, in ultima istanza, che l’Assemblea dell’UA possa imporre delle sanzioni nei confronti degli Stati che si dimostrano inadempienti.
Funzione consultiva
Come sancito dall’articolo 4 del Protocollo, su richiesta di uno Stato membro dell’Unione Africana, uno dei suoi organi o una qualsiasi organizzazione africana che abbia ottenuto status di osservatore presso l’Unione Africana, la Corte può emettere opinioni consultive su qualsiasi questione giuridica riguardante la Carta o ogni altro strumento in materia di diritti umani, a condizione che il contenuto del parere non si riferisca ad una materia oggetto di esame corrente da parte della Commissione.
La composizione della Corte
La Corte è composta da 11 giudici di nazionalità di uno degli Stati Membri dell’Unione Africana. Essi sono eletti dall’Assemblea dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione, sulla base della candidatura presentata degli Stati. Ogni Stato può proporre 3 candidature, almeno due delle quali possono essere di giudici della nazionalità dello Stato. Tuttavia, la Corte non potrà essere composta da più di un giudice di una stessa nazionalità. I giudici sono eletti nelle loro capacità individuali tra i giuristi africani di comprovata integrità e riconosciuta competenza pratica, giuridica o accademica ed esperienza nel campo dei diritti umani. I termini del loro mandato sono di 6 anni, rinnovabili una volta.
Il Protocollo prevede delle disposizioni volte a garantire l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici, in particolare stabilisce l’incompatibilità di tale carica con altre posizioni governative e non che possano interferire con le funzioni di giudice; riconosce le immunità diplomatiche a tutti i giudici della Corte; infine, un giudice non potrà partecipare all’esame di un caso se è cittadino dello Stato Parte in questione.
I giudici della Corte eleggono tra di essi un Presidente e un Vice Presidente che rimangono in carica per due anni e che possono essere rieletti soltanto una volta. Solo il Presidente lavora su base permanente nella sede della Corte, assistito da un Cancelliere che svolge funzioni di registro, gestione e amministrazione. Gli altri dieci giudici esercitano le loro funzioni solo a tempo parziale e sono convocati almeno quattro volte all’anno per le sessioni ordinarie. Possono essere richieste anche sessioni straordinarie su richiesta del Presidente o della maggioranza dei giudici.
Le attività della Corte
La Corte ha iniziato a svolgere le sue funzioni nel 2006 ad Addis Abeba, ma dal 2007 la sua sede è stata spostata ad Arusha, Tanzania. Durante i primi due anni di attività, si è occupata principalmente di questioni amministrative e operative, tra cui la redazione e l’adozione dei regolamenti interni che potessero assicurare la complementarietà con le competenze e le funzioni della Commissione Africana. L’intero processo si è concluso nell’aprile 2010 e, nel giugno dello stesso anno, la Corte ha adottato il suo regolamento.
Al marzo 2014, la Corte ha ricevuto 28 petizioni, molte delle quali sono state dichiarate inammissibili sulla base di una mancata competenza della Corte per questioni territoriali o temporali.
Uno degli aspetti più interessanti nell’attività giurisprudenziale della Corte è riconosciuto in un inconsueto ampio raggio di competenza che si riferisce non solo alla Carta Africana, ma a tutti i rilevanti trattati in materia di diritti umani ratificati dallo Stato interessato dal suo giudizio. Tale disposizione, da un lato, potrebbe permettere alla Corte di colmare eventuali lacune della Carta africana; dall’altro, però, potrebbe causare delle sovrapposizioni di competenze con altre istituzioni internazionali per i diritti umani. Ciò significa che se da una parte tale peculiarità potrebbe spingere gli Stati ad una maggiore e più coerente performance in ambito di diritti umani, dall’altra, potrebbe essere causa di indebolimento del sistema di protezione in generale, a causa di una frammentazione e divergenza degli standard.
