L’alternativa all’ONU è il sanguinoso disordine mondiale. A venticinque anni dall’Appello del pacifismo italiano per la democratizzazione e il rafforzamento delle Nazioni Unite

Marcia per la pace Perugia-Assisi “Noi popoli delle Nazioni Unite”, 24 settembre 1995

In questo mondo sempre più piccolo, interdipendente e violentemente rissoso si sta navigando alla cieca, ignorando la bussola che pur esiste. Negli ultimi decenni la politica si era arresa all’economia, oggi si rifiuta di prendere in considerazione elementari esigenze di razionalità e ragionevolezza.

Violenza, guerre, terrorismo, riarmo, tendenze autocratiche e dittatoriali, stringono sempre più la condizione umana nella morsa dell’insicurezza.

L’economia mondiale continua a rimanere estranea ai dettami della giustizia sociale, condizionata com’è dal mito del mercato e penalizzata dai danni provocati dal neo-liberismo.

Le classi governanti, fatta ogni debita eccezione, paiono paralizzate nella loro incapacità di difendere la vita nel rispetto della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili. La loro preoccupazione principale ha l’orizzonte corto ed egoistico del prossimo appuntamento elettorale.

La democrazia pare vacillare anche nei paesi di più antica esperienza, il frequente ricorso ai referendum è la maschera della rinuncia dei governanti alle loro responsabilità e questo ingenera sfiducia in coloro che pure vorrebbero veder fiorire la prassi democratica ovunque nel mondo.

C’è chi diffonde, irresponsabilmente, il contagio del mito funesto dello stato nazionale-sovrano-armato-confinario all’insegna dell’intolleranza e della minaccia di usare anche l’arma nucleare. Il comportamento di taluni potenti governanti ‘alienum est a ratione’ - traduzione letterale: fuori di testa -, espressione usata nella sempre attuale enciclica Pacem in Terris per stigmatizzare la tentazione di usare la bomba atomica.

Nel 1992, allo scoppio della prima guerra nel Golfo, il movimento pacifista italiano lanciò un Appello per la pace e la democratizzazione dell’ONU dando vita ad una massiccia mobilitazione per denunciare che i governi di molti stati, a partire dagli Stati Uniti, stavano agendo al di fuori della Carta delle Nazioni Unite. Il documento, promosso dall’Associazione per la Pace e redatto dal Centro Diritti Umani dell’Università di Padova, ebbe tra i primi firmatari Norberto Bobbio e Don Tonino Bello. Iniziava con la seguente frase: “L’ONU che vogliamo è l’ONU dei popoli, non l’ONU degli stati sovrani armati”. E proseguiva: “La sfida più grossa riguarda la gestione dell’interdipendenza planetaria, resa indifferibile dall’esistenza di altri processi di segno negativo operanti su scala mondiale, quali la distruzione delle risorse naturali e l’inquinamento ambientale, gli imponenti flussi migratori, i conflitti interetnici, la produzione di armi e la militarizzazione anche delle istituzioni civili … Quale idea di sicurezza? Ancora sicurezza nazionale e militare in primo luogo, per il perseguimento dell’interesse nazionale ovunque nel mondo, oppure sicurezza internazionale che per essere tale non può non essere allo stesso tempo economica, sociale e politica? Queste sono questioni di ‘nuovo ordine mondiale’ e la necessità dell’ONU dei popoli si pone al centro”.

Il monito del pacifismo italiano fu che si stava allora imboccando un china pericolosissima. I fatti dimostrano che era iniziata l’epoca della ‘guerra facile’, segnata da criminali avventure spacciate per guerre umanitarie, ‘operazioni di polizia delle Nazioni Unite’, guerre per i diritti umani: una catena di eventi flagrantemente illegali e senza sbocchi.

Ora si tratta di spezzare questa catena di morte, mobilitando le rette coscienze contro la follia della violenza per costruire l’ordine di pace positiva che è enunciato dall’articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e che è ulteriormente specificato dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto alla Pace, adottata dall’Assemblea Generale il 19 dicembre 2016 sotto una pressione popolare di cui sono stati parte attiva l’associazionismo e gli enti di governo locale in Italia.

L’impegno deve essere oggi profuso sulla via istituzionale alla pace, una via fatta di dialogo, negoziato, cooperazione, paziente confronto delle varie posizioni in campo e, allo stesso tempo, di ferma difesa della legalità internazionale. E’ la via da percorrere primariamente dentro le legittime organizzazioni internazionali a cominciare dalle Nazioni Unite. Diciamo con forza che questa è l’alternativa alla mortifera palude in cui la schizofrenia di certi governanti tiene immersa la famiglia umana.

In Italia è iniziata la sperimentazione del primo contingente di volontari dei Corpi Civili di Pace, previsti dalla importante Legge-quadro del 21 luglio 2016 n. 145 “Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali” il cui articolo 1 recita:

"Al di fuori dei casi di cui agli articoli 78 e 87, nono comma, della Costituzione, la partecipazione delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile e dei Corpi Civili di Pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene o comunque istituite in conformità al diritto internazionale, comprese le operazioni militari e le missioni civili di polizia e per lo Stato di diritto dell'Unione europea, nonché a missioni finalizzate ad eccezionali interventi umanitari, è consentita, in conformità a quanto disposto dalla presente legge, a condizione che avvenga nel rispetto dei principi di cui all'articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale".

