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Dichiarazione universale dei diritti umani
Art. 2. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Dichiarazione di Vienna - 1993
18. I diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. […]
Introduzione
L’impegno dell’ONU per la promozione e la protezione dei diritti delle donne trae fondamento dalla stessa Carta delle NU: essa sancisce per la prima volta in via generale il principio di non discriminazione tra i sessi. Mentre nel Preambolo afferma la fede nei diritti fondamentali nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, nell’articolato lo Statuto introduce chiaramente tra i fini delle NU “il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua e di religione”. La Dichiarazione universale dei diritti umani sviluppa in concreto il divieto di discriminazione in base al sesso nell’ambito della famiglia, del matrimonio e della maternità, dei diritti politici e del lavoro. Successivamente, i due Patti internazionali del 1966 sui diritti civili e politici (in particolare agli artt. 2, 3, 23, 26) e sui diritti economici sociali e culturali, (in particolare agli artt. 2, 3, 7, 10) hanno inteso ribadire con ancor maggior forza l’impegno di tutti gli Stati a garantire l’eguaglianza nel godimento dei diritti, traducendo in norme giuridiche vincolanti i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale. Questi strumenti normativi di carattere generale hanno offerto un contributo essenziale all’affermazione del principio di non discriminazione nei confronti delle donne.
Nel corso degli anni, tuttavia, si è venuta delineando la consapevolezza circa i limiti che l’adozione di una prospettiva generale anti-discriminatoria presenta sotto il profilo del perseguimento dell’obiettivo dell’eguaglianza reale. L’esigenza maturata nel tempo è stata quella di mettere a punto degli strumenti legislativi tesi a rilevare e contrastare appieno la situazione di svantaggio iniziale che le donne subiscono in molti settori della vita sociale e le specifiche violazioni di cui esse sono ancora oggi vittime. In questo senso, è importante sottolineare il ruolo politico fondamentale svolto a partire dalla metà degli anni settanta dalle Conferenze mondiali sulla donna (Città del Messico 1975, Copenaghen 1980, Nairobi 1985 e Pechino 1995) che hanno permesso di negoziare un nucleo minimo di politiche comuni in settori chiave per il progresso della condizione della donna.
Normativa: Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne
Adottata dall’Assemblea Generale il 18 dicembre 1979
Entrata in vigore il 3 settembre 1981
Stati parte: 187
L’Italia ha ratificato in data 10 giugno 1985.
La Convenzione costituisce lo strumento pattizio fondamentale in materia di diritti delle donne offrendo una prospettiva globale del fenomeno della discriminazione. L’art. 1 della Convenzione definisce il concetto di “discriminazione contro le donne” come: “ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo”.
I diritti contenuti nella Convenzione possono essere classificati in tre diverse categorie, in relazione al tipo di azioni che sono richieste allo Stato: un primo gruppo di norme accordano un diritto specifico e riguardano essenzialmente i diritti civili e politici; altre richiedono che lo Stato adotti misure adeguate, ad esempio, “al fine di modificare schemi e modelli di comportamento” di carattere discriminatorio; altre ancora impongono agli Stati di porre in essere azioni volte al raggiungimento di un certo fine, in particolare rispetto al godimento dei diritti economici e sociali.
Il carattere peculiare della Convenzione è rappresentato dal proposito di superare il mero riconoscimento del diritto a godere di un trattamento uguale rispetto all’uomo, prevedendo in aggiunta un preciso obbligo in capo agli Stati ad adottare misure di tipo positivo che, in deroga al principio della parità formale, permettano di perseguire in termini sostanziali l’obiettivo della parità con l’uomo.
Altro documento internazionale di grande importanza è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall’Assemblea Generale delle NU con Risoluzione 48/104 del 20/12/1993.
Meccanismi di controllo: Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna
Il Comitato, istituito ai sensi dell’art. 17 dell’omonima Convenzione, è composto da 23 esperti indipendenti, con il mandato di esaminare i rapporti periodici predisposti dagli Stati sulle misure di ordine legislativo, giudiziario o di altro genere adottate per dare seguito alle disposizioni della Convenzione e sui progressi realizzati, indicando i fattori e le difficoltà che influiscono sull’applicazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione. I rapporti degli Stati vengono esaminati durante le sessioni che si svolgono due volte all’anno per una durata di tre settimane ciascuna. Le informazioni su cui si costruisce il confronto tra Comitato e Stati parte non provengono unicamente da fonti governative ma anche da Agenzie specializzate e ONG.
Inoltre, con l’entrata in vigore del Protocollo opzionale, adottato dall’Assemblea Generale nel 1999, è stato istituito un meccanismo di controllo basato sulle comunicazioni di individui e gruppi nonché una procedura di inchiesta. Il Comitato può formulare anche Raccomandazioni generali, al fine di fornire agli Stati indicazioni in merito alla corretta attuazione delle singole disposizioni della Convenzione.
Nel 1946, inoltre l’ECOSOC ha istituito la Commissione sulla condizione della donna (CSW) che lavora su rapporti, ricerche e raccomandazioni relative ad una vasta gamma di questioni legate ai diritti umani delle donne, ma può anche ricevere comunicazioni da gruppi o individui riguardanti discriminazioni di genere.
Nel luglio 2010, poi, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha istituito UN Women, il nuovo organismo delle Nazioni Unite per la promozione e protezione dei diritti delle donne che raggruppa in uno solo quattro precedenti uffici delle Nazioni Unite che si occupavano di parità di genere (Divisione per l'avanzamento delle donne - DAW, Istituto internazionale di ricerca e formazione per la promozione delle donne – INSTRAW, Ufficio del consigliere speciale sulle questioni di genere e sulla promozione delle donne 1997, Fondo ONU per lo sviluppo delle donne - UNIFEM).
In seno al Consiglio diritti umani operano, infine, due relatori speciali: il Relatore Speciale sulla violenza contro le donne, sulle sue cause e conseguenze, istituito dalla precedente Commissione nel 1994, ed il Relatore Speciale sul traffico di persone, soprattutto donne e bambini, mandato istituito anch’esso dalla Commissione nel 2004.
10/1/2014