Corte di Giustizia Europea: garantire i diritti umani anche quando si collabora con il Consiglio di sicurezza nella lotta al terrorismo


È disponibile online sul sito dell’Unione europea l’importante sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (grande sezione) nel caso Kadi e Al Baraak contro Consiglio e Commissione europea (procedimenti riuniti C 402/05 P e C 415/05 P). In questa sentenza, ribaltando la giurisprudenza che si era affermata negli anni scorsi presso il Tribunale di prima istanza, la Corte dichiara l’illegittimità del regolamento 881del 2002 del Consiglio con cui la Comunità europea attuava le risoluzioni del Consiglio di sicurezza di congelamento dei beni delle persone sospettate di avere legami con Al Qaeda.
I ricorrenti (un uomo d’affari residente in Arabia Saudita e una fondazione con sede in Svezia) si erano lamentati del fatto che l’Unione Europea li aveva inseriti nella lista delle persone legate al terrorismo islamista, recependo le indicazioni provenienti dall’apposito comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, senza aver dato loro la possibilità di far valere le loro ragioni e causando loro un grave danno economico.
Nel 2005, il Tribunale di prima istanza delle Comunità europee aveva respinto il loro ricorso, affermando, tra l’altro, che i giudici comunitari non potevano giudicare, alla stregua delle norme sui diritti umani, il contenuto di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, adottata in base al capitolo VII e quindi vincolante per tutti gli Stati, compresi quelli dell’Unione. L’immunità da ogni controllo giurisdizionale degli atti del Consiglio di sicurezza adottati nell’esercizio delle sue prerogative fissate dal capitolo VII della Carta delle NU avrebbe potuto essere messa in dubbio solo in caso di contrasto con norme imperative di diritto internazionale (ius cogens); ma le “semplici” violazioni del diritto di una persona al contraddittorio in un procedimento che riguarda i suoi interessi, del diritto di accesso alla giustizia o, a maggior ragione, del diritto di proprietà, non costituivano questioni di ius cogens e quindi non potevano essere trattate dalla giustizia europea.
Contro questa decisione è stato presentato un ricorso che lo scorso 3 settembre è stato accolto dalla Corte di Lussemburgo.
I giudici hanno riconosciuto che qualunque atto dell’Unione può essere impugnato per verificarne la conformità ai diritti fondamentali, compresi gli atti che servono a dare attuazione alle risoluzioni vincolanti del Consiglio di sicurezza – anche quando si tratta di lotta al terrorismo di Al Qaeda. Ciò non significa sottoporre al giudizio dei giudici europei le decisioni del Consiglio (anche se indirettamente è un po’ quello che si è verificato…), ma affermare che la Comunità europea è una “comunità di diritto”, che pone effettivamente tutti i diritti umani (non solo quelli che rientrano nello stretto ambito delle norme di ius cogens) a fondamento della propria convivenza.
L’Europa deve quindi partecipare alla lotta contro il terrorismo, ma deve farlo usando strumenti che non ignorino il diritto ad una procedura equa, corretta e partecipata, e la Corte afferma autorevolmente che ciò è possibile, anche se può essere difficile. Ora il regolamento 881 dovrà essere riscritto, prevedendo che i soggetti rientranti nella lista dei sospetti fiancheggiatori del terrorismo islamista, oggetto di sanzioni da parte della Comunità e dei suoi Stati membri, possano far valere le proprie ragioni davanti alle autorità comunitarie e ottenere, se del caso, la radiazione dalla lista.

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Si legga il testo della sentenza

Altri testi relativi al caso si possono trovare con il motore di ricerca della Corte di giustizia: http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it