C’è di che essere orgogliosi e pieni di speranza per questa puntuale scelta di pace positiva. L’articolo 11 della Costituzione prende infatti nuovo vigore per indirizzare l’Italia verso politiche di ‘neutralità attiva’, da intendere non come un pilatesco lavarsi le mani di fronte alle guerre e all’illegalità, ma come impegno a trovare alleati per far funzionare, potenziare e democratizzare le Nazioni Unite e altre legittime istituzioni multilaterali e contribuire al rafforzamento della cooperazione internazionale per il disarmo, lo sviluppo sostenibile e la sicurezza umana:

“Ognuno ha il diritto alla sicurezza umana, che comprende la libertà dalla paura e la libertà dal bisogno quali elementi costitutivi di pace positiva, nonché la libertà di pensiero, coscienza, opinione, espressione, credo o religione, in conformità al diritto internazionale dei diritti umani. La libertà dal bisogno implica il godimento del diritto allo sviluppo sostenibile e dei diritti, economici, sociali e culturali. Il diritto alla pace è collegato a tutti i diritti umani, compresi i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali” (Consiglio Diritti Umani delle NU, Documento A/HRC/20/31 del 16 aprile 2012 “Rapporto del Comitato Consultivo del Consiglio Diritti Umani sul diritto dei popoli alla pace”).

Urge far funzionare il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite e avviare la moratoria dell’esercizio del potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza in analogia con quanto sta avvenendo per la moratoria universale dell’esecuzione della pena capitale.

Quanto sopra comporta più legittimazione diretta degli organi che decidono in sede sopranazionale e più partecipazione popolare alla presa delle decisioni.

L’Appello del 1992, ricco di suggerimenti operativi, terminava con la seguente proposta: “Come movimento pacifista che vuole esercitare appieno la sua soggettualità politica sulla scena interna e internazionale, ci assumiamo la responsabilità di promuovere in ogni nostra azione l’effettività del diritto internazionale dei diritti umani. Chiediamo al Parlamento e al Governo italiano di agire affinché il futuro delle Nazioni Unite venga definitivamente riscattato dall’ipoteca della disposizione transitoria contenuta nell’articolo 106 della Carta:

In attesa che entrino in vigore accordi speciali, previsti dall’articolo 43, tali, secondo il parere del Consiglio di Sicurezza, da rendere ad esso possibile di iniziare l’esercizio delle proprie funzioni a norma dell’articolo 42, gli Stati Parti alla Dichiarazione delle Quattro Potenze, firmata a Mosca il 30 Ottobre 1943, e la Francia, giusta le disposizioni del paragrafo 5 di quella Dichiarazione, si consulteranno tra loro e, quando lo richiedano le circostanze, con altri Membri delle Nazioni Unite in vista di quell’azione comune necessaria al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.

A venticinque anni di distanza dall’Appello del 1992 ribadiamo la ferma convinzione che all’attuale criminoso andazzo delle relazioni politiche ed economiche internazionali non c’è alternativa sostenibile al di fuori della cooperazione da perseguire, primariamente, dentro le legittime istituzioni multilaterali. Quanti liquidano questa prospettiva con espressioni di stampo disfattista del tipo ‘le Nazioni Unite non contano nulla, sono inutili’, senza ammettere che la responsabilità del difficoltoso funzionamento dell’ONU è degli stati, alimentano gli effetti distruttivi della Realpolitik,  remano contro la buona storia che pur è iniziata con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Nel mondo globalizzato al positivo e al negativo, l’irrinunciabile principio di sussidiarietà deve potere aver gioco all’interno di una architettura multilivello della governance dove i poli terminali da valorizzare, in basso e in alto, sono rispettivamente l’ente di governo locale e il sistema delle Nazioni Unite e di altre istituzioni sopranazionali (Unione Europea, Unione Africana, ecc.), poli segnati da spazi d’azione che sono, ambedue, ‘territorio’ ma non ‘confine’.

Sulle comunità locali si riversano direttamente, cioè senza la schermatura delle istituzioni centrali degli stati, gli effetti dei processi di globalizzazione. L’ente locale deve far fronte a problemi che sono di ordine mondiale e siccome è sul piano mondiale che questi vanno primariamente affrontati e risolti, l’ente locale è legittimato a interloquire direttamente in sede mondiale attraverso la “city diplomacy”.

Per sua stessa natura costitutiva, l’ente locale è il primo e più immediato garante di tutti i diritti umani per tutti coloro che risiedono nel suo territorio.

Se, come recita l’articolo 1 della Dichiarazione Universale “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, la cittadinanza fondata sui diritti umani non può che essere allo stesso tempo globale, plurale e inclusiva.

