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Misure urgenti della Corte Internazionale di Giustizia per scongiurare il genocidio a Gaza. Ma la guerra non si ferma

La Corte Internazionale di Giustizia inizia l'udienza del caso Sud Africa contro Israele all'Aia
© UN Photo/ICJ-CIJ/ Frank van Beek

1. Il 26 gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia (CIG) si è pronunciata con ordinanza sulla richiesta di misure urgenti presentata dal Sud Africa nella controversia iniziata dallo stesso stato contro Israele e relativa all’applicazione della convenzione per la punizione e prevenzione del crimine internazionale di genocidio. [1] La decisione è stata adottata dalla CIG ai sensi dell’art. 41 dello statuto della CIG ed è quindi da considerarsi vincolante per gli stati a cui è indirizzata (§ 83) e non è impugnabile. Il voto a sostegno dell’ordinanza è stato quasi unanime: solo la giudice Julia Sebutinde (Ugandese) ha votato contro tutti i punti del dispositivo. Il giudice ad hoc nominato da Israele, Aharon Barak, ha votato contro la maggior parte delle conclusioni, ma a favore di alcune delle misure cautelari ordinate dalla CIG.

2. Il Sudafrica aveva chiesto che la Corte riconoscesse come plausibile l’accusa portata contro Israele di violare, nel quadro dell’operazione militare attualmente in corso sulla striscia di Gaza e iniziata a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, gli articoli II e III della Convenzione contro il genocidio. Come conseguenza di tale accertamento, il Sud Africa chiedeva che la Corte indicasse a Israele alcune misure urgenti volti a tutelare nell’immediato i diritti che la Convenzione garantisce – ovvero, il diritto alla esistenza della popolazione palestinese di Gaza – e alla conservazione delle prove su cui dovrà fondarsi il futuro giudizio definitivo nel merito della controversia, un giudizio che potrà essere emesso presumibilmente tra uno o due anni. Si ricorda infatti che un procedimento simile è stato presentato dal Gambia contro Myanmar l’11 novembre 2019 e un’ordinanza che disponeva misure urgenti è stata emessa dalla CIG il 20 gennaio 2020; le obiezioni di ammissibilità sono state risolte con una sentenza del 22 luglio 2022 e la discussione nel merito è attesa iniziare nel 2024.

3. Con l’ordinanza del 26 gennaio 204, la CIG ha riconosciuto che “almeno alcuni dei diritti citati dal Sudafrica e dei quali chiede la tutela sono plausibili” (§ 54). Si riferisce in particolare al diritto dei palestinesi di Gaza ad essere protetti contro gli atti di cui all’art. III della Convenzione contro il genocidio, [2] ovvero il genocidio; l’intesa mirante a commettere genocidio; l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; il tentativo di genocidio e la complicità nel genocidio, nonché il diritto del Sud Africa a pretendere il rispetto da parte di Israele della Convezione. Quanto alle misure urgenti da indicare a Israele, la Corte si è invece significativamente discostata dalle richieste dello stato ricorrente, come vedremo.

4. In questa fase, la CIG non era chiamata a dirimere la controversia, ma solo a verificare che questa non fosse manifestamente estranea alla sua giurisdizione e che l’accusa avesse un plausibile fondamento nella sostanza. Verificate, almeno provvisoriamente, queste condizioni, la CIG poteva disporre misure cautelari strettamente connesse alla materia di cui era stata investita, ovvero volte a fermare o prevenire atti di genocidio, aderendo alle richieste del Sud Africa o anche discostandosene. Non era insomma chiamata a decidere sul diritto di difesa di Israele dopo l’attacco del 7 ottobre, sul diritto di autodeterminazione dei palestinesi e tantomeno sull’insieme della “questione palestinese”. Non doveva nemmeno entrare nel merito dei crimini di guerra e contro l’umanità che sicuramente si stanno commettendo nella guerra di Gaza e, a rigori, nemmeno entrare nei dettagli dell’accusa di genocidio rivolta a Israele. Doveva solo decidere se, sulla base di una preliminare disanima dei fatti e alla luce delle norme sul crimine di genocidio, fosse opportuno indicare a Israele e eventualmente ad altri soggetti delle misure urgenti per tutelare i diritti che atti di genocidio potevano compromettere e per rendere possibili ulteriori indagini e una decisione finale sull’accusa di genocidio.

