La sfida della nonviolenza e delle Beatitudini evangeliche per una politica di pace. Commento al Messaggio di Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2017
“Non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri”. Nel lanciare la sfida della “nonviolenza come stile di una politica di pace”, Francesco fa proprie queste parole di Madre Teresa: quanto drammaticamente attuali se si pensa alle carneficine portate avanti in non poche regioni del mondo, a cominciare dall’agonia di Aleppo! Nel segno della speranza – spes contra spem, verrebbe da dire – Francesco esalta la testimonianza di leaders di pace che hanno praticato la nonviolenza “con decisione e coerenza” conseguendo “risultati impressionanti”: il Mahatma Gandhi e Kan Abdul Ghaffar in India, Marrtin Luther King negli USA, Leymah Gbowee e migliaia di donne in Liberia.
Nonviolenza ‘come stile di un a politica di pace’ e Beatitudini del Discorso della montagna sono al centro del “manuale” della strategia di costruzione della pace, che Francesco indica come “un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo”.
Ma quale efficacia può avere la nonviolenza in un sistema internazionale dove la politica è ampiamente praticata come politica di potenza (power politics)? La risposta puntuale del Papa è di mettere in pratica “le norme morali”, partecipare attivamente ai lavori delle istituzioni internazionali, valorizzare il “contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli”.
Per limitare l’uso delle armi e della violenza bisogna dar forza al diritto quando questo si fa portatore di principi di etica universale, a cominciare dal rispetto della dignità della persona e dei diritti fondamentali che le ineriscono. Il metro per misurare la bontà di qualsiasi atto giuridico è oggi fornito dal Diritto internazionale dei diritti umani, che ha la sua fonte principale nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948): un Diritto ancor giovane ma di cui si è impossessata la coscienza profonda dei membri della famiglia umana, come dimostrano le testimonianze, anche eroiche, di individui e gruppi attivi in ogni parte del mondo. E’ il caso di ricordare che la Dichiarazione universale afferma tra l’altro che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” e che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. E’ un linguaggio fino a ieri estraneo al vocabolario del diritto e alla prassi della diplomazia, dove pace e guerra avevano, e purtroppo continuano da avere, lo stesso peso.
Il Messaggio di Papa Francesco sprona ad appropriarsi di questo linguaggio ed a tradurlo in coerenti atti politici. In Italia, un segnale incoraggiante in questa direzione viene da quanto sta accadendo in tema di Corpi civili di pace, di servizio civile universale e di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali. E’ stata di recente adottata una serie di atti normativi che usano termini fino a ieri oggetto di supponente tolleranza o di esplicita derisione negli ambienti della Realpolitik e della geopolitica: in particolare, nonviolenza e difesa non armata. L’istituzione, in via sperimentale, dei Corpi civili di pace figura nell’articolo 1, comma 253, della Legge del 27 dicembre 2013 ed è minuziosamente disciplinata dal Decreto 7 maggio 2015 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, dove sono citati, tra l’altro, “Un’Agenda per la pace” del Segretario Generale delle Nazioni Unite e l’articolo 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1998 riguardante il ruolo dei “difensori dei diritti umani”. La legge 6 giugno 2016 istituisce il Servizio civile universale “finalizzato… alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Costituzione”. La Legge 21 luglio 2016, n.145, annovera i Corpi civili di pace fra i soggetti deputati a partecipare alle “missioni internazionali istituite nell’ambito dell’ONU o di altre organizzazioni internazionali” a condizione che avvenga “nel rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”. La messa in atto sistematica di questi provvedimenti consente di rispondere in modo coerente e concreto alla esortazione di Francesco per far prevalere la forza della legge sulla legge della forza. La rivitalizzazione dell’articolo 11 della Costituzione, resa più attuale dal suo collegamento alla normativa internazionale sui diritti umani, comporta che anche i governanti e i diplomatici debbano familiarizzarsi con termini quali fratellanza, famiglia umana, coscienza, dignità umana, difesa non armata della patria, nonviolenza, e a spendere un potere che sia coerente con la ratio di questi termini, quindi un potere leggero (soft power), fatto di dialogo, comunicazione, negoziato, cooperazione, testimonianze anche personali di impegno nel risolvere i conflitti e costruire la pace fondata sulla giustizia e la solidarietà.
La forza delle armi è ingannevole, afferma Francesco e cita una frase di Madre Teresa: “Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona…danno la vita”. Oggi siamo in grado di dire che questi ‘poveri’ hanno dalla loro parte oltre che la forza del Vangelo e dell’etica universale, anche quella della buona norma giuridica, da conoscere e applicare ai vari livelli della governance. L’auspicio è che la normativa italiana sopra evocata, unitamente alla ‘sfida’ delle beatitudini lanciata da Francesco, sproni i governanti ad essere coraggiosi nel professare, in parole ed opere, nonviolenza e beatitudini.
Sul piano internazionale, un segnale importante viene dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che il 19 dicembre 2016, dopo quattro anni di aspro confronto in seno al Consiglio Diritti Umani, ha approvato la Dichiarazione sul diritto alla pace, con 131 voti a favore, 34 contrari, 19 astenuti. Con questo atto, il ‘diritto a godere la pace’ entra nell’elenco dei diritti fondamentali della persona formalmente riconosciuti dal Diritto internazionale. E’ un ulteriore contributo allo sviluppo di questo Diritto nel momento storico in cui “l’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune” e “urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale” (Enciclica Laudato Sì).
Bisogna essere consapevoli che, appunto nel mondo interdipendente e globalizzato, non si può fare a meno di adeguate istituzioni politiche internazionali. Per una efficace governance, oggi, non c’è alternativa alle legittime istituzioni multilaterali, da valorizzare in un contesto di governance multilivello dove sia fatto valere il principio di sussidiarietà. Occorre pertanto potenziare e democratizzare il sistema delle Nazioni Unite e delle organizzazioni regionali di integrazione.
L’agenda politica è certamente densa e complessa. Per gestirla occorrono educazione e formazione adeguate, unitamente al coraggio e alla passione che sono propri dei difensori dei diritti umani.