La lunga strada verso Rio
Nell’aprile del 1968, un ristretto gruppo di diplomatici, industriali e accademici provenienti da tutto il mondo si riuniscono in una villa romana, su invito dell’industriale Aurelio Peccei e dello scienziato scozzese Alexander King. Oggetto della discussione è la tendenza a fare previsioni a breve termine negli affari internazionali, con particolare riferimento al potenziale esaurimento delle risorse mondiali. E’ il primo degli incontri del Club di Roma, animato da un gruppo di persone illuminate che decidono di abbattere i comparti stagni del sapere ed iniziano a dare alla società una visione più ampia di un problema reale ancora non percepito.
Nel 1972 il Club commissiona al Massachussets institute of technology (MIT) un primo rapporto, poi entrato nella storia, su “I limiti dello sviluppo”, conosciuto anche come Rapporto Meadows. Nel condurre questi studi, il MIT considera 5 variabili tra loro interconnesse: la popolazione, la produzione di alimenti, l’industrializzazione, l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse. Il risultato fa emergere un dato impressionante. Secondo questo rapporto, infatti, esiste un ritardo tra gli effetti dello sfruttamento delle risorse e l’effettiva percezione dell’uomo che tali effetti producono sull’ambiente e sull’uomo stesso. Questo ritardo avrebbe effetti catastrofici perché non consente di elaborare per tempo alternative o cure ma anzi induce a continuare nella spirale dei consumi anche quando le risorse sono ormai in esaurimento. Nel Rapporto vengono quindi esplorati una serie di scenari e possibili scelte da parte della società civile allo scopo di conciliare progresso sostenibile ed esigenze ambientali. In assenza di qualsiasi iniziativa, il 2030 viene indicato come anno di non ritorno. Bisogna dire che il rapporto non invita il mondo alla cosiddetta ‘crescita zero’ ma al rinnovamento delle tecnologie allo scopo di non creare scossoni nelle economie nazionali ed internazionali.
Grazie anche a questi contributi, la relazione tra sviluppo economico e degrado ambientale entra nell’agenda delle Nazioni Unite. Sempre nel 1972, viene organizzata a Stoccolma la Conferenza delle Nazioni Unite sull' ambiente umano, la prima conferenza mondiale che tocchi i temi di ambiente e sviluppo insieme, alla quale partecipano i rappresentanti di 113 Stati. Al termine della Conferenza viene adottata la Dichiarazione di Stoccolma, che contiene un piano d’azione strutturato in 109 raccomandazioni e 26 principi che si richiamano ai diritti umani fondamentali, e in cui si afferma che le risorse naturali, così come la capacità della Terra di produrne di nuove, devono essere salvaguardate a beneficio delle generazioni presenti e future. Inizia, inoltre, ad emergere un’idea che viene oggi conosciuta come “principio di responsabilità” e che affida ai paesi industrializzati il mandato di cooperare con i paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso trasferimenti di tecnologia. Viene decisa, inoltre, l’istituzione del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), con sede a Nairobi, nonché un sistema di osservazione della Terra chiamato Earthwatch e attualmente integrato nell'UNEP.
In seguito, nel 1987, viene pubblicato il Rapporto Brundtland, che prende il nome da Gro Harlem Brundtland, presidentessa della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo delle Nazioni Unite (WCED), istituita nel 1983 dall’Assemblea Generale con Risoluzione 38/161. Conosciuto anche con il titolo Our common future (Il nostro futuro comune), il rapporto presenta gli esiti del lavoro della WCED e inizia a diffondere per la prima volta il concetto dello sviluppo sostenibile come di un necessario approccio alternativo alla crescita economica, allo scopo di non compromettere la capacità delle future generazioni di provvedere a soddisfare i propri bisogni primari.
E' in seguito a tale Rapporto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite decide di dar vita alla storica Conferenza su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro, 3-14 giugno 1992).