5. Un primo punto controverso regolato, almeno provvisoriamente, dalla CIG nella sua ordinanza, riguardava l’esistenza stessa di una controversia tra i due stati. In effetti, il Sud Africa aveva più volte criticato l’azione militare di Israele su Gaza in sedi internazionali, ma uno scambio diplomatico diretto tra i due paesi si era materializzato solo pochi giorni prima del deposito dell’atto istitutivo del procedimento. Secondo Israele, i due governi non avevano ancora articolato le loro rispettive posizioni circa l’interpretazione, l’applicazione e l’eventuale violazione della Convenzione sul genocidio e quindi la controversia in senso giuridico non era ancora nata al momento della presentazione del ricorso, il 29 dicembre. La CIG osserva che l’esistenza di una controversia tra due stati non dipende dall’instaurazione formale di una qualche procedura, ma dall’apprezzamento sostanziale dei fatti compiuto dalla CIG stessa. Dopo alcune dichiarazioni di vari paesi, tra cui il Sud Africa, all’Assemblea Generale delle NU, il Ministero degli affari esteri israeliano aveva emesso un comunicato in cui definiva le accuse di genocidio “moralmente ripugnanti”, “oscene” e “oltraggiose” (§ 27). Una controversia, quindi, era materialmente esistente tra Israele e i suoi accusatori e la sua risoluzione in sede giudiziaria davanti alla CIG non richiedeva necessariamente un preventivo passaggio per via diplomatica o altra formalizzazione. Oltretutto, la Convenzione sul genocidio non ne fa in alcun modo menzione. La controversia quindi sussiste e può essere sottoposta alla CIG.

6. La giurisdizione della CIG nel caso in questione si fonda sull’art. IX della Convenzione sul genocidio, ratificata da entrambi i paesi (Israele nel 1950, il Sud Africa nel 1998) senza riserve. L’art. IX dice che “Le controversie tra le Parti contraenti, relative all’interpretazione, all’applicazione o all’esecuzione della presente Convenzione, comprese quelle relative alla responsabilità di uno Stato per atti di genocidio o per uno degli altri atti elencati nell’articolo III, saranno sottoposte alla Corte internazionale di Giustizia, su richiesta di una delle parti alla controversia.” Questa norma definisce il perimetro dei poteri della Corte: essa dovrà solo pronunciarsi sulla questione genocidio, anche se è chiaro a tutti che i fatti in corso a Gaza e in tutta la regione scatenati dall’attacco del 7 ottobre prefigurano violazioni di molte altre norme internazionali, a cominciare da quelle del diritto internazionale umanitario. Il Sud Africa è pienamente abilitato a stare in giudizio, poiché la Convenzione ha creato degli obblighi erga omnes partes e ciascuno stato parte della Convenzione può chiederne il rispetto, indipendentemente dall’essere o meno colpito dal comportamento illecito. Su questo stesso principio si fonda il caso instaurato nel 2019 dal Gambia contro Myanmar.

