Non più schiavi, ma fratelli
“Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”. E’ il perentorio divieto contenuto nell’articolo 4 della Dichiarazione universale dei diritti umani, sostanzialmente ribadito dall’articolo 8 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, con l’aggiunta che “nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio”. Il divieto è tra i più antichi del diritto internazionale consuetudinario. Risale al 1815 una Dichiarazione sull’abolizione della tratta degli schiavi, seguita da numerosi Trattati e Convenzioni internazionali: tra gli altri, la Convenzione del 1949 per la soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui, il Protocollo del 2000 sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini, allegato alla Convenzione contro il crimine transnazionale organizzato, il Protocollo alla Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell’adolescenza riguardante il traffico, la prostituzione e la pornografia infantile. Sul piano europeo si segnalano la Convenzione del 2000 del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani e la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea dell’aprile 2011 per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.
Papa Francesco riconosce che “a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata abolita nel mondo” in virtù di norme inderogabili, “eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme ... ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”. Segue nel Messaggio una puntuale tipologia di soggetti vulnerabili, che divengono preda di varie forme di asservimento operato da schiere di trafficanti: lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei vari settori, a livello formale e informale; migranti privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente; persone costrette a prostituirsi, schiave e schiavi sessuali; minori e adulti fatti oggetto di mercimonio per l’espianto di organi, arruolati come soldati o per l’accattonaggio o per attività illegali come per esempio le forme mascherate di adozione internazionale; gli ostaggi dei gruppi terroristici. Il realistico linguaggio usato non è quello abituale dei documenti pontifici.
La criminalità in questione è come una piaga che si allarga a mò di metastasi. Il Papa denuncia una “sempre più diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo...che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità”. Le cosiddette forme moderne di schiavitù – trafficking di donne e minori, arruolamento di bambini nei corpi militari e paramilitari e loro impiego in azioni di violenza, peggiori forme di lavoro minorile, vendita di organi, ecc. - sono appunto espressioni di metastasi, alla cui riproduzione su scala transnazionale non sono estranei i tentacolari processi di globalizzazione in atto. Ogni anno nel mondo sono vittime di trafficking fino a 2,4 milioni di persone, per un giro d’affari di 35 miliardi (stime Ocse). Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, complessivamente sono 1,3 miliardi i lavoratori sfruttati.
Il tradizionale commercio di schiavi dall’Africa è cessato, ma c’è la schiavitù di ampi strati sociali e di intere popolazioni, in varie parti del mondo, costrette da insane politiche neoliberiste alla fame e a rinunciare all’autosufficienza alimentare. Forme subdole di riduzione in schiavitù sono quelle praticate da sette e fondamentalismi di varia natura. Per non parlare di una forma di schiavitù tanto diffusa quanto di difficile sradicamento come quella che si consuma tra le pareti domestiche. Tra le cause, oltre a quella ontologica del “rifiuto dell’umanità nell’altro”, il Papa indica la povertà, il mancato accesso all’educazione, la mancanza di opportunità di lavoro, la corruzione di quanti sono disposti a tutto per arricchirsi, i conflitti armati, il terrorismo.
Cosa fare per prevenire e reprimere queste espressioni della malvagità umana? Globalizzare la fraternità: è l’appassionata chiamata di leva che Papa Francesco lancia per debellare le moderne forma di schiavitù. Come prima accennato, le sempre più puntuali carte giuridiche, pur indispensabili e irrinunciabili, non sono sufficienti. La questione è essenzialmente morale e come tale va affrontata partendo, nell’ottica trascendente di Francesco, dal suggestivo impianto teologico del Messaggio che fa perno sull’assunto che “il peccato di allontanamento da Dio, dalla figura del padre e del fratello, diventa un’espressione del rifiuto della comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento”. Uscire quindi dalla palude dell’indifferenza – tema ricorrente nelle esortazioni di questo Papa – compiendo “gesti di fraternità” nei confronti di coloro che sono tenuti in condizioni di asservimento. A questo proposito, Egli segnala l’”enorme lavoro” svolto da molte congregazioni religiose, specialmente femminili, e da numerose organizzazioni di società civile solidarista allo scopo di “spezzare le catene invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori”.
Nella parte del Messaggio segnata dal forte orientamento all’azione che caratterizza il modo di comunicare di Francesco c’è l’indicazione di un triplice ordine di impegni per le pubbliche istituzioni: prevenzione, protezione delle vittime, azione giudiziaria, con meccanismi che non lascino spazio alla corruzione e all’impunità. Sul piano dell’applicazione delle leggi, i colpevoli vanno puniti ma allo stesso tempo occorre intervenire sul contesto socio-economico e politico che più o meno direttamente favorisce il crimine.
Considerato il carattere transnazionale della moderna schiavitù, occorre sviluppare “una cooperazione a diversi livelli, che includa le istituzioni nazionali e internazionali, le organizzazioni di società civile e il mondo imprenditoriale”. In particolare le imprese hanno il dovere di “vigilare affinchè forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di distribuzione”. Per questa visione strategica, il riferimento è al principio di sussidiarietà, territoriale e funzionale, da declinare, con appropriate politiche pubbliche e sociali, all’interno di un sistema coordinato di governance multi-livello, dalla comunità locale fino alle istituzioni multilaterali. che gli stati devono impegnarsi a fare funzionare efficacemente. Poichè i reati si compiono laddove la gente vive quotidianamente, occorre mettere le istituzioni locali nella condizione di realizzare adeguati programmi di inclusione per superare le diseguaglianze.
Per interiorizzare il valore della fraternità e orientarlo alla pratica di gesti concreti, l’educazione al rispetto della dignità umana dei singoli e dei diritti che ineriscono egualmente ad ogni essere umano, rimane la via maestra. Su questo percorso di laicità positiva, che è di illuminazione delle menti e di conversione dei cuori, la regola aurea è quella contenuta nell’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
E’ l’etica universale che diventa precetto giuridico attraverso lo sviluppo del Diritto internazionale dei diritti umani.
A conclusione di queste brevi riflessioni sul contenuto di un bel Messaggio, tanto ricco di spunti spirituali e per l’azione civica e politica quanto agevole di lettura, ritengo importante segnalare che la pubblicazione del testo, avvenuta il 10 dicembre 2014, è stata significativamente preceduta da un evento di altissima portata etica e religiosa non soltanto per la dinamica del dialogo interreligioso. Il 2 dicembre 2014, nella ricorrenza della Giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù, il Papa ha firmato in Vaticano, insieme con i leaders anglicani, ortodossi, buddisti, indù, ebrei e musulmani, una solenne Dichiarazione per l’impegno delle fedi a operare insieme per l’eliminazione entro il 2020 della schiavitù in ogni sua forma. Nel discorso pronunciato per l’occasione, Egli ha usato espressioni fortissime come “delitto aberrante”, “crimine di lesa umanità”, “crimine contro l’umanità”, richiamando i governi e l’opinione pubblica alla responsabilità di “elevare lo standard della vita spirituale e la visione liberatrice dell’uomo”.
Con questa storica iniziativa, Francesco ha certamente inteso dire a tutti: cominciamo noi, leaders religiosi, a dare il buon esempio per gesti di fraternità.