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I casi Beharmi e Saramati davanti alla Corte europea dei diritti umani (2007): la giurisdizione non si estende ai peacekeeper in Kosovo

Autore: Paolo De Stefani

La Corte europea dei diritti umani ha statuito, decidendo sull’ammissibilità di due ricorsi presentati da alcuni kosovari albanesi, che eventuali violazioni della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali commesse da personale degli stati europei che partecipano a missioni delle Nazioni Unite non potrànno essere accertate dai giudici di Strasburgo, poiché sono al di fuori della competenza della Corte.

I casi Behrami c. Francia e Saramati c. Germania e Norvegia, decisi congiuntamente il 2 maggio 2007 e pubblicati il 31 maggio scorso, riguardano accuse di violazione del diritto alla vita (art. 2) e alle garanzie processuali in caso di arresto (artt. 5 e 6), commesse in Kosovo ai danni di cittadini dell’allora Repubblica federale iugoslava da parte di membri della KFOR (la forza di sicurezza guidata dalla NATO) e dell’UNMIK (la missione Onu in Kosovo). Agim e Bekir Behrami, padre e figlio, lamentavano la morte di Gadaf Behrami, figlio e fratello di Agim e Bekir, ucciso nel marzo del 2000 dall’esplosione del sotto-proiettile di una bomba a frammentazione rimasto inesploso dopo i bombardamenti NATO del 1999, in un’area che era stata esclusa dalla bonifica condotta dalle autorità delle Nazioni Unite. (Il fratello Bekir in occasione dello stesso incidente aveva perso la vista). Un altro ricorrente, Ruzhdi Saramati, accusato di attività pericolose per la sicurezza nella zona di Prizren, lamentava invece di essere stato detenuto senza un controllo giudiziario per alcuni mesi nell’estate 2001. I due ricorsi erano rivolti rispettivamente contro la Francia (che aveva il comando della KFOR nell’area di Mitrovica dove si era svolto il primo incidente) e contro la Norvegia (un comandante norvegese della KFOR aveva ordinato l’arresto; inizialmente era stata coinvolta anche la Germania, il cui contingente era responsabile KFOR nell’area di Prizren, ma nessun suo agente risultò poi coinvolto nella vicenda).

Nel motivare la decisione di archiviare i ricorsi, la Corte afferma, tra l’altro, che "la Convenzione deve essere letta alla luce delle pertinenti regole e principi del diritto itnernazionale" e, in particolare, dell’art. 103 della Carta dell’Onu. Le Nazioni Unite hanno come obiettivo fondamentale la pace e la sicurezza e su questa materia il Consiglio di sicurezza riveste le massima autorità. Ne consegue che "La Convenzione europea non può essere interpretata in modo tale da sottoporre allo scrutinio della Corte le azioni o omissioni degli stati parti coperte da risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, poste in essere prima o durante le missioni decise dal Consiglio stesso" (paragrafo 149).

La sentenza ripropone il problema del controllo sulla legittimità sotto il profilo del rispetto dei diritti umani delle azioni coercitive decise dal Consiglio di sicurezza in forza del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Poiché l’Onu in quanto tale non è parte delle convenzioni sui diritti umani, il fatto che nemmeno i singoli stati possano rispodnere di eventuali violazioni commesse dal loro personale prestato alle Nazioni Unite può rendere difficile l’accertamento delle responsabilità e la riparazione alle vittime.

Aggiornato il

21/9/2009