7. La questione centrale che l’Ordinanza doveva affrontare era determinare se esisteva, almeno a prima vista, un plausibile caso di genocidio in atto da parte di Israele contro i palestinesi di Gaza. La Corte, come anticipato, ha concluso che effettivamente l’ipotesi genocidio è plausibile. Questa conclusione è fondata su due ordini di considerazioni. Da un lato, autorevoli ricognizioni fattuali (vengono citati, in particolare, i rapporti dell’OCHA e dell’OMS) descrivono le catastrofiche distruzioni umane e materiali che l’intervento militare israeliano ha causato a Gaza, dove in poco più di tre mesi sono state uccise oltre 25.000 persone. (Il giudice Bhandari, nella sua dichiarazione aggiunta all’ordinanza, ritiene che i dati terribili di una campagna militare pesantissima siano sufficienti a giustificare la plausibilità dell’ipotesi di genocidio). Dall’altro lato, la CIG valorizza alcune osservazioni del Commissario generale dell’UNRWA, una lettera congiunta di 37 special rapporteurs e esperti indipendenti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, un comunicato del Comitato contro la discriminazione razziale, nonché estratti dalle dichiarazioni di alcuni esponenti del governo israeliano, dai quali traspare la possibile esistenza dell’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza. Per esempio, il ministro della difesa, Yoav Gallant, il 9 ottobre affermava: “Stiamo lottando contro delle bestie umane”; il presidente israeliano, Isaac Herzog, il 12 ottobre, diceva, a proposito di Gaza: “c’è un’intera nazione lì fuori che è responsabile […] Combatteremo fino a spaccargli la schiena” (§ 52). Questo linguaggio disumanizzante, unito alle operazioni militari di estrema durezza condotte sulla Striscia, rende plausibile, secondo al CIG, che il diritto dei palestinesi di Gaza a non essere oggetto di azioni genocidarie possa essere stato violato.

8. L’esistenza del dolo specifico necessario per il delitto di genocidio è stata negata con sdegno dal governo di Israele. Questo punto ha costituito anche l’argomento centrale dei legali dello stato nel dibattimento davanti alla CIG. È anche ciò che il giudice ad hoc Barak ha messo in evidenza nella sua opinione separata da quella della maggioranza dei giudici. Secondo Barak, il contesto corretto in cui collocare la discussione sui crimini commessi da Israele – e da Hamas – è quello del diritto dei conflitti armati e dei crimini contro l’umanità. Il Sud Africa avrebbe usato strumentalmente l’accusa di genocidio per perseguire l’obiettivo di ottenere dalla CIG una condanna dell’operazione militare di Israele. Ora, la legittimità dell’invocazione da parte di Israele del diritto di autodifesa di fronte all’azione compiuta da Hamas il 7 ottobre e l’eventuale carattere sproporzionato o indiscriminato dell’uso della forza militare a Gaza in questi mesi, sono questioni che non riguardano la Convenzione sul genocidio, ma appunto l’interpretazione del diritto internazionale in materia di autodifesa e del diritto internazionale dei conflitti armati, non la Convenzione sul genocidio. Questa posizione è anche quella espressa nella sua opinione dissidente dalla giudice Sebutinde, che sottolinea in generale come il conflitto israelo-palestinese sia fondamentalmente politico e per certi versi ideologico e poco si presti a una soluzione strettamente giuridica come quella che può fornire la CIG (“un po’ come la proverbiale prova della scarpina di Cenerentola”, § 4 della dissenting opinion).

