Accordo popolare internazionale non governativo per il disarmo in Europa, 1989
Preambolo
Noi, rappresentanti delle associazioni nongovernative per la pace, degli Enti locali e regionali e parlamentari di Italia, Spagna e Ungheria, che operano per la realizzazione del “sacro diritto dei popoli alla pace” (Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace, Assemblea generale delle Nazioni Unite, 12/11/1984),
consapevoli che l’espressione più compiuta del diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, riconosciuto dall’identico articolo 1 dei Patti internazionali rispettivamente sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, è la costruzione di un duraturo ordine di pace nel mondo,
consapevoli che «la salvaguardia del diritto dei popoli alla pace e la promozione di questo diritto costituiscono un obbligo fondamentale per ogni stato» (Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace),
consapevoli della necessità che ovunque siano garantiti i diritti delle minoranze etniche dalle quali può venire un arricchimento all’identità di ogni stato, consapevoli della responsabilità che abbiamo, in quanto legittimi rappresentanti di valori e interessi popolari che sono comuni alle nostre società, di orientare e accelerare la doverosa azione dei parlamenti e dei governi sulla via del disarmo integrale convenzionale e nucleare,
consapevoli di vivere in un’epoca che esige profondi mutamenti della logica che informa il sistema delle relazioni politiche ed economiche tra gli stati, convinti che nell’epoca dell’interdipendenza l’obiettivo primario del nostro impegno di pace non è quello della singola difesa nazionale ma quello dell’allestimento di un sistema di sicurezza planetario fondato sulla libertà, la democrazia, la giustizia sociale ed economica e il rispetto dei diritti dell’uomo e dei popoli, e che pertanto i contenuti della sicurezza sono oggi essenzialmente economici e sociali, non militari,
convinti che spetta all’onu il compito di gestire tale sistema e che quindi occorre mettere l’Organizzazione mondiale nella condizione di effettivamente esercitare le sue funzioni, in particolare quelle previste dai Capitoli VI e VII della Carta delle Nazioni Unite,
convinti che la pratica della democrazia nella giustizia, dal quartiere e dal villaggio fino all’ONU, è sempre più necessaria e possibile,
convinti che l’obiezione di coscienza al servizio militare, alle spese militari e alla ricerca militare è una misura che agevola i processi di disarmo,
convinti che l’Europa “casa comune”, democratica e giusta, è il razionale e necessario sviluppo del sistema di comunicazione e cooperazione avviato dall’Atto finale di Helsinki, di cui la Comunità di lavoro Alpe Adria è fra le anticipazioni più significative,
convinti che l’attiva solidarietà dei nostri popoli all’interno dell’Europa “casa comune” è indispensabile per la costruzione di un nuovo ordine internazionale democratico, fondato sulle norme internazionali che riconoscono i diritti dell’uomo e dei popoli,
affermando il diritto delle Organizzazioni non governative di partecipare al funzionamento degli organismi intergovernativi così come a quello delle istituzioni nazionali,
esprimiamo le nostre comuni idee sui seguenti punti:
a) Siamo di fronte ad un nuovo contesto
- Due sono i cambiamenti principali avvenuti negli ultimi anni in Europa, che aprono prospettive nuove a rapporti più pacifici e sicuri tra paesi e blocchi: il Trattato INF per la riduzione dei missili nucleari; il profondo processo di cambiamento in atto nei paesi dell’Est.
Assieme alla lezione di Chernobyl, cioè alla brutta ma istruttiva esperienza di cosa può significare un disastro nucleare in Europa, questi elementi hanno sostanzialmente ridefinito il contesto entro cui ci troviamo ad operare.
- Le esperienze di questi ultimi dieci anni hanno arricchito la coscienza europea di un’attenzione sempre maggiore ai pericoli posti di per sé dall’esistenza delle armi nucleari, dalla loro cancerosa proliferazione, dalla scarsità di controlli a cui esse sono sottoposte.
- I radicali mutamenti in atto in molti paesi dell’Europa Orientale hanno prodotto una nuova fase di distensione e hanno messo in discussione la tradizionale idea del “nemico” sulla quale per decenni si sono costruite, ad Ovest e ad Est, dottrine militari e armi di ogni tipo. In particolare il processo di democratizzazione avviato in diversi paesi dell’Est – primo fra tutti l’Ungheria – rappresenta un elemento che contribuisce notevolmente ad accrescere un clima di fiducia tra i popoli e gli stati.
- Queste novità suggeriscono la necessità di intraprendere una nuova strada nel campo della sicurezza; una strada che porti lontano ma che sia percorribile fin d’ora.
b) Una nuova concezione della sicurezza - Transarmo - F. 16
- Il transarmo è una parola nuova che esprime un concetto meno semplice del disarmo. Il transarmo mira a superare una visione puramente quantitativa e materiale della realtà dei processi di riarmo e punta invece sui contenuti qualitativi delle scelte in materia di difesa. Il transarmo propone come punti centrali la riduzione (fino all’eliminazione) delle armi nucleari e la trasformazione del sistema di difesa convenzionale in senso strutturalmente difensivo. Non poco del valore del transarmo sta nel coniugare la necessità di sicurezza delle popolazioni e degli stati con quella parte dell’aspirazione umana alla pace che si può realizzare nell’attuale orizzonte storico.
- La progressiva diminuzione delle armi nucleari da parte di chi le possiede e l’impegno contro la loro proliferazione sono diventati obiettivi costanti di una larga maggioranza dell’umanità. L’accordo inf ha tolto dall’Europa alcune centinaia di missili nucleari ma ne rimangono ancora troppi.
