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10/4/2013
Colombe, simbolo di pace, liberate nei pressi della moschea di Hazrat-i-Ali, Afhanistan, nella giornata internazionale della pace, che ricorre il 21 settembre.
© UN Photo/Helena Mulkerns

1963 – 2013: a cinquant’anni dalla “Pacem in Terris”

L’11 aprile del 1963 Giovanni XXIII firmava l’enciclica Pacem in Terris, ove si afferma tra l’altro che la guerra “a ratione est alienum” (traducibile in: roba da matti). A distanza di mezzo secolo, la Pacem in Terris conserva intatti il fascino e l’attualità. E’ la trattazione sistematica e organica di una visione di ordine mondiale fondato su valori universali quali la verità, la giustizia, la libertà e l’amore. E’ un trattato di ingegneria istituzionale, che pone in risalto la fertilità della legge naturale nello sviluppo del ‘nuovo’ Diritto internazionale che prende origine dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. E’ anche un manuale esemplare per addestrarsi a cogliere i segni dei tempi, quali talenti della storia e opportunità di bene comune.

Tra questi ‘segni’ l’enciclica indica l’ONU e la Dichiarazione universale dei diritti umani: rispettivamente, la massima istituzione e la legge suprema dell’ordine mondiale. La lettura di questo eccezionale documento, resa agevole da una scrittura estremamente chiara, è utile non soltanto per alimentare la dimensione spirituale del sapere e della cultura dei diritti umani e dei corrispettivi doveri, ma anche per valutare, oggi, se la costruzione dell’ordine mondiale è coerente col principio secondo cui “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (Preambolo della Dichiarazione universale).