La responsabilità di proteggere e il dovere di intervenire
Mentre a Gaza continua il massacro di civili
Gli Stati Uniti votano
contro il cessate il fuoco umanitario
Ma cresce la mobilitazione del mondo per fermare le stragi. Domani ad Assisi la Marcia della pace
Gli Stati Uniti non vogliono l’immediato cessate il fuoco a Gaza. Davanti agli occhi del mondo, in uno dei momenti più drammatici della nostra storia, mentre a Gaza si sta consumando una immensa catastrofe umanitaria che minaccia l’esistenza di oltre due milioni di persone e di aggravare le tensioni internazionali, ieri gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva l’immediato cessate il fuoco.
Ma la mobilitazione mondiale per fermare il massacro di innocenti a Gaza e portare immediato soccorso alle vittime continua a crescere. E domani, ad Assisi, si svolgerà una nuova Marcia della pace e della fraternità per fermare le stragi. Alla Marcia, promossa dalla Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace e dalla Coalizione AssisiPaceGiusta, hanno aderito 339 gruppi e associazioni, 100 Comuni e Province e le principali organizzazioni della società civile italiana.
“Con un gesto eccezionale, il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres aveva esortato gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza a chiedere un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza per impedire la degenerazione della "catastrofe umanitaria" in corso. Ma gli Stati Uniti si sono assunti, da soli, la responsabilità di bloccare ancora una volta l’azione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Esortiamo l’Assemblea Generale dell’Onu a fare ciò che il Consiglio di Sicurezza non è riuscito a fare, cioè ad approvare una risoluzione che richieda il cessate il fuoco.
Il rifiuto di chiedere il cessate il fuoco pone gli Stati Uniti in netto contrasto con il dovere morale e politico della comunità internazionale di proteggere le persone e i popoli minacciati di genocidio e di intervenire per prevenire i crimini contro l’umanità (vedi il documento allegato “La responsabilità di proteggere e il dovere di intervenire”).
Nel piccolo come nel grande, chi si assume la responsabilità di non intervenire contro un crimine si rende complice.
Ora, anche l’Italia e l’Europa devono decidere da che parte stare. Dalla parte della legalità, del diritto internazionale e dei diritti umani, oppure dalla parte di coloro che lo stanno palesemente violando.
I governanti che rifiutano la centralità del diritto e delle istituzioni democratiche anche per il sistema della politica internazionale si pongono al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto criminale.
L’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto non possono più tacere. Devono dire all’opinione pubblica che invoca pace e giustizia, da che parte stanno.”
Flavio Lotti, Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
Marco Mascia, Centro Diritti Umani Antonio Papisca, Università di Padova
(Segue il documento “La responsabilità di proteggere e il dovere di intervenire”).
Assisi, 9 dicembre 2023 – Il 9 dicembre di 75 anni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (9 dicembre 1948) e, il giorno successivo, la Dichiarazione Universale dei diritti umani (10 dicembre 1948)
La responsabilità di proteggere e il dovere di intervenire
Considerazioni sulla responsabilità di proteggere le persone e i popoli minacciati e sul dovere di intervenire per prevenire i crimini contro l’umanità.
Con un gesto eccezionale, il 6 dicembre 2023, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha invocato, per la prima volta durante il suo mandato, l’articolo 99 della Carta Onu per richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza sulle stragi che si stanno compiendo a Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati.
L’articolo 99 statuisce infatti che “il Segretario Generale può richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che, a suo avviso, possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”.
E’ l’articolo che trasforma il Segretario Generale da un funzionario puramente amministrativo a uno con un’alta responsabilità politica, garante della pace e della sicurezza internazionale.
Nella lettera inviata al Consiglio di Sicurezza, il Segretario Generale porta per l’ennesima volta in poche settimane all’attenzione del Consiglio di sicurezza e di tutta la Comunità internazionale le tragiche conseguenze dell’intervento militare di Israele a Gaza. Oltre 15.000 persone uccise, di cui oltre il 40% sono bambine e bambini. Migliaia di altre persone ferite. Più della metà delle case distrutte. L'80% della popolazione, pari a 2,2 milioni di persone, sfollata con la forza in aree sempre più piccole. Più di 1,1 milioni di persone rifugiate nelle strutture dell'UNRWA in tutta Gaza o costrette a vivere per strada dove i residuati bellici esplosivi rendono le aree inabitabili. Un numero sempre maggiore di persone sta morendo senza essere curato. Almeno 130 funzionari dell'UNRWA uccisi con le loro famiglie.
