Per la cultura dei diritti umani, della pace e della cooperazione: l'investimento infrastrutturale della Regione Veneto


- Antonio Papisca
- Direttore del Centro interdipartimentale di ricerca e servizi - sui diritti della persona e dei popoli dell’Università degli Studi di Padova
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L’impegno che la Regione Veneto sta oggi profondendo, con crescente, esemplare organicità, nell’applicazione della Legge n.55 del 16 dicembre 1999 portante su “interventi regionali per la promozione dei diritti umani, la cultura di pace, la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà”, ha la sua origine prossima nel periodo a cavallo tra il 1987 e il 1988. Per la più antica genesi, non sarebbe arbitrario rifarsi alla seminagione di universali di pace e di umanesimo in terra veneta portata avanti nei secoli da personaggi quali S.Antonio, Marsilio, Petrarca, Ruzzante, S.Giuseppe Barbarigo (giovane membro della delegazione della Repubblica di Venezia ai negoziati per la Pace di Westfalia del 1648), i Patriarchi di Venezia Giuseppe Sarto (San Pio X) e Giuseppe Roncalli (Beato Giovanni XXIII).

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Nel periodo più vicino a noi, membri del Consiglio Regionale, certamente ispirati e lungimiranti, presero l’iniziativa di progettare una legge sul tema della pace: mi riferisco in particolare ai Consiglieri Amalia Casadei, della Democrazia Cristiana, e Ottavio Contolini, del Partito Comunista Italiano. Ambedue, separatamente, ebbero cordiali scambi di idee con i responsabili del Centro diritti umani dell’Università di Padova, nella comune consapevolezza che l’elaborazione del testo di legge, in particolare dei primi articoli, avrebbe dovuto evitare di prestarsi ad ambiguità, se non addirittura a distorsioni, di tipo ideologico. Non era ancora scoccato il fatidico 1989. Si ritenne che la via sicura fosse quella di ancorare il concetto di pace ad un paradigma giuridico difficilmente contestabile, quello dei diritti umani assunto come “fondativo” sia dal Diritto internazionale sia dalla Costituzione italiana. Con questo intendimento, il testo del primo articolo fu redatto in modo che comprendesse, implicitamente, la definizione di pace positiva e, esplicitamente, il formale riconoscimento della pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli. I riferimenti giuridici furono alle seguenti fonti:

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Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: il Preambolo, che proclama che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (l’ordine mondiale di pace basato sui diritti fondamentali e, naturalmente, sui corrispettivi doveri); l’articolo 1 che recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” (il fondamento dei diritti è nella natura umana; si è tutti onticamente eguali e si deve tutti essere corresponsabili e solidali nelle comunità in cui si vive); l’articolo 28: “Ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale in cui tutti i diritti e le responsabilità enunciati nella presente Dichiarazione possano essere pienamente realizzati” (definizione di pace positiva: opus iustitiae pax; interconnessione tra pace sociale e pace internazionale, un medesimo percorso di impegno civile, sociale e politico: dalla città all’Unione Europea fino alle Nazioni Unite, dalle società civili dei paesi ad economia sviluppata a quelle dei paesi in sviluppo);
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Costituzione della Repubblica Italiana: in particolare, l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

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Come noto, la Legge n.88 portante su “Interventi regionali per la promozione di una cultura di pace”, prima del genere non solo in Italia ma nel mondo, fu adottata il 30 marzo del 1988: Umberto Carraro e Carlo Bernini presiedevano, rispettivamente, il Consiglio e la Giunta. Nello stesso anno il Consiglio Regionale adottava altre due Leggi significative per l’area dei diritti umani: per l’istituzione del Difensore Civico e dell’Ufficio di protezione e tutela pubblica dei minori. É il caso di sottolineare che nel 1988 ricorreva il quarantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: la Regione Veneto lo celebrò con un grande investimento di tipo infrastrutturale.Dal canto suo l’Università di Padova, per iniziativa del Centro diritti umani, otteneva con Decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 1988, l’istituzione della Scuola triennale di specializzazione in Istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani, l’antesignana degli attuali Corsi di laurea-base (triennali) e di specializzazione (biennali) attivati in varie università italiane. La suddetta Scuola fu segnalata come pionieristica, tra gli altri,dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite.