9. Se i dati sulla estrema letalità dell’azione militare israeliana su Gaza sono difficilmente contestabili, ciò che appare più problematico provare – sia pure in via provvisoria – è che tali azioni siano sostenute da un intento genocidario riscontrabile tra i vertici del governo israeliano. Il giudice ad hoc Barak sviluppa un confronto tra i criteri usati nel 2020 dalla CIG per valutare l’esistenza di un possibile intento nel caso Gambia v. Myanmar [3] e quelli utilizzati dalla stessa CIG nell’Ordinanza del 26 gennaio 2024. Nel 2020, la CIG si era fondata su una serie di accurati rapporti di una apposita Commissione di fact-finding che, tra il 2017 e il 2019 aveva riferito alle Nazioni Unite sulle politiche di “pulizia etnica” del governo contro la minoranza Rohingya, riscontrandovi elementi sufficienti per concludere che vi erano stati commessi crimini internazionali, compreso il genocidio. La CIG non aveva fatto altro che avallare le conclusioni estremamente documentate della Commissione. Secondo il giudice Barak, seguito in questo anche dai giudici Nolde e Sebutinde, la CIG non ha usato uno standard altrettanto elevato nel concludere sulla plausibilità dell’ipotesi di genocidio nel caso di Gaza. La CIG infatti, in questo caso, si è basata su poche dichiarazioni di esponenti politici israeliani, alcune delle quali emesse in giorni di intensa emozione collettiva per l’eccidio del 7 ottobre, che assimilavano Hamas all’intero popolo palestinese e apparentemente incitavano alla distruzione di entrambi, senza dare però altrettanto peso ad altre dichiarazioni, provenienti anch’esse dai vertici politici e istituzionali di Israele, secondo le quali obiettivo dello dei bombardamenti era esclusivamente la distruzione di Hamas, non dei palestinesi di Gaza, e l’operazione era volta a difendere Israele e liberare gli ostaggi. Le distruzioni, ampiamente documentate, perpetrate dalle forze armate israeliane nel corso dei combattimenti su Gaza, le uccisioni di civili, le espulsioni e gli attacchi a obiettivi protetti, risultavano accompagnate anche da misure di protezione dei civili e di mitigazione degli effetti dell’uso della forza, messe in campo dagli stessi israeliani, che dichiarano anche di osservare il principio di precauzione nella pianificazione e conduzione degli attacchi, nonché di avere attuato tregue umanitarie e accompagnato gli aiuti alla popolazione civile. L’alto numero di morti tra i civili e le immense distruzioni dovevano essere intese anche come conseguenza delle condotte illecite delle fazioni riconducibili ad Hamas. Quest’ultimo, non applica il diritto umanitario e continua a detenere centinaia di ostaggi di cui nemmeno comunica l’identità. In conclusione, Barak, e in misura ancor più netta la giudice Sebutinde, ribadiscono la pertinenza di un’analisi fondata sul diritto internazionale umanitario e considerano del tutto inconferente la categoria del genocidio.

10. 15 giudici su 17 hanno concluso che almeno alcuni diritti tutelati dalla Convenzione contro il genocidio sono a rischio nel conflitto in corso a Gaza; si deve quindi procedere a ordinare le misure ritenute necessarie e urgenti per prevenire un pregiudizio irreparabile a tali diritti, nonché per preservare le prove necessarie per il futuro accertamento dei fatti della causa.

11. Anche su questo punto le posizioni delle parti divergono radicalmente. Il Sud Africa ha sottolineato l’inedita gravità delle distruzioni che l’azione militare in Gaza sta causando (il Sud Africa parla di una media di 247 palestinesi uccisi ogni giorno), anche ricorrendo a modalità operative che, oltre a costituire presumibilmente crimini di guerra, ricadono nelle fattispecie tipiche del genocidio, quali ad esempio il blocco delle forniture alimentari e mediche per la popolazione civile. Ne deriva un’evidente e urgente esigenza di far tacere le armi. Israele, dal canto suo, nega che le operazioni in corso siano tali da comportare un imminente e irreparabile rischio per la sopravvivenza della popolazione di Gaza, e ciò proprio in virtù dell’osservanza da parte delle sue forze armate dei principi del diritto umanitario.

12. Una posizione intermedia è quella assunta dal giudice Georg Nolte, che ha allegato alla Ordinanza una dichiarazione con cui prende parzialmente le distanze dalla maggioranza. Nolte ritiene che il Sud Africa non abbia portato prove convincenti secondo cui un genocidio sia plausibilmente in corso. Anche se la giurisprudenza della CIG su che cosa sia un fatto “plausibile” non è chiara, Nolte concorda con Barak e Sebutinde nel ritenere inadeguate le prove fornite, specie se confrontate con quelle, ben più solide, su cui la CIG si è fondata nel caso Gambia v. Myanmar. Tuttavia, prosegue il giudice, non si può escludere, vista la preoccupante retorica dei vertici politici e militari israeliani, che sussista un serio rischio di genocidio se, come sembra, certi discorsi disumanizzanti trovano eco presso le forze armate israeliane e possano quindi non solo tradursi in incitamento al genocidio, ma anche sfociare in condotte materiali ai danni dei palestinesi, e che le autorità israeliane possano trovarsi in condizione di non poter controllare tale escalation con gli strumenti repressivi di cui dispongono. Quindi, pur non ritenendo allo stato attuale plausibile che un genocidio sia in atto, delle misure devono essere assunte con urgenza per contrastare tempestivamente il grave rischio di genocidio che l’attuale clima di radicalizzazione del conflitto fa intravedere.

