Marcia PerugiAssisi

Appello della Marcia Perugia-Assisi per la pace e la giustizia, 26 settembre 1999

Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

A dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, la storia ci consegna un mondo ancora profondamente malato, intriso di violenza, segnato da un crescente disordine internazionale, assoggettato alle spietate leggi del denaro e del mercato, dominato da una sola grande potenza e dai rapporti di forza.

Il modo in cui l’occidente ha prima lungamente ignorato e poi affrontato il dramma del Kosovo, rivela tutti i limiti e i pericoli che si annidano in una visione del mondo dominata dallo scontro di interessi nazionali e dalla volontà di potenza, all’insegna di un ordine mondiale fondato più sui rapporti di forza tra gli stati che sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla progressiva deregolamentazione in campo economico e politico piuttosto che sulla costruzione di validi percorsi di governabilità globale.

La fine della guerra fredda ci aveva offerto numerose opportunità, ma i più ricchi e i più forti hanno inteso sfruttarle solo a proprio esclusivo vantaggio. Per questo si rilancia lo strumento della guerra e il diritto di farla ogni qualvolta la si ritiene “utile”, calpestando una civiltà giuridica e politica faticosamente costruita in cinquant’anni. Per questo si inventa la teoria della “guerra umanitaria” ma si continuano sistematicamente ad ignorare tutte le estese violazioni dei diritti umani che continuano in Turchia contro il popolo curdo o in Sierra Leone, in Sudan o nel Corno d’Africa, nel Sahara Occidentale o in Medio Oriente, nel Chiapas o in Cecenia. Per questo si accelera la globalizzazione dell’economia, liberalizzando, deregolamentando, privatizzando tutto ciò che si può, ma ci si preoccupa sempre meno di (ri)dare un briciolo di speranza a quelle centinaia di milioni di persone abbandonate nel mondo senza cibo né acqua, senza una casa o un lavoro. Per questo si pretende di rilanciare la Nato e i vertici dei paesi più forti (come il G7+1) ma si delegittima l’ONU, lo si priva dei mezzi e delle risorse necessarie, condannandolo ai margini di ogni sede decisionale. Per questo ancora oggi esiste nel mondo una lunga lista di crisi e problemi cronici irrisolti: non perché non si conoscano le soluzioni, ma perché chi ha la capacità e i mezzi per intervenire non ha alcuna volontà di farlo.

Il costo sociale e politico, morale e finanziario di queste tendenze è incalcolabile. Gli effetti sono sotto i nostri occhi. Si sta perdendo di vista il senso del “vivere insieme”, della “comunità”, del “bene comune”. I popoli diventano un’insieme di individui separati gli uni dagli altri, in continua competizione. Il costo della solidarietà è considerato sempre più insopportabile: la competizione a tutti i livelli è la nuova legge. In tanta parte del mondo, i governi sono circondati da un crescente discredito, le istituzioni democratiche nazionali sono svuotate di potere, quelle internazionali restano senza alcun serio controllo democratico, la politica viene vissuta dai cittadini con sempre maggiore distacco e diffidenza e le elezioni registrano una sempre minore partecipazione.

Eppure, nessuna di queste tendenze può essere considerata irreversibile o inevitabile. Numerose esperienze dimostrano che le alternative esistono e possono essere realizzate. L’impegno incessante di milioni di donne e uomini, di ogni credo religioso e politico, che in tutto il mondo stanno lavorando con coerenza e fedeltà ai valori umani universali, dimostra che cambiare è possibile. Le guerre non sono terremoti: possono essere previste e prevenute. La povertà e l’esclusione sociale non sono una maledizione divina: possono essere combattute e sradicate. Il disordine internazionale non è una malattia incurabile: i rimedi esistono e attendono di essere usati.

Un altro mondo, un mondo diverso, più giusto e pacifico, è dunque possibile. Per costruirlo ed evitare di essere condannati alla barbarie, per affrontare con efficacia le principali emergenze e le grandi sfide globali del nostro tempo, per gestire la crescente interdipendenza planetaria, sono necessarie persone responsabili e istituzioni globali, democratiche e autorevoli, determinate a lavorare assieme per promuovere il “bene comune”.