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Sempre nel 1988, la Giunta Regionale istituiva al suo interno un’apposita struttura che, per l’impegno competente e appassionato del Dr. Angelo Tabaro, consentì di prontamente dare attuazione alla Legge, con la partecipazione attiva delle formazioni sociali e culturali interessate - scuole, associazioni, università, gruppi di volontariato – e degli enti di governo locale. In questo clima di fervore attuativo, in collaborazione con il Centro diritti umani dell’Università di Padova si procedette anche al varo dell’Archivio “pace diritti umani” previsto dall’articolo 2 della Legge, una struttura che con la sua Banca-dati e il Bollettino cartaceo continua a raggiungere migliaia di operatori.

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Ebbe così inizio un percorso segnato da costante coinvolgimento di espressioni significative del mondo di società civile e da fervida creatività culturale, civica e politica. La Legge è stata particolarmente utile e feconda nell’aiutare la cultura della pace a svilupparsi nel solco che le è proprio, quello appunto dei diritti umani e dell’educazione alla legalità, alla nonviolenza, alla cittadinanza attiva, al dialogo, alla solidarietà. Grazie al supporto della Regione è stato in particolare consentito al Centro diritti umani di portare avanti la propria azione educativa e di ricerca oltre che nel contesto veneto, anche in sede nazionale, europea e internazionale: tra l’altro, nello stimolare il competente Ministero a disporre per l’estensione dell’insegnamento dei diritti umani all’intero sistema universitario italiano fino alla situazione attuale che, come prima ricordato, vede la materia dei diritti umani, della pace e della cooperazione allo sviluppo oggetto di specifici Corsi di laurea.

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Oltre che sul terreno dell’educazione e della formazione, degna di segnalazione è anche la ricaduta che la pionieristica Legge 18/88 ha avuto in termini giuridici e istituzionali. Nel 1991, l’allora Assessore regionale Luciano Falcier, con delega in materia, diffuse tra i Comuni e le Province del Veneto la proposta del Centro diritti umani di Padova per l’inserimento nei nuovi Statuti di quella che fu subito chiamata la “norma pace diritti umani” e il cui testo riprende puntualmente quello dell’articolo 1 della Legge 18/88:

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"Il Comune / la Provincia, in conformità ai principi costituzionali e alle norme internazionali che riconoscono i diritti innati delle persone umane, sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e promuovono la cooperazione fra i popoli - Carta delle Nazioni Unite, Dichiarazione universale dei diritti umani, Patto internazionale sui diritti civili e politici, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia - riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli.
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- A tal fine il Comune/la Provincia promuove la cultura della pace e dei diritti umani mediante iniziative culturali e di ricerca, di educazione, di cooperazione e di informazione che tendono a fare del Comune/della Provincia una terra di pace.
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- Il Comune/la Provincia assumerà iniziative dirette e favorirà quelle di istituzioni culturali e scolastiche, associazioni, gruppi di volontariato e di cooperazione internazionale".
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Dal Veneto, la proposta si è rapidamente diffusa in tutto il Paese: oggi si contano a migliaia gli Statuti comunali e provinciali contenenti la succitata “norma”. E sono andati moltiplicandosi gli assessorati, gli uffici, i dipartimenti, gli sportelli con specifico mandato in materia. Sul modello della Legge del Veneto, altre Regioni si sono dotate di strumenti legislativi riguardanti la cultura della pace e i diritti umani. Nel Veneto, in perfetta linea con la tensione giuridica e morale innescata dalla Legge, va annoverato anche il nuovo Statuto dell’Università di Padova, adottato nel novembre del 1995, il cui l’articolo 1.2 così stabilisce:

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“L’Università degli studi di Padova, in conformità ai principi della Costituzione della Repubblica Italiana e della propria tradizione che data dal 1222 ed è riassunta nel motto ‘Universa Universis Patavina Libertas’, afferma il proprio carattere pluralistico e la propria indipendenza da ogni condizionamento e discriminazione di carattere ideologico, religioso, politico o economico. Essa promuove l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale”.
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In questo contesto, si segnalano altre iniziative esemplari che hanno collegamento diretto con l’attuazione della Legge. Per esempio, nel 1991 viene organizzata a Venezia la prima grande Conferenza internazionale della “Helsinki Citizens Assembly”-HCA (Assemblea dei Cittadini di Helsinki), istituita l’anno prima a Praga per iniziativa del Presidente Vaclav Havel (che già l’aveva sognata in carcere) e di altri militanti dei diritti umani di “Charta 77”. La Regione, con la collaborazione del Centro diritti umani di Padova, che per due anni avrà la direzione della Commissione diritti umani dell’HCA, offre una preziosa occasione d’incontro, dà un importante contributo ai primi sforzi di impianto delle formazioni di società civile dei paesi dell’Europa centrale e orientale, ne favorisce l’incontro con l’associazionismo dell’Europa democratica. Nel 1992, nel 500° anniversario della conquista dell’America, ha luogo a Padova e a Venezia una memorabile sessione del Tribunale Permanente dei Popoli i cui Atti, con prefazione dell’allora Assessore regionale Ettore Beggiato, sono contenuti in un volume ricco di apporti scientifici e di persistente attualità: in esso è ricostruita la vicenda storica del “Diritto internazionale” e ne sono preconizzati gli sviluppi alla luce della Carta delle Nazioni Unite e del Diritto internazionale dei diritti umani. Sul piano delle iniziative di associazioni e organizzazioni non governative, accanto a quelle di carattere formativo, si segnalano quelle di carattere operativo “sul terreno”, in varie parti del mondo, in particolare nei Balcani. Va anche ricordato che una delegazione della Regione, guidata dall’Assessore Fabio Gava, consegna a Ginevra un contributo finanziario nelle mani dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per il dispiegamento di monitori dei diritti umani. Successivamente, la Regione eroga un contributo ad una associazione per lo sminamento di un quartiere di Sarajevo. Vengono finanziati Corsi di formazione specificamente dedicati alla cultura della nonviolenza. Nel settore della cooperazione decentrata allo sviluppo e della solidarietà internazionale, le iniziative sono tante, molte sono anche originali e innovative.

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E veniamo ancor più vicino a noi. Nel 1996, la Commissione Europea investe il Centro diritti umani dell’Università di Padova del compito di dar vita al Master Europeo in Diritti Umani e Democratizzazione, con l’iniziale partecipazione di altre 9 università europee (oggi sono divenute 40). L’inaugurazione del primo Corso avviene a Palazzo Ducale, nell’ottobre del 1997: Venezia sarà la sede permanente del Master e, collegato a questo, del Centro Inter-universitario Europeo per i Diritti Umani e la Democratizzazione, di più recente istituzione.La Regione dà subito il suo appoggio. Nel settembre del 1998, sempre a Palazzo Ducale per la cerimonia di consegna dei primi Diplomi del Master Europeo, il Presidente Giancarlo Galan pronuncia un discorso durante il quale annuncia il varo di una Legge regionale specificamente portante sul Master Europeo. Si noti che nel 1998 cade il 50° anniversario della Dichiarazione Universale: ancora una volta, la Regione del Veneto lo celebra facendo, appunto con il varo della Legge sul Master Europeo, un investimento infrastrutturale, di rilievo europeo e internazionale. Il Master Europeo, oltre che figurare nei documenti ufficiali dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite quale iniziativa formativa originale e di alto prestigio accademico e culturale, è oggi conosciuto in tutto il mondo: hanno finora conseguito il Diploma oltre 600 laureati provenienti da una quarantina di Paesi. Il contributo della Regione è stato utile anche ai fini dello sviluppo del cosiddetto “Processo di Bologna” inteso a creare forme di cooperazione e integrazione in campo universitario: il Diploma del Master Europeo, che per sei anni è stato unilateralmente conferito dall’Università di Padova quale ente coordinatore del programma, è divenuto a partire dall’anno accademico 2003-2004 un Diploma europeo in senso pieno - uno “European Joint Degree” -, come dire una tappa avanzata, anche dal punto di vista giuridico, del citato “Processo di Bologna”. A questo si aggiunga che, come prima ricordato, le Università europee partecipanti al programma di Master hanno dato vita, con formale accordo inter-universitario, allo “European Inter-University Centre for Human Rights and Democratisation”, consorzio di università con personalità giuridica, che rappresenta, anch’esso, una novità di assoluto rilievo nello scenario accademico europeo e internazionale.

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Sulla base dell’esperienza e dei risultati conseguiti, in Regione ci si interroga se non sia venuto il momento di aggiornare la pionieristica Legge del 18/88: il Vice Presidente della Giunta Regionale, Fabio Gava, con specifica delega per la materia, apre le consultazioni. Il risultato è di sicuro rilievo culturale e politico: il nuovo strumento legislativo dovrà operare, in capo al paradigma dei diritti umani, la esplicita ricapitolazione dei vari filoni di attività. Si perviene così all’adozione della Legge n.55 del 16 dicembre del 1999 portante su “Interventi regionali per la promozione dei diritti umani, la cultura di pace, la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà”. L’articolo 1, primo comma,così recita:

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“La Regione del Veneto riconosce la pace e lo sviluppo quali diritti della persona e dei popoli, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e del Diritto internazionale che sanciscono la promozione dei diritti dell’uomo e dei popoli, delle libertà democratiche e della cooperazione internazionale”.