13. Il Sud Africa, sia nel ricorso sia in dibattimento, ha chiesto alla Corte di ordinare misure urgenti articolandole in nove punti (§ 11). La prima e più significativa misura richiesta riguardava l’immediata sospensione delle operazioni militari israeliane a Gaza e contro Gaza. Con il secondo punto si chiedeva che Israele fermasse qualunque altro gruppo armato anche irregolare di appoggio alla sua azione bellica. Al terzo punto si chiedeva alla CIG di intimare a entrambe le parti (quindi anche al Sud Africa, in quanto stato parte della Convenzione sul genocidio) di agire per prevenire il genocidio. A Israele, in particolare, deve essere richiesto (quanto punto) di non compiere contro il popolo palestinese, inteso quale gruppo protetto dalla Convenzione, alcuno degli atti enumerati all’art. II della Convenzione stessa, ovvero a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo (non è richiamata la fattispecie del trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro). Per evitare atti di genocidio consistenti nel sottoporre il gruppo a condizioni che ne provochino la distruzione, il Sud Africa chiedeva inoltre (quinta domanda) alla Corte di ordinare a Israele di cessare espulsioni e sfollamenti di civili, di non impedire l’accesso a acqua e cibo nella misura adeguata, all’assistenza umanitaria e alle cure mediche, nonché di fermare “la distruzione della vita dei palestinesi a Gaza”. Israele deve anche farsi carico di impedire a propri agenti ma anche ogni altro gruppo e individuo soggetto al suo controllo o influenza di compiere atti di genocidio nonché dal compiere le altre condotte di cui all’art. III della Convenzione (incitamento, conspiracy, tentativo e complicità nel genocidio) e punire tali atti (sesta richiesta). Israele dovrebbe inoltre evitare la distruzione delle possibili prove della commissione di un genocidio e consentire missioni a Gaza di organismi di fact-finding o investigativi (settimo punto). Israele dovrebbe infine sottoporre alla CIG entro una settimana dall’ordinanza una relazione su come sta attuando tali misure e continuare a aggiornare la CIG nei mesi successivi fino alla definizione della causa (ottavo punto), nonché (richiesta numero 9) impegnarsi a non adottare nessuna azione che possa aggravare la controversia o rendere più difficile la sua soluzione.

14. La CIG concorda con il Sud Africa nel ritenere che la situazione umanitaria di Gaza richieda azioni urgenti sia sul versante del miglioramento delle condizioni materiali di vita dei palestinesi, sia con riguardo alle azioni per prevenire e punire atti di genocidio. Anche le recenti dichiarazioni delle autorità israeliane che si sono impegnate a perseguire gli autori di crimini contro civili palestinesi e ogni incitamento a commettere tali atti, sono considerate non sufficienti a eliminare il rischio di un ulteriore deterioramento della situazione.

15. Solo alcune delle misure urgenti richieste dal Sud Africa possono essere collegate, secondo la CIG, alla plausibile esposizione dei palestinesi di Gaza a un genocidio. In particolare, non è accolta la richiesta di immediata sospensione delle operazioni militari né quella, strettamente connessa, di agire su gruppi armati irregolari pro-israeliani allo stesso fine. Anche se la CIG non elabora su questo punto, pare evidente che i giudici considerino il “plausibile” genocidio dei palestinesi di Gaza come non necessariamente collegato alla campagna militare lanciata da Israele all’indomani del 7 ottobre. La Corte non è chiamata a esprimersi sul punto se tale attacco sia o meno legittimo secondo il diritto internazionale come misura di autodifesa legittima in base all’art. 51 della Carta delle NU o a qualunque altro titolo, dal momento che la Convenzione sul genocidio non si occupa in alcun modo di questa materia. Né è tenuta a esprimersi sul suo carattere eventualmente illecito alla stregua del diritto umanitario, quale rappresaglia prevalentemente diretta a colpire dei civili. La controversia, come più volte sottolineato, non concerne il diritto umanitario, ma solo la Convenzione sul genocidio.