Garantire a tutti l’accesso ai diritti sociali di base (il diritto al cibo, all’acqua, alla salute, all’educazione, alla casa, al lavoro ...); ridurre il fossato che separa i ricchi e i poveri; democratizzare l’economia globale e promuovere l’economia sociale; orientare il mercato in modo da soddisfare i bisogni fondamentali delle persone; mettere al bando la guerra e le armi che l’alimentano; prevenire i conflitti, fermare i massacri e punire i responsabili; promuovere uno sviluppo equo e sostenibile; promuovere un uso pacifico e solidale della ricerca scientifica; democratizzare e rafforzare le istituzioni regionali e internazionali e promuovere la governabilità globale; favorire la crescita di una società civile globale sempre più partecipe e responsabile; promuovere il rispetto dei diritti umani di tutti: questi obiettivi devono essere posti, in modo esplicito, in testa all’agenda della comunità mondiale, dalle nostre città all’ONU. L’Assemblea del Millennio convocata dalle Nazioni Unite per il 2000, che vedrà riuniti prima i rappresentanti dei popoli e poi i capi di Stato di tutta la Terra, è una preziosa occasione per cambiare. Cambiare le priorità della politica e dell’uso delle risorse, rimettere al centro le persone, i popoli e il rispetto dei loro fondamentali diritti, è il primo passo verso un altro mondo.

Un ruolo di responsabilità spetta anche al nostro Paese

L’Italia è membro dell’Unione Europea, dell’ONU, del G7+1, della NATO, della UEO (Unione Europea Occidentale) e dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). L’Italia è parte di quel blocco di paesi che è in grado di determinare se debba essere la guerra o la pace, la povertà o il benessere a improntare la vita in molte regioni del mondo.

Questa responsabilità non può più essere ignorata. La possibilità di rendere il mondo più democratico, più sicuro, più giusto e sostenibile dipende anche dalle scelte compiute dal nostro Paese. Così come la possibilità di garantire un futuro di pace e sicurezza per il nostro Paese dipende dall’impegno per la soluzione pacifica dei numerosi conflitti aperti innanzitutto nei Balcani e nel Mediterraneo.

La costruzione della pace comincia certamente a casa nostra: garantendo a tutti, e in particolare ai più deboli, pari opportunità, una occupazione dignitosa, l’accesso all’educazione, alle cure mediche e all’abitazione. Ma pace e sicurezza sono beni indivisibili. Per questo chiediamo ai responsabili della politica italiana, al Governo e al Parlamento, di agire in Europa e in tutte le sedi internazionali secondo i principi e le norme sancite dalla nostra Costituzione, dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale dei diritti umani e di compiere alcuni primi atti concreti:

Per il rilancio dell’ONU e la democrazia internazionale

1. promuovere un’iniziativa dell’Italia e dell’Europa per:

– la creazione di un’Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite;

– la riforma del Consiglio di sicurezza in senso rappresentativo e democratico;

– la costituzione di un Consiglio per la sicurezza economica e lo sviluppo umano sostenibile;

2. rendere tripartita la composizione della delegazione italiana negli organi collegiali dell’ONU (governo, parlamento, organizzazioni nongovernative);

3. promuovere la democratizzazione dell’Unione Europea, attribuendo maggiori poteri al Parlamento europeo e favorendo la costruzione di una fitta rete di società civile e di enti locali in grado di svolgere pienamente il proprio ruolo di proposta, collaborazione e controllo;

Per una nuova politica di sicurezza

4. mettere subito a disposizione permanente dell’ONU una parte delle nostre forze armate e un contingente di personale civile per la creazione di una forza di polizia internazionale e di un efficace sistema di sicurezza collettiva;

5. promuovere la definizione di una politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea basata su una partnership stabile con la Russia e con tutti i paesi dell’Europa orientale e del Mediterraneo, sulla riduzione delle spese militari e sulla costruzione di una sicurezza comune paneuropea e mediterranea;

6. intensificare l’impegno internazionale contro la criminalità organizzata, il commercio e il traffico clandestino delle armi e della droga;

Per la pace nei Balcani e nel Mediterraneo

7. promuovere, sotto l’egida dell’ONU, una Conferenza internazionale per la pace nei Balcani, con tutte le parti interessate per ricostruire un futuro europeo a tutti i popoli e paesi della regione e impedire un’ulteriore destabilizzazione;