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Viene confermata la collaborazione col Centro diritti umani di Padova per la gestione dell’Archivio, il precedente “Comitato permanente per la pace”assume la denominazione di “Comitato per i diritti umani e per la cultura di pace”, viene istituito il “Comitato per la cooperazione allo sviluppo”. In questo nuovo, più organico contesto legislativo è incardinato il supporto regionale alla “Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto” (Commissione di Venezia) e alla “Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace”, mentre l’intero Capo III è dedicato alla “Cooperazione decentrata allo sviluppo e solidarietà internazionale” e i “rapporti con lo Stato e l’Unione Europea” trovano definizione nell’articolo 7.

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L’intervento della Regione in materia, come accennato all’inizio, ha assunto chiari caratteri di politica organica, portata avanti con la collaborazione attiva di enti e operatori di società civile nel pieno rispetto della loro libera iniziativa. Il merito va in grande misura ascritto alla competenza e alla passione dell’Assessore Marialuisa Coppola la quale, mysterium coniunctionis!, dimostra capacità e coraggio nel coniugare insieme la delega per la materia diritti umani, pace e cooperazione con quella del Bilancio, ad incremento della prima senza, beninteso, nuocere alla seconda: dunque, una coincidenza decisamente virtuosa e feconda. In questo contesto di sviluppo organico si segnala come esemplare anche il ruolo svolto dalla pertinente Direzione regionale e dal suo Dirigente, Diego Vecchiato, il quale si avvale oltre che di una ricca esperienza amministrativa, anche della cultura acquisita con il Diploma universitario di specialista in istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani.

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In questa fase, si irrobustisce il filone della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà, con progetti mirati in paesi di varie parti del mondo, tra i quali figurano il Brasile, l’Argentina, la Moldavia, il Mozambico, l’Etiopia, Gibuti, la Romania, la Serbia, la Croazia, l’Albania, la Mongolia, l’Ucraina. Altro filone in robusta crescita è quello che riguarda l’educazione e la formazione in campo scaolastico. La Regione investe sia sugli Insegnanti sia sugli Studenti. A partire dall’anno 2000, essa ha affidato al Centro diritti umani il compito di organizzare una serie di corsi di formazione degli Insegnanti per l’educazione alla cittadinanza attiva, ai diritti umani, alla solidarietà, al dialogo interculturale con il coinvolgimento di centinaia di Insegnanti delle sette province del Veneto: dunque, attività di formazione dei formatori, in questo caso di gruppi qualificati di Insegnanti-Tutors in collegamento con un più ampio progetto del Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca. Anche nel portare avanti questo robusto investimento in capitale umano, la Regione si trova in prima fila, anzi in posizione di esemplare traino, come attestato anche dalla Conferenza nazionale svoltasi a Venezia nel novembre del 2003 con la partecipazione di oltre 400 Insegnanti provenienti da tutte le Regioni d’Italia. Come prima accennato, sempre su questo terreno la Regione finanzia programmi di educazione degli studenti con la collaborazione sia dell’UNICEF regionale sia di varie associazioni operanti sul territorio. Va segnalato in particolare il suo supporto al Corso di formazione alla cooperazione allo sviluppo dell’Università di Padova dove, è bene ricordarlo, per iniziativa dell’indimenticabile Presidente dell’UNICEF-Italia Arnoldo Farina, nel 1982 trovò svolgimento il primo Corso del genere in Italia, seguito poi da analoghi Corsi in altre università.

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Va inoltre segnalato che, a supporto della folta serie di interventi formativi, il Centro diritti umani ha curato la pubblicazione di sussidi didattici e di alcuni CD rom contenenti “moduli” elaborati dagli Insegnanti coinvolti nei corsi di formazione.

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Nel novembre 2002 la Regione ha proceduto a fare un primo bilancio della nuova fase di politica organica con un convegno organizzato a Padova sul tema: “La Regione del Veneto per i diritti umani, la pace e la cooperazione allo sviluppo”. Per l’occasione, ampio spazio è stato dato a responsabili di associazioni e di enti locali per la presentazione delle rispettive “esperienze”.