Il Segretario Generale conclude il suo appello denunciando che “le condizioni attuali rendono impossibile la conduzione di operazioni umanitarie significative. Siamo di fronte a un grave rischio di collasso del sistema umanitario. La situazione sta rapidamente degenerando in una catastrofe con implicazioni potenzialmente irreversibili per i palestinesi nel loro complesso e per la pace e la sicurezza nella regione. Questo esito deve essere evitato ad ogni costo. La comunità internazionale ha la responsabilità di usare tutta la sua influenza per prevenire un'ulteriore escalation e porre fine a questa crisi”.
La lettera di António Guterres segue la dichiarazione di 36 esperti indipendenti del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite con la quale invitano la comunità internazionale a prevenire il genocidio del popolo palestinese.
Gli esperti delle Nazioni Unite, descrivendo fatti concreti, affermano che le gravi violazioni commesse da Israele contro i palestinesi dopo l’attacco condotto da Hamas il 7 ottobre, in particolare a Gaza, fanno pensare a un genocidio in atto.
La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948 per genocidio intende “ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.”
Quanto sta accadendo a Gaza corrisponde alla lettera alla definizione di genocidio contenuta nella Convenzione.
Gli esperti ricordano alla Comunità internazionale che esiste “un obbligo giuridico di prevenire i crimini di atrocità, compreso il genocidio e sollecitano un'azione immediata da parte degli Stati membri delle Nazioni Unite e del sistema ONU nel suo complesso”.
Il Segretario generale e gli esperti dell’ONU dicono espressamente che lo Stato di Israele sta violando tutte le norme del diritto internazionale, dalla Carta delle Nazioni Unite al diritto internazionale dei diritti umani, dal diritto internazionale umanitario al diritto penale internazionale.
Dicono anche che l’attuale situazione richiede l’immediata azione ai sensi del principio della “responsabilità di proteggere”. Un principio già più volte utilizzato dalla Comunità internazionale per prevenire il genocidio dei popoli kurdo, bosniaco e kosovaro.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita a livello di capi di stato e di governo, con la Risoluzione 60/1 del 16 settembre 2005 ha stabilito che “ogni singolo Stato ha la responsabilità di proteggere le sue popolazioni da genocidi, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. (…) La comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, ha anche la responsabilità di utilizzare adeguati mezzi diplomatici, umanitari e altri mezzi pacifici, in conformità con i Capitoli VI e VIII della Carta, per aiutare a proteggere le popolazioni da genocidi, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. In questo contesto, siamo pronti a intraprendere un'azione collettiva, in modo tempestivo e deciso, attraverso il Consiglio di sicurezza, in conformità con la Carta, compreso il capitolo VII, e del diritto internazionale (…) se i mezzi pacifici dovessero essere inadeguati e le autorità nazionali manifestamente non riescano a proteggere le loro popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l'umanità”.
Con questo solenne impegno gli stati dichiarano apertamente che l’intervento d’autorità della Comunità Internazionale negli affari interni di uno stato è legittimo quando sono violati o seriamente minacciati i valori supremi dell’ordinamento internazionale - diritti umani, pace, sicurezza - e il governo dello stato interessato si dimostra incapace di garantirli.
Ai sensi del vigente diritto internazionale, l’intervento d’autorità della Comunità internazionale non può essere effettuato da uno stato o da una coalizione di stati, ma deve avvenire sotto comando sopranazionale e nell’osservanza della Carta delle Nazioni Unite e delle Convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani. Poiché questa funzione spetta all’Onu, gli stati hanno l’obbligo di mettere l’Onu nella condizione di agire con tempestività ed efficacia.
I nostri governanti devono una volta per tutte decidere da che parte stare. Dalla parte dell’Onu, del multilateralismo e del diritto internazionale dei diritti umani, oppure dalla parte di coloro che, in una logica ancora tutta hobbesiana, westfaliana, statocentrica e dunque belligena, rifiutano autorità sopraordinate agli stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare le norme internazionali stabilite con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale. Non c’è una via di mezzo.
Quei governanti che rifiutano la centralità del diritto e delle istituzioni (democratiche) anche per il sistema della politica internazionale si pongono al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto criminale.
L’Italia e l’Unione europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto non possono più tacere. Non hanno più alibi. Devono dire all’opinione pubblica che invoca pace e giustizia, da che parte stanno.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che oggi compie 75 anni, viene scritta all’indomani della seconda guerra per affermare che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Ovvero per dire ai governi che non la sovranità nazionale e l’interesse nazionale, ma la dignità umana e i diritti umani devono essere posti al centro dell’ordine internazionale.
Non avremmo la Dichiarazione Universale se tre anni prima non fosse stata creata l’Organizzazione delle Nazioni Unite con il compito di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta delle Nazioni Unite sono la nostra Bussola. La Bussola dell’umanità. Non ci sono alternative alla via giuridica e istituzionale alla pace.
Marco Mascia, Centro Diritti Umani Antonio Papisca, Università di Padova
Flavio Lotti, Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
8 dicembre 2023