I Corpi Civili di Pace hanno fatto il loro ingresso nell’ordinamento giuridico e nell’apparato funzionale della Repubblica Italiana in virtù di atti normativi nei quali figurano espressioni inconsuete per il vocabolario del diritto, della diplomazia e della politica ‘ufficiale’: nonviolenza, difesa non armata, famiglia umana, fratellanza, difensori dei diritti umani, lottare per i diritti umani (to strive for human rights).

Fino a ieri, l’habitat semantico di queste parole era quello dell’etica e della militanza del volontariato e delle organizzazioni solidariste di società civile. Oggi, queste categorie concettuali, a partire dalla  nonviolenza, sono recepite dallo ius positum e consentono di dire che “se il diritto e l’eguale dignità sono salvaguardati senza discriminazioni e distinzioni, di conseguenza la nonviolenza intesa come metodo politico può costituire una via realistica per superare i conflitti armati. In questa prospettiva è importante che si riconosca sempre più non il diritto della forza, ma la forza del diritto”. C’è qui, magistralmente riassunta, la lezione del realismo profetico di Papa Francesco (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017 intitolato “La nonviolenza e il diritto internazionale”).

Concretamente, già nel breve periodo, per potenziare e democratizzare le Nazioni Unite occorre rompere l’autoreferenzialità dei vertici intergovernativi istituendo, a fianco della attuale Assemblea Generale rappresentativa degli stati, una Assemblea Parlamentare delle Nazioni Unite composta da delegazioni dei parlamenti nazionali come già avviene in organizzazioni quali, tra le altre, il Consiglio d’Europa e l’Unione Africana. Al riguardo si ricorda che anche il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in appoggio a questa proposta avanzata da ambienti di società civile solidarista.

In un rapporto del 2004, preparato dal Centro Diritti Umani dell'Università di Padova col titolo 'La società civile globale per la riforma e la democratizzazione delle Nazioni Unite', al paragrafo 5 (Democratizzare la governance globale) è contenuta la proposta di promuovere una 'Global coalition' per l'indizione di una 'Convenzione (universale) per il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite' in analogia alla prassi seguita della  'Convenzione' realizzata dall'Unione Europea nel 1999 dalla quale scaturì la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, Carta 'proclamata' a Nizza nel 2000 e resa giuridicamente vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009. Alla Convenzione universale dovrebbero partecipare i rappresentanti sia degli stati, sia delle organizzazioni non governative, sia dei governi locali,  sia delle istituzioni multilaterali.

Questa idea si trova sostanzialmente ripresa dal Rapporto della 'Commissione sulla sicurezza, la giustizia e la governance globale', presieduta da Madeleine Albright, già Segretario di Stato e Ambasciatore USA alle Nazioni Unite, e da Ibrahim Gambari, già Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite. Nel Rapporto  'Confronting the crisis of global governance', lanciato al Palazzo della Pace dell'Aja il 16 giugno del 2016, si propone che venga indetta nell'anno 2020 una 'Conferenza mondiale sulle istituzioni globali'' in occasione del 75° anniversario delle Nazioni Unite con all'ordine del giorno, tra le altre proposte, quella intesa a creare un organo parlamentare delle Nazioni Unite e limitazioni all'esercizio del potere di veto in sede di Consiglio di Sicurezza. Per la preparazione di questa 'Conferenza mondiale' il Rapporto sottolinea la necessità di dar voce ai rappresentanti della società civile e degli enti di governo locale.

Si chiede al Parlamento e al Governo che manifestino adesione a questa proposta, auspicabilmente promuovendo la scesa in campo di una coalizione di stati disposti a condividerla (like-minded states) e a dialogare con organizzazioni non governative esperte nel networking come è avvenuto nel caso della Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antipersona e dello Statuto di Roma per la Corte penale internazionale, e con rappresentanti degli enti locali per la pace e i diritti umani. La 'city diplomacy' ha radici nel principio di sussidiarietà ed è complementare alla diplomazia di pace positiva degli stati.

Poiché, come recita la Costituzione dell’UNESCO, “le guerre nascono nelle menti degli uomini ed è nelle menti degli uomini che le difese della pace devono essere costruite”, occorre intensificare l’educazione e la formazione alla pace, ai diritti umani e alla cittadinanza inclusiva. Si chiede al Governo di potenziare l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado secondo quanto contenuto nella  Carta europea sull’educazione alla cittadinanza democratica e sull’educazione ai diritti umani del Consiglio d’Europa (2010) e nelle Dichiarazioni delle Nazioni Unite rispettivamente sull’educazione e la formazione ai diritti umani (2011) e sul Diritto alla pace (2016).

Il forte messaggio di pace che scaturisce dall’istituzione dei Corpi Civili di Pace è una considerevole risorsa di ‘soft power’ (potere ‘leggero’, nonviolento) che il Governo italiano deve e può utilmente spendere sulla via istituzionale alla pace ribadendo, opportune et inopportune, che gli ideali espressi nella Carta delle Nazioni Unite hanno il sigillo dell'universalità e che l'ONU deve essere messa in grado di garantire il diritto internazionale dei diritti umani da essa generato.

 

Padova, 20 aprile 2017

Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova e Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace dell’Università di Padova.

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