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A questo punto, viene spontaneo domandarsi: dove trova alimento la carica di fertile diffusività della normativa regionale del Veneto nel campo dei diritti umani, della cultura di pace e della cooperazione allo sviluppo? La risposta c’è. Essa va ricercata nei sinergismi attivati fra più fattori, che elenco a titolo indicativo: la tradizionale cultura di pace e di cooperativismo sociale diffusa nel territorio; la ricca infrastruttura di società civile solidarista animata da associazioni, gruppi di volontariato, centri missionari; un’antica e prestigiosa università pionieristicamente impegnata nel campo della pace e dei diritti umani; personalità politiche della Regione particolarmente sensibili alla sfida della promozione umana (ho anche in mente una persona dell’amministra­zione regionale degli anni passati, la cui profonda umiltà, se da un lato mi ingiunge di non segnalarla per nome, dall’altro non mi impedisce di ringraziarla di tutto cuore); l’assunzione di ruoli internazionali da parte della Regione fin dai primi anni della sua istituzione (si pensi all’idea di dar vita alla Comunità di lavoro Alpe Adria); non ultima l’originalità “giuridica” e il contenuto innovativo della Legge n.55/99 (e, ovviamente, della precedente Legge n.18/88).

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Quest’ultimo elemento merita una specifica, seppur breve, considerazione. L’articolo 1 della vigente Legge “riconosce” formalmente quali diritti individuali e collettivi i valori della pace e dello sviluppo, che vengono comunemente annoverati tra i cosiddetti diritti di terza generazione ma che non figurano (ancora) nell’elenco ufficiale sancito dalle “Convenzioni giuridiche” internazionali promosse dalle Nazioni Unite. A pace e sviluppo sono dedicate due “Dichiarazioni” dell’Assemblea Generale, rispettivamente del 1984 (Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace) e del 1986 (Dichiarazione sul diritto allo sviluppo): come dire, siamo allo stadio dell’enunciazione di principi, non ancora a quello della posizione della norma giuridicamente vincolante. La Regione del Veneto è già entrata in questa seconda fase: con la legge del 1988 essa ha anticipato l’ordinamento internazionale nel riconoscere giuridicamente il diritto alla pace e, con la Legge del 1999, anche il diritto allo sviluppo. Potremmo orgogliosamente dire che essa ha recepito la vox populi che in Veneto e in ogni parte del mondo chiama la pace e lo sviluppo ( e l’ambiente) col nome di “diritti umani”.

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Collegando dunque il proprio ordinamento giuridico, oltre che (naturalmente) alla Costituzione nazionale, anche e direttamente al Diritto internazionale, la Regione del Veneto ha creato le inoppugnabili premesse per la piena legittimazione, sia formale sia sostanziale, delle sue iniziative a proiezione internazionale. Qual è infatti lo spazio attuativo dei diritti umani? Se si assume che questi sono universali e trovano oggi riconoscimento anche in sede internazionale, allora ne discende che il loro spazio di attuazione è lo spazio-mondo: i diritti umani non hanno, non possono avere confini, come d’altronde espressamente proclama l’articolo 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del marzo 1999 “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promouovere e proteggere i diritti universalmente riconosciuti”: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale” (corsivo aggiunto).

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La Regione, come il Comune, è “territorio”, non “confine”, quindi naturaliter vocata e pienamente libera di promuovere e garantire i diritti umani nei modi e coi mezzi che sono indicati nella Legge più volte citata.

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La Regione del Veneto è dunque esemplarmente attiva all’interno di un movimento costituzionalista mondiale che opera per la saldatura degli ordinamenti giuridici ai vari livelli - nazionale, locale, regionale, internazionale – nel medesimo e indivisibile campo dei diritti della persona. É importante che si diffonda la consapevolezza di questa realtà giuridica innovativa perché ne discenda una sempre più piena consapevolezza dei fondamenti valoriali delle autonomie territoriali e delle correlate responsabilità politiche e sociali. Sarebbe bello che di questa consapevolezza e di quanto generosamente seminato in questi anni ci fosse traccia esplicita nello Statuto della Regione, magari in un primo articolo che proclami, letteralmente, che il Veneto è una comunità autonoma fondata sul valore della dignità umana e sui diritti che da questa discendono, da proteggere e promuovere nel Veneto e nello spazio senza confini che è connaturale alla loro intrinseca universalità. Questo sarebbe anche in perfetta consonanza con il testo dell’articolo 2 della Costituzione europea: “L’Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione”.