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Madre di un "Desparecido" argentino
© UN Photo/Evan Schneider /UN Photo/Evan Schneider

Il diritto alla libertà personale e le sparizioni forzate

Autore: Federica Napolitano, E.MA's graduate

La protezione della Convenzione americana dei diritti umani

Nonostante la Convenzione americana non la citi esplicitamente, la pratica delle sparizioni forzate è da considerare in contrasto radicale con quest’ultima: in primo luogo, perché calpesta il valore della dignità umana e i principi fondanti il sistema interamericano; in secondo luogo, perché le sparizioni forzate implicano una violazione multipla e continuata di numerosi diritti sanciti dalla Convenzione, tra cui il diritto alla libertà personale (art. 7), il diritto alla vita (art. 4), il diritto all’integrità fisica, mentale e morale e a non essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (art. 5), il diritto alla protezione giudiziaria contro atti che violano i diritti di una persona (art. 25).

La Convenzione interamericana sulla scomparsa forzata di persone

Nel 1994, l’Assemblea generale dell’OSA, riunita a Belem do Parà, Brasile, ha adottato la Convenzione interamericana sulla scomparsa forzata delle persone.

La Convenzione vieta di praticare, permettere o tollerare tale pratica, anche durante gli stati di emergenza o la sospensione delle garanzie individuali per la tutela dei diritti umani. Gli Stati Parti sono obbligati a punire, senza limiti di tempo, coloro che commettono tale crimine sotto la loro giurisdizione e i loro complici.

In nessun caso, lo stato di guerra, l’instabilità politica interna o qualsiasi altra condizione di emergenza pubblica può essere invocato a giustificazione della sparizione forzata di una persona. La Convenzione non si applica ai conflitti armati internazionali regolati dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e i relativi Protocolli.

L’articolo 2 definisce la sparizione forzata come l’atto di privare una o più persone della loro libertà sotto qualsiasi forma, compiuto da agenti dello Stato o da persone o gruppi di persone che agiscono su autorizzazione o acquiescenza dello Stato, seguito da un’assenza di informazioni o dal rifiuto di riconoscere che è occorsa una privazione della libertà o di dare informazioni sulle sorti della persona scomparsa, impedendo in tal modo che quest’ultima possa ricorrere a rimedi giudiziari e alle garanzie procedurali.

La sparizione forzata così configurata deve essere considerata crimine all’interno di tutti gli Stati Parti che sono, quindi, chiamati a predisporre gli adeguati strumenti normativi nazionali a tal fine. Per tale crimine non è previsto un termine di prescrizione o, afferma l’articolo 7, deve essere almeno pari a quello che si applica ai crimini più gravi nell’ordinamento di riferimento.

L’obbedienza all’ordine o alle istruzioni di un superiore che decidano, autorizzino o incoraggino una sparizione forzata non vale come fatto esimente della responsabilità. Chiunque riceva ordini di tale natura ha il diritto e il dovere di non obbedire (art. 8).

Gli Stati Parti hanno poi l’obbligo di mantenere registri ufficiali aggiornati sui detenuti e renderli disponibili qualora ne venga fatta richiesta dai familiari, giudici, procuratori, altre autorità e qualsiasi altra persona che ha un legittimo interesse a farlo.

Per la protezione dei diritti sanciti dalla Convenzione, l’articolo 13 fa riferimento al sistema di petizioni e comunicazioni che si possono presentare alla Commissione interamericana secondo le procedure stabilite dalla Convenzione americana, lo Statuto e il Regolamento della Commissione e lo Statuto e il Regolamento della Corte interamericana, incluso le disposizioni sulle misure precauzionali.

La Convenzione è entrata in vigore il 28 marzo 1996. Ad oggi è stata ratificata da 15 Stati: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela.

La giurisprudenza della Corte interamericana dei diritti umani

La Corte interamericana ha prodotto una significativa giurisprudenza sul tema, facendo avanzare la disciplina in merito. In particolare:

  • Sul tema dell’habeas corpus, la Corte ha precisato che i procedimenti per l’habeas corpus e di amparo sono garanzie giudiziarie indispensabili per la protezione di diversi diritti la cui sospensione è vietata dall’art. 27 par. 2 e servono, inoltre, a preservare la legalità in una società democratica (Op. cons. 8/87 del 30 gennaio 1987 – Habeas corpus in stato di emergenza, par. 42);
  • Riguardo l’amnistia, la Corte ha stabilito che le leggi che la introducono violano diritti inderogabili e, per questo, dovrebbero essere considerate prive di alcun valore giuridico. Così nel caso Barrios Altos c. Perù, la Corte ha dichiarato unanimemente l’incompatibilità delle due leggi di amnistia peruviane con la Convenzione americana. Tali leggi, infatti, avevano portato all’impossibilità per le vittime di ricercare la verità e di difendersi, determinando il perpetrarsi dell’impunità. Tali circostanze violavano il diritto ad un giusto processo (art. 8) e il diritto alla protezione giudiziaria (art. 25) previsti dalla Convenzione in congiunzione con l’art. 1 par. 1. che stabilisce l’obbligo degli Stati a rispettare i diritti e le libertà stabiliti dalla Convenzione e a garantirli a tutti senza discriminazioni. Nello stesso caso, il giudice Cançado Trindade, nella sua opinione concorrente, ha affermato che le auto-amnistie sono un’offesa inammissibile al diritto alla verità e al diritto alla giustizia e che rappresentano una violazione continuata del diritto internazionale dei diritti umani.

Nel 1998 la sparizione forzata è stata annoverata, dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, tra i crimini contro l’umanità (art. 7).

Aggiornato il

26/3/2024