Comitato Europeo dei Diritti Sociali: Italia condannata per la carenza dei servizi abortivi forniti dal sistema sanitario
Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS), con decisione resa pubblica l’11 aprile 2016, condanna l’Italia, con accoglimento del ricorso n. 91/2013 promosso dalla CGIL, per la violazione dell’art. 11 in combinato disposto all’art E della Carta Sociale Europea, tutelanti rispettivamente l’esercizio del diritto alla salute ed il divieto di discriminazione, e degli articoli 1(2) e 26(2) posti a protezione del diritto all’equità delle condizioni di lavoro ed al rispetto della dignità sul luogo di lavoro.
La CGIL lamentava nella specifico come la diffusa pratica dell’obiezione di coscienza in relazione alle pratiche abortive, fatta propria da un’alta percentuale di personale sanitario, avesse di fatto comportato in primo luogo la violazione del diritto delle donne all’accesso dei servizio abortivi ed in seconda istanza la violazione del diritto al lavoro e alla dignità sul lavoro dei medici non obiettori.
In relazione alla prima questione, il CEDS osserva una carenza nell’offerta di tali servizi data dall’alto numero di personale obiettore, una inefficienza delle strutture sanitarie nel compensare tali carenze ed una preoccupante inattività dell’autorità di vigilanza regionale competente a fornire un’adeguata implementazione della legislazione in materia. Tali fattori determinerebbero notevoli rischi per la salute delle donne le quali si vedrebbero costrette a rivolgersi ad altre strutture sanitarie, in Italia o all’estero, con un conseguente effetto di dissuasione verso le pratiche abortive.
La CGIL lamentava inoltre, relativamente alla seconda questione, che i medici non obiettori fossero discriminanti in termini di carico di lavoro, opportunità di carriera e di tutela di salute e di sicurezza.
Il CEDS accoglie il ricorso anche sotto questo secondo profilo accertando l’avvenuta violazione degli articoli 1(2) e 26(2) della Carta Sociale Europea. Secondo la decisione del Comitato infatti, l'inadeguata applicazione della sezione 9 della legge 194/1978 e gli alti tassi dei medici obiettori, determinerebbero una differenziazione nel trattamento delle due categorie di sanitari. I pochi medici non obiettori si vedono infatti costretti ad eseguire l’intero carico delle procedure d’aborto con pesanti ripercussioni sull’andamento della carriera. Questo comporterebbe infatti l’obbligo di svolgere ripetitive pratiche abortive, spesso al di fuori del campo di specializzazione dei medici incidendo pesantemente sulle opportunità di formazione di ulteriori titoli utili.