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2/6/2016
Alcuni giudici della Corte Europea per i Diritti Umani in seduta
© ©Council of Europe /Alban Bodineau

Corte europea dei diritti umani: Italia condannata per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare

In data 28 aprile 2016, in relazione al caso Cincimino c. Italia (n. 68884/13), la Corte europea dei diritti umani (CtEDU) ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU posto a tutela del rispetto della vita privata e familiare dal momento che, in via di fatto, non ha reintegrato una madre nell’esercizio della responsabilità genitoriale.

La ricorrente, impossibilitata ad aver alcun contatto con la figlia, si era rivolta alla Corte di Strasburgo a seguito dell’attuazione di un provvedimento dell’autorità giudiziaria nazionale che le aveva revocato la responsabilità genitoriale. Una serie di perizie psicologiche avevano infatti ritenuto opportuno e rientrante nell’interesse dalla minore negare alla madre il diritto di visita. La donna, a cui erano state prescritte una serie di terapie necessarie a far fronte ai suoi disturbi psicologici, non aveva mai seguito queste ultime con serietà. Oltretutto, la ricorrente dimostrava un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti degli assistenti sociali. Date tali premesse, il tribunale di primo grado aveva ritenuto necessario emanare il provvedimento contestato. La decisione era stata successivamente confermata dalla Corte d’appello la quale aveva valutato gli effetti negativi sul benessere della bambina del contatto con la madre.

Secondo la giurisprudenza consolidata della CtEDU, nonostante si riconosca l’ampia discrezionalità in capo agli Stati parte in ambito di provvedimenti idonei a garantire il rispetto del diritto alla vita privata e familiare, si considera che questi ultimi siano tenuti a prestare particolare attenzione alle misure che comportano una rottura nei rapporti genitori e figli, privando questi ultimi delle proprie radici. Nel caso di specie, la Corte sottolinea come le autorità nazionali non abbiano considerato, nell’adozione delle relative decisioni, i progressi compiuti dalla ricorrenti, dando al contempo troppo peso alle dichiarazioni della minore che, durante l’ultima audizione, avrebbe dichiarato di non voler più vedere la madre (figura che non vedeva da oltre sette anni). La Corte di Strasburgo ha altresì osservato come non fossero stati nominati nuovi esperti e come la nuova decisione si fosse basata esclusivamente su delle valutazioni risalenti a diversi anni prima.

Per tali ragioni la CtEDU ha condannato l’Italia al pagamento di danni morali per un ammontare di 32 mila euro e all’obbligo di revisione della domanda di reintegro nella responsabilità genitoriale, tenendo conto dell’attuale situazione della ricorrente e del superiore interesse della minore.