Articolo 24 - Un bell'articolo
Articolo 24
Ogni
individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una
ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche
retribuite
L’Articolo 7 (lettera d) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è più esplicito nel dire che gli stati sono obbligati a garantire una remunerazione del lavoro “che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo … il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi”.
A sua volta, l’Articolo 37 della Costituzione Italiana stabilisce che
“il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunciarvi”.
Siamo in presenza di
disposizioni di perentoria precettività, i cui termini applicativi sono
fissati, e costantemente aggiornati, dal legislatore nazionale
all’interno del dialogo sociale tra governo, sindacati dei lavoratori,
associazioni padronali.
La persona umana non è una macchina (anche questa però è soggetta ad usura …) e deve avere la possibilità reale di sviluppare tutte le sue potenzialità in adeguati periodi di riposo e di fertile ricreazione. Anche il lavoro è, deve essere occasione di sviluppo della persona secondo dignità. E’ per questo che la legislazione internazionale in materia disciplina minuziosamente le condizioni di lavoro, che devono essere idonee a garantire la salute dei lavoratori. In concreto, è interpellata la responsabilità personale del datore di lavoro insieme con quella di sopraordinati organismi di sorveglianza.
La civiltà dei diritti umani insieme con la civiltà del lavoro ha portato a stabilire che c’è l’obbligo di rispettare il diritto alle ferie e allo svago anche del detenuto-lavoratore. Una sentenza della Corte Costituzionale del 2001 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge del 26 luglio 1975 n.354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria. La Corte motiva che il diritto al riposo annuale integra una di quelle ‘posizioni soggettive’ che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione.
L’Articolo 24 della Dichiarazione parla anche di “svago” per il
lavoratore, cioè di fruizione di momenti ludici e di ricreazione
culturale e artistica. Il lavoratore deve avere la possibilità di
prendere parte liberamente alla vita culturale, come dispone l’Articolo
27 della Dichiarazione. Questo ci porta a considerare le ferie come un
periodo che, come dicevano i nostri avi, ritempra il corpo e lo
spirito. Insomma, una salubre parentesi nella routine lavorativa tanto
più necessaria quanto usurante è il tipo di lavoro. Il diritto allo
svago ha un significato e una portata non circoscrivibili alla logica
dell’una tantum. Ha a che fare con la coltivazione di umanesimo negli
stessi luoghi di lavoro. Sono dunque interpellati architetti, artisti
visivi, musicisti per arricchire di bello gli uffici, le fabbriche, i
cantieri.
Questi pensieri sembrano appartenere al mondo dei sogni o
delle fatuità nel tempo che viviamo, disturbati come siamo da tante
insicurezze. La realtà del precariato e della disoccupazione insieme
con l’ambigua proposta della flexicurity ha come risultato quello di
bruciare o comunque di rendere superfluo l’umanesimo del e nel lavoro.
L’assenza o l’intermittenza del lavoro, lo stesso lavoro in settori
dell’economia informale, costituiscono di per sè “ferie”, ma ferie
stressanti e drammatiche, per così dire a tempo indeterminato, segnate
non dalla possibilità di ritemprarsi e svagarsi più del solito, ma
dall’ansia, dalla frustrazione, dal risentimento nei confronti di
sistemi di governo che sono sudditi del mercato e della speculazione
finanziaria, che considerano le politiche per la “piena occupazione”,
prescritte dalle norme internazionali, non un obbligo ma un optional.
Si pensi ancora a chi, per mantenere sé e la propria famiglia, ha
doppio o triplo lavoro, magari anche con lavoro notturno continuativo…
. Si pensi al lavoro in regime di ‘caporalato’ o a quello degli
immigrati ‘irregolari’.
Che senso ha per queste masse di umanità precaria l’Articolo 24 della Dichiarazione?
C’è disagio nel tentare di trovare la risposta ad un interrogativo che
interpella la coscienza e la responsabilità di tutti. Ma non si può
restare inerti nella tristezza e nell’arrendersi ai determinismi. La
cultura, anzi il sapere dei diritti umani, ci dice: sforzati di
tradurre i diritti umani in una organica e coerente Agenda politica.