Il mio primo incontro con don Milani risale a una quarantina di anni fa.
Ero arrivato a Firenze nell'inverno tra il '52 e il '53 per effetto di un trasferimento punitivo inflittomi dal ministro Sceiba. Ero funzionario degli Archivi di Stato, avevo da poco raggiunto la sospirata sede di Napoli ed ero alla vigilia del matrimonio. Gli archivi dipendevano allora dal ministero degli Interni dove mal si tollerava la dissidenza politica, e io, per i miei trascorsi partigiani e per il mio presente di militante socialista attivo e attivista, ero da tempo oggetto di una attenzione non benevola. Fu così che nel clima arroventato di una vigilia elettorale nella quale sarebbe stata in gioco la sorte di quella che allora veniva definita la "legge-truffa" - una legge che assicurava un premio di maggioranza ai partiti che si fossero apparentati tra loro superando il cinquanta per cento dei suffragi - mi trovai sbalzato, in virtù di un telegramma del ministro Scelba,
da Napoli a Firenze. Mi vendicai, parecchi anni dopo, concorrendo fortemente a promuovere in sede parlamentare, a fianco del presidente della Commissione istruzione del Senato, che era allora Giovanni Spadolini, il passaggio dell'amministrazione degli archivi dalle competenze del ministero degli Interni a quelle del neonato ministero dei Beni Culturali, realizzando un antico auspicio di studiosi e archivisti, i quali non riuscivano a capire perché una istituzione squisitamente culturale come quella degli archivi dovesse dipendere dal ministero di polizia [...]