Il rapporto con la Commissione Africana sui diritti dell'uomo e dei popoli
Come già menzionato il regolamento della Corte è stato adottato nel 2010 dopo una lavoro di armonizzazione con il regolamento della Commissione. Il sistema che ne emerge è simile a quello sviluppato nel contesto inter-americano e cioè è basato su due livelli successivi con l’assegnazione alla Corte di un mandato complementare rispetto a quello della Commissione.
Quest’ultima può riferire un caso alla Corte quando:
- considera che uno Stato parte non ha adempiuto alle raccomandazioni o alle misure provvisorie che gli ha indirizzato;
- constata l’esistenza di una situazione di gravi e massicce violazioni dei diritti umani;
- considera opportuno farlo, in qualsiasi fase dell’esame di una comunicazione.
Anche la Corte, in qualsiasi momento, può decidere di riferire un caso alla Commissione, per avere una sua opinione o una decisione in merito. Inoltre, se la Corte riceve un caso su cui non può deliberare perché lo Stato coinvolto non ha ratificato il Protocollo e/o non ha depositato la Dichiarazione di cui all’art. 34(6), il caso può essere presentato di fronte alla Commissione.
Futuri sviluppi: la Corte Africana di giustizia e diritti umani
Nel 2004, l’Assemblea dell’Unione Africana ha deciso che la Corte Africana dei diritti umani dovesse fondersi con la Corte di Giustizia Africana, quest’ultima prevista nell’atto costitutivo dell’UA ma mai istituita.
Conseguentemente, un Protocollo sullo Statuto della Corte Africana di Giustizia e Diritti Umani è stato aperto alla firma nel 2008 a Sharm el-Sheikh (Egitto) e ad oggi non è ancora entrato in vigore.
Lo Statuto del 2008 della nuova Corte prevede un’organizzazione basata su due sezioni: la prima competente per gli affari generali e la seconda per la tutela dei diritti umani e dei popoli. Alla sezione per gli affari generali spetta una sorta di competenza residuale, ossia tutte le materie che non ricadono nell’ambito dei diritti umani e dei popoli.
Nel 2010, ha trovato spazio un progetto di emendamento allo Statuto della Corte Africana di Giustizia e Diritti Umani per l’istituzione di una sezione penale, oltre alla sezione per gli affari generali e a quella per la tutela dei diritti umani e dei popoli.
Tale progetto si è concretizzato nel Protocollo di emendamento adottato nel 2014 a Malabo (Guinea equatoriale).
Il Protocollo del 2014 prevede quindi la creazione di una terza sessione competente per la responsabilità penale individuale su una serie di crimini internazionali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimine di cambio incostituzionale di governo, pirateria, terrorismo, mercenarismo, corruzione, riciclaggio di denaro, traffico di esseri umani, traffico di droga, traffico di rifiuti pericolosi, sfruttamento illecito di risorse naturali ed infine crimine di aggressione.
Il protocollo del 2014 potrebbe presentare alcune problematiche dal punto di vista giuridico. In primis, lo strumento va ad emendare un altro protocollo non ancora entrato in vigore, e la cui Corte conseguentemente non è ancora operativa.
Inoltre, data la volontà di creare un organismo giudiziario penale di competenza regionale, potrebbe crearsi una competenza parallela o conflittuale con la Corte penale internazionale, dal momento non è ad oggi previsto alcun coordinamento con quest’ultimo organismo.
Infine, nel 2020 è stato introdotto un nuovo regolamento. Le principali modifiche sono volte a rendere l’operato della Corte più efficiente, velocizzando alcuni processi. Tra queste, una delle novità più importanti è l’introduzione della cosiddetta “Pilot judgement procedure” che permette alla Corte, previo consenso delle parti coinvolte, di adottare un unico procedimento riparatorio per gruppi di cause simili. Questo renderebbe più rapide le sentenze per casi di violazioni strutturali o sistematiche da parte di uno Stato, poiché la Corte è dispensata dalla necessità di esaminare e deliberare su ogni singolo caso.