- In questa situazione mentre all’Est, nei singoli paesi e complessivamente all’interno del Patto di Varsavia, sembra farsi strada un ripensamento delle dottrine e delle strategie militari, la nato non appare pronta né disposta a rivedere le sue politiche in Europa (i nuovi sistemi d’arma in produzione e in via di completamento di cui si discute nell’Alleanza Atlantica sono infatti intesi a mantenere e sviluppare qualitativamente la capacità nucleare).
- È in questo ambito, influenzato da venti contrastanti, che si colloca la decisione di costruzione della nuova base di Crotone per ospitare il 401° stormo di cacciabombardieri americani F-16 a capacità nucleare. Stormo allontanato dalla Spagna non solo per motivi di politica interna relativi al referendum sull’adesione alla NATO, ma anche per valutazioni politico-strategiche contrarie alle armi nucleari.
- La scelta dell’Italia di accettare questi aerei sul proprio territorio è discutibile e pericolosa per diversi motivi.
All’atto della decisione è stato affermato che il trasferimento degli F-16 non altererebbe il rapporto delle forze in campo, poiché già prima questi aerei facevano parte dello schieramento della nato nella regione dell’Europa meridionale; nella realtà la posizione geografica della nuova base, la sua vicinanza ai paesi membri del Patto di Varsavia definisce oggettivamente il significato di questo trasferimento.
La scelta di Crotone inoltre rischia di avere pesanti conseguenze negative nel quadro di un contesto geografico carico di molteplici tensioni internazionali, come quello del Mediterraneo.
La posizione del governo italiano appare tanto meno comprensibile alla luce delle recenti decisioni del Congresso usa che ha tagliato notevolmente i fondi destinati alla costruzione della base di Crotone, con motivazioni non solo finanziarie ma anche legate al processo di trattativa in corso a Vienna.
- Il comportamento del governo italiano rispecchia la realtà dell’esistenza dei blocchi militari. Finché sussisteranno i sistemi delle alleanze politico-militari contrapposte sussiterà la possibilità di “compensare” da qualche parte la riduzione di armamenti effettuata in un’altra. Così il problema non è soltanto italiano né di rapporto bilaterale tra l’Italia e qualche altro paese. La questione potrà essere risolta fondamentalmente solo attraverso negoziati intersistemici, europei nel senso più vasto della parola, e ciò è nello spirito di Helsinki.
Le recenti aperture fatte dalla nato , accettando la proposta del Patto di Varsavia di discutere degli aerei a doppia capacità – nucleare e convenzionale – nell’ambito delle trattative cfe in corso a Vienna, hanno indicato la sede e le modalità in cui il problema degli F-16 può essere risolto.
- Ma sono solo l’assunzione di responsabilità e i comportamenti coerenti dei singoli membri delle alleanze militari che possono produrre passi avanti sulla strada del disarmo.
c) Per questo noi, rappresentanti di associazioni nongovernative, di enti locali e parlamentari, conveniamo quanto segue;
- che l’Italia si impegni ad evitare il trasferimento degli F-16 dalla Spagna, esprimendosi in questo senso verso gli usa, in seno all’Alleanza Atlantica e nella sede delle trattative di Vienna;
- che, in questo contesto, l’Italia sospenda la costruzione della base di Crotone, il cui unico scopo sarebbe quello di ospitare gli aerei F-16 oggi materia dei negoziati CFE;
- che l’Ungheria operi, nei confronti dell’alleato sovietico, all’interno del Patto di Varsavia e nelle trattative di Vienna, per favorire il ritiro degli F-16 dal territorio europeo, anche attraverso la riduzione di forze aeree sovietiche equivalenti;
- che l’Ungheria prosegua nella ristrutturazione del proprio esercito, che prevede la riduzione sia di armamenti che di contingente, e che si impegni per accelerare il processo di ritiro delle truppe sovietiche stanziate in territorio ungherese.
- che tutti i paesi europei, in armonia con le trattative di Vienna e nella direzione di una nuova concezione della sicurezza, operino per il ritiro di tutte le truppe straniere stazionanti in Europa. L’appello approvato dal Parlamento ungherese affinché questo processo avvenga entro il 1995, cinquantesimo anniversario della seconda guerra mondiale, è una sollecitazione che dovrebbe essere adeguatamente accolta da tutti i parlamenti europei;
- che, in questo quadro, paesi europei appartenenti ad alleanze diverse o neutrali si impegnino, anche con accordi specifici, a creare zone smilitarizza te e denuclearizzate ai confini e a realizzare altre misure di fiducia capaci di sostenere il processo delle trattative e di rendere concreta la prospettiva della pace e del disarmo;
- che i governi, le associazioni, le forze politiche, sociali e della cultura di ogni paese si adoperino per costruire legami di cooperazione ad ogni livello tra le società dell’Est e dell’Ovest, del Nord e del Sud. Un esempio di cooperazione regionale si manifesta già da tempo nella comunità di lavoro dell’Alpe Adria, che coinvolge intere regioni dell’Italia, dell’Austria, della Iugoslavia e dell’Ungheria. Questa cooperazione va estesa attraverso scambi culturali, gemellaggi universitari, visite turistiche al confronto su urgenze comuni come quella ambientale. Essa va anche estesa al confronto sui temi della sicurezza, per aprire un processo a lungo termine che renda le alleanze militari esistenti sempre più obsolete ed inutili.
Una analoga strada deve essere seguita nel Mediterraneo estendendo anche a quest’area le iniziative di disarmo nucleare e convenzionale e le misure di fiducia e di cooperazione previste per l’Europa dagli Accordi di Stoccolma.