8. operare in modo che la ricostruzione dei Balcani sia un’occasione di sviluppo umano e sociale, di rafforzamento della democrazia, di costruzione di un quadro di sicurezza, di riconciliazione e di integrazione per tutti i popoli balcanici;

9. definire un piano organico di partecipazione dell’Italia al programma europeo di ricostruzione dei Balcani che valorizzi i principi di integrazione tra le diverse comunità, di ricostruzione del tessuto sociale e di valorizzazione delle risorse umane assicurando il pieno coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e degli enti locali sia nella Conferenza che nei programmi di ricostruzione;

10. impegnarsi a non ignorare più le denunce della società civile sulle violazioni dei fondamentali diritti umani, come è accaduto per lungo tempo anche per il Kosovo;

11. promuovere ogni iniziativa diplomatica, in Europa e presso le Nazioni Unite, in grado di impedire l’uccisione del leader curdo Ocalan e di accelerare la convocazione di una Conferenza internazionale per la pace in Turchia che favorisca la riconciliazione e il riconoscimento dei fondamentali diritti del popolo curdo;

12. sollecitare una forte iniziativa dell’Europa per accelerare il processo di pace in tutto il Medio Oriente e per promuovere la costruzione di una politica di pace e di sviluppo del Mediterraneo fondata sul ripudio “attivo” della guerra e delle violazioni dei diritti umani, sulla cooperazione e l’integrazione;

Per un’economia di giustizia

13. promuovere la cancellazione del debito dei paesi impoveriti, definendo entro il 2000 gli opportuni provvedimenti legislativi, attivando iniziative bilaterali e sollecitando l’intervento delle Nazioni Unite;

14. approvare rapidamente una nuova legge sulla cooperazione internazionale al servizio dei bisogni e delle priorità dei paesi più poveri, che riconosca in modo chiaro il ruolo delle Regioni, degli Enti Locali e delle organizzazioni della società civile e aumentare i fondi a partire dal 2000;

15. promuovere la democratizzazione e la riforma della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio e respingere gli obiettivi contenuti nel progetto dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti;

16. promuovere tutte le misure necessarie per creare nuova occupazione, favorire l’economia sociale e ridare piena dignità al lavoro e ai lavoratori di tutto il mondo, mettendo al bando tutte le più odiose forme di sfruttamento;

Per la promozione dei diritti umani e della cultura della pace

17. assumere una politica antirazzista fondata sul riconoscimento del diritto di cittadinanza e promuovere una dignitosa accoglienza per gli immigrati, rifugiati e profughi, dando efficacia al diritto d’asilo;

18. sollecitare la rapida entrata in funzione del Tribunale Penale Internazionale sui crimini di guerra e contro l’umanità;

19. creare la Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani, come raccomandato dalle Nazioni Unite, e promuovere la moratoria internazionale della pena di morte;

20. definire, in occasione del 2000: Anno internazionale per la cultura della pace, un “Piano nazionale di educazione alla pace e ai diritti umani” da inserire nei programmi scolastici ed extrascolastici.

Costruire un altro mondo dipende anche da ciascuno di noi. Sostituire la cultura della competizione selvaggia con quella della cooperazione, la cultura della guerra con la cultura della pace, l’esclusione con l’accoglienza, l’individualismo con la solidarietà, la separazione con la condivisione, l’arricchimento con la redistribuzione, la sicurezza nazionale armata con la sicurezza comune, comincia con una scelta che ognuno può compiere.

Ognuno può fare qualcosa ma, per essere efficaci, occorre imparare a farlo insieme. Cittadini, organizzazioni della società civile, comunità ed enti locali devono agire insieme, con audacia, operando oltre le frontiere e le diversità come un fronte unico, con una strategia globale e una consapevolezza comune. La 3ª Assemblea dell’ONU dei Popoli e la Marcia Perugia-Assisi del prossimo 26 settembre 1999, nel centenario della nascita di Aldo Capitini, saranno l’occasione, alle soglie del nuovo millennio, per stringere questa alleanza: per la pace e un’economia di giustizia, per i diritti umani e la democrazia.

Parole chiave

Marcia PerugiAssisi giustizia cultura di pace

Percorsi

Centro diritti umani