16. La questione se l’azione di Israele sia giustificata in base al diritto di autodifesa è molto controversa. L’autodifesa ex art. 51 Carta NU, infatti, presuppone un’aggressione. Ma l’attacco scellerato di alcune migliaia di miliziani di Hamas e della Jihad Islamica a civili israeliani del 7 ottobre e la successiva cattura di ostaggi è attribuibile a un soggetto non-statale ed è pertanto dubbio che possa essere considerato un’aggressione. Inoltre, esso ha avuto luogo nel contesto di un’occupazione militare istituita da Israele sui territori attribuiti alla Palestina con la guerra del 1967 e tuttora perdurante. Più che di un’aggressione, si dovrebbe quindi parlare di un attacco condotto da Hamas in spregio alle norme del diritto umanitario a cui Israele ha risposto con una rappresaglia militare che per molti versi si presenta come a sua volta incompatibile con il diritto umanitario. Vero è che Israele nel 2005 ha smantellato le proprie installazioni militari e civili nella Striscia di Gaza; ma ciò non necessariamente ha fatto cessare il suo status di potenza occupante. Da un lato, infatti, la Striscia, per quanto politicamente a sé stante dopo il coup di Hamas del 2006-7, è parte integrante del territorio attribuito alla Autorità Nazionale Palestinese insieme alla West Bank: poiché quest’ultima rimane sotto controllo militare israeliano è legittimo pensare che lo stesso status si estenda anche a Gaza; dall’altro, il ritiro di Israele da Gaza è, per così dire, sui generis, visto che lo stato ebraico mantiene uno stretto controllo su quasi tutti i confini terrestri e marittimi della Striscia.

17. Le misure urgenti che la CIG indica a Israele sono strettamente connesse agli obblighi che già le si applicano derivanti dalla Convenzione contro il genocidio. La prima misura obbliga Israele a attuare la Convenzione con riguardo ai palestinesi di Gaza e cioè prevenire e astenersi dal commettere qualsiasi atto di genocidio ai sensi dell’art. II della Convenzione (anche in questo caso, curiosamente, si omette di richiamare la fattispecie della sottrazione di bambini) (§ 78). La seconda misura urgente impone a Israele di prevenire e punire il diretto e pubblico incitamento a commettere genocidio contro i palestinesi di Gaza (§ 79). Una terza misura riguarda la “adozione immediata e efficace di misure che consentano la somministrazione dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria di cui la popolazione ha urgente bisogno e di fare fronte alle disastrose condizioni di vita presenti nella Striscia di Gaza” (§ 80). Israele inoltre deve prevenire la distruzione e assicurare la conservazione delle prove dell’eventuale commissione di crimini di genocidio (§ 81) e, infine, presentare entro un mese alla CIG una relazione sull’attuazione di tali misure urgenti, su cui il Sud Africa potrà presentare commenti. Mentre la giudice Sebutinde ha sistematicamente votato contro tute le misure urgenti decise dalla maggioranza (coerentemente con la sua conclusione che le circostanze non fanno emergere alcuna plausibile ipotesi di genocidio), il giudice ad hoc Barak, pur negando che il genocidio dei palestinesi sia plausibile, ha votato a favore degli ordini rivolti a Israele di reprimere l’incitamento al genocidio dei palestinesi di Gaza e di rendere possibile l’aiuto umanitario nella Striscia, due misure giudicate compatibili con il riconoscimento dell’infondatezza dell’accusa proveniente dal Sud Africa e utili per il contenimento del conflitto e il sostegno alle vittime.

18. L’ultima considerazione che la CIG svolge prima del dispositivo (§ 85) è un richiamo a tutte le parti del conflitto a Gaza dal rispetto del diritto internazionale umanitario e l’espressione della propria preoccupazione per gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, di cui chiede l’immediato e incondizionato rilascio.

