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Al di là della clinica: Per un approccio ecologico, ambientale e contestuale alla salute mentale - parte 1

Il presente contributo propone al lettore ed alla lettrice una riflessione sul tema della salute mentale nelle società contemporanee. Persegue questo scopo evidenziando il valore della prospettiva sociale e di comunità nel concepire il benessere psicologico come diritto individuale, bene pubblico e capitale ecologico. In questa prima parte, attraverso un breve excursus storico, verrà inquadrata l’emergenza del tradizionale approccio clinico e verranno identificati momenti giuridico-legislativi e scientifici paradigmatici.
Persona che legge un libro nella natura
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La salute mentale ad inizio Novecento: Una necessità individuale

Da un punto di vista storico, lo sviluppo di discipline psicologiche volte ad approfondire il disagio dell’individuo è inscindibile dalla nascita di assetti sociali moderni tra fine Ottocento ed inizio Novecento. Per quanto pratiche di cura del malessere esistenziale affondino le proprie radici all’alba dei tempi, con saperi e figure terapeutiche diverse nei secoli, è solo con l’evoluzione delle società industrializzate, urbanizzate e capitaliste che il tema della sofferenza psicologica si impone nella sua necessità di saperi specializzati, tecnici e che potessero offrire strategie mirate di intervento. Sin dal principio, dal punto di vista conoscitivo ed operativo, la strategia generale per rispondere ai bisogni psicologici e per perseguire scopi pratici è stata la clinica. L’indirizzo clinico si è imposto con vigore soprattutto grazie alla sua forma operativa più coerente con cornici economico-sociali individualiste ed al suo modello scientifico di riferimento, che traeva dalla medicina l’orientamento per la sua pratica. La clinica, infatti, permette di affrontare i disagi al livello dell’individuo, inteso come il portatore di una problematica di fronte agli equilibri del sociale, fornisce lenti e lessico medico-diagnostico, individua nel singolo, e nelle sue possibilità, la capacità – o l’incapacità – di affrontare le problematiche a cui la vita espone. Questa visione della salute mentale come disturbo o disfunzione dell’individuo che può essere ristorata nell’attività clinica, estremamente diffusa ed egemone sino ai primi anni del Duemila, è senza dubbio efficace e pertinente ma la sua portata – giuridica, epistemologica e sociale – è limitata.

Seconda metà del Novecento: Un graduale cambio di paradigma

Ben presto, infatti, le società scientifiche di diversi settori cominciano ad interrogarsi non solo sulle caratteristiche dell’individuo che lo rendono vulnerabile al disagio psicologico, ma anche sui processi sociali di cui è partecipe, ed il ruolo generatore di salute (saluto-genico) o meno in essi implicati. Parimenti, a livello giuridico-legislativo, si elabora sulla responsabilità che le regole sociali e istituzionali hanno nei confronti della promozione, oltreché tutela, della salute mentale. Pertanto, non a caso, l’attenzione istituzionale verso lo sviluppo di quadri giuridico-legislativi, politiche ed interventi mirati alla salute psicologica degli individui, soprattutto nei paesi Western, educated, industrialized, rich, and democratic, emerge nella seconda metà del Novecento, complici gli eventi politici, sociali e militari drammatici che avevano scosso, in misura differente, il pianeta. È in questo contesto, infatti, che cominciano ad imporsi, quasi contemporaneamente, tanto riferimenti giuridici e legislativi transnazionali, come la Dichiarazione Universali dei Diritti Umani, tanto indirizzi scientifici, sanitari e sociali, come la definizione di Salute dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS). Parallelamente, con ritmi diversi e talvolta disallineati, le singole Nazioni e società scientifiche hanno elaborato ulteriormente le loro proposte concettuali ed operative all’interno di un quadro di diritto, che vedesse tutelata la salute mentale in tutti i suoi ambiti, contesti e dimensioni di espressione. A partire dagli anni ’50-’60, si susseguono, sino ai giorni nostri, fondamentali riflessioni, in ambito giuridico, legislativo, bioetico, scientifico, sanitario e di salute pubblica che insistono, in maniera progressiva e sempre più incalzante, a spostare – o, meglio ad affiancare – la concentrazione sulle determinanti individuali e personologiche con conoscenze derivanti dalla psicologia sociale e dalla psicologia di comunità.

Soprattutto nei paesi dell’America Latina, negli Stati Uniti d’America ed in Europa, la visione clinica sin da subito fu rafforzata da un approccio sociale-comunitario. Le caratteristiche di quest’ultimo risiedono nell’accento posto al ruolo critico, attivo e determinante che i contesti di vita degli esseri umani, con le loro regole formali, informali, implicite o esplicite, hanno nel contribuire a creare ambienti di vita salutari. Non tanto il rifiuto di uno sguardo clinico-individuale, quanto piuttosto un’enfasi posta su quanto di condiviso socialmente e culturalmente instradasse l’individuo verso stili di vita e condotte salubri e l’appartenenza a comunità sensibili, eque ed orizzontali, in cui le unicità individuali potessero essere orientate armonicamente con le differenze sociale e verso un vivere coeso.

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Parole chiave

salute giustizia economica e sociale diritti economici, sociali e culturali