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Corte europea dei diritti umani: condanna dell’Italia per violazione del divieto di irretroattività della legge penale

Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

Il 14 aprile 2015 la Corte europea dei diritti umani (CtEDU) si è espressa sul caso Contrada c. Italia n. 3 (ricorso n. 66655/2013), condannando all’unanimità l'Italia per la violazione del divieto di irretroattività della legge penale (articolo 7 CEDU).

Il ricorrente del caso era il Sig. Contrada, ex funzionario di polizia ed ex direttore aggiunto del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde), condannato in via definitiva in Italia per concorso esterno in associazione mafiosa. Accogliendo le argomentazioni del ricorrente, la Corte di Strasburgo ha riscontrato una violazione dell’art. 7 CEDU (divieto di irretroattività della legge penale), in ragione del fatto che il reato per il quale era stato condannato si basava su un’evoluzione giurisprudenziale successiva all’epoca dei fatti a lui ascritti, risalenti al periodo 1979-1988.

Non è la prima volta che la CtEDU si occupa della vicenda penale del Sig. Contrada, trattandosi infatti del terzo procedimento giunto a sentenza. I precedenti due ricorsi hanno riguardato: il diritto alla libertà e alla sicurezza (ricorso n. 27143/95) ed il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (ricorso n. 7509/08); per questo secondo caso l’Italia è stata condannata sotto il profilo sostanziale dell’art. 3 con sentenza dell’11 febbraio 2014.

La sentenza sul ricorso Contrada c. Italia (n. 3) non è definitiva, dal momento che le parti hanno tre mesi di tempo per richiedere il rinvio alla Grande Camera.

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