19. L’Ordinanza della CIG è in linea con quanto ci si attendeva. Da un lato non ha chiuso la porta all’ipotesi che la guerra a Gaza – ennesimo capitolo del conflitto Israelo-Palestinese, un conflitto che ha almeno altrettanti anni della Convenzione contro il genocidio – possa configurarsi o rischi di degenerare in un apocalittico pogrom di palestinesi perpetrato da soldati israeliani. Un’ipotesi aberrante, ma che la CIG non cancella dall’orizzonte. Dall’altro, nel rigettare la richiesta del Sud Africa di ordinare a Israele di sospendere o terminare (unilateralmente) le operazioni militari a Gaza, ha lasciato a Israele il beneficio del dubbio quanto alla legittimità delle operazioni che sta conducendo. Il giudice ad hoc Aharon Barak ha sintetizzato la propria prospettiva sulla decisione dicendo che “Il Sud Africa si è presentato davanti alla Corte con l’obiettivo di ottenere l’immediata sospensione delle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Ha cercato, a torto, di imputare ad Abele il delitto di Caino. La Corte ha respinto la principale richiesta del Sud Africa”. Può essere. Resta tuttavia il fatto che la parola “genocidio” potrà essere oggi accostata allo stato di Israele non solo per ricordare che gli ebrei che vivono in Israele portano nei loro corpi i segni della Shoah, il genocidio per antonomasia che ha marchiato per sempre il XX secolo; ma anche per ricordare che nessun paese e nessun governo è vaccinato per sempre contro il virus della violenza vittimaria.

20. Sul piano pratico e politico, la decisione della CIG non sembra in grado di modificare di molto, nel breve periodo, la situazione sul terreno. È auspicabile che essa induca le forze armate israeliane ad applicare i principi di diritto umanitario con maggiore attenzione alla sostanza di quelle norme, oltre che alla forma, che stimoli la massima vigilanza delle istituzioni sul degenerare della violenza da parte di milizie estremiste nel resto dei territori occupati e sul proliferare dei discorsi di odio – tutte dinamiche che le misure urgenti adottate dalla CIG mettono giustamente a fuoco. È da augurarsi peraltro che la stessa evoluzione positiva possa investire anche gli altri attori del conflitto, in Palestina e al di fuori della Palestina. Per quanto riguarda però la cessazione delle ostilità e la fine del tormento imposto alla popolazione di Gaza, è evidente che altri strumenti, oltre a quello estremamente circoscritto rappresentato dall’art. IX della Convenzione sul genocidio, devono essere urgentemente attivati. Tra questi, e sempre per restare nel campo delle procedure di ordine giudiziario, è da ricordare il meccanismo della Corte penale internazionale (CPI), che persegue il crimine di genocidio commesso da persone fisiche, indipendentemente da quale sia la eventuale responsabilità dello stato. Le indagini dell’ufficio del procuratore sono in corso [4] e possono riguardare sia crimini commessi da qualsiasi individuo nel territorio della Palestina (che ha ratificato lo Statuto di Roma istitutivo della CPI), sia crimini commessi da palestinesi o cittadini di altri stati membri nel territorio di Israele (che non è membro della CPI).

 

 

[1] Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide in the Gaza Strip (South Africa v. Israel). Order. Request for indication provisional measures, No. GL 192 (ICJ 26 January 2024). Nel testo alcuni pragrafi dell’Ordinanza sono citati con il loro numero.

[2] ‘Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio’, General Assembly Resolution 260 A (III) 1948, https://unipd-centrodirittiumani.it/it/archivio/strumenti-internazionali/convenzione-per-la-prevenzione-e-la-repressione-del-crimine-di-genocidio-1948.

[3] Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (The Gambia v. Myanmar), Provisional Measures, Order of 23 January 2020, I.C.J. Reports 2020, p. 3

[4] Karim) Khan, ‘We Are Witnessing a Pandemic of Inhumanity: To Halt the Spread, We Must Cling to the Law’, The Guardian, 10 November 2023, https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/nov/10/law-israel-hamas-international-criminal-court-icc.

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