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Corte europea dei diritti umani: non viola la CEDU la norma italiana che prevede la perdita automatica del diritto di voto in seguito a condanna penale

Alcuni giudici della Corte Europea per i Diritti Umani in seduta
© ©Council of Europe

Con sentenza definitiva di Grande Camera del 22 maggio 2012 sul caso Scoppola c. Italia (3) (ricorso n. 125/05) la Corte europea dei diritti umani (CtEDU) ha concluso a maggioranza (16 a 1) che la norma italiana che prevede l’interdizione automatica del diritto di voto delle persone condannate in via definitiva qualora la pena sia superiore un determinato minimo (cinque anni di detenzione o ergastolo) non comporta una compressione sproporzionata del diritto protetto dall’art. 3 (diritto a libere elezioni) del Protocollo 1 della CEDU, capovolgendo la precedente sentenza della Camera del 2011.  

Secondo il ricorrente, condannato all’ergastolo (pena successivamente ridotta a 30 anni anche in forza di una precendete decisione della Corte di Strasburgo), le disposizioni della legge italiana che prevedono in maniera automatica la decadenza dei diritti politici in seguito a condanna penale (artt. 28 e 29 del codice penale) costituivano una limitazione sproporzionata del diritto alla partecipazione politica, proprio per il loro carattere automatico e la loro applicazione indiscriminata.

Nella sentenza della Camera del 18 gennaio 2011 la Corte, seguendo la giurisprudenza Hirst c. Regno Unito, si era pronunciata unanimemente in senso sfavorevole all’Italia, ravvisando una violazione dell’art. 3 Protocollo I. Il 15 aprile 2011 il governo italiano aveva richiesto l'intervento sul caso della Grande Camera (art. 43 CEDU) e il 20 giugno 2011 la Corte aveva accolto tale richiesta. La relativa udienza, nell’ambito della quale è intervenuto anche il governo del Regno Unito a sostegno della posizione del governo italiano, ha avuto luogo il 3 novembre 2011. 

Il testo della sentenza è disponibile sul sito della CtEDU riportato nel quadro sottostante.

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