costruzione della pace

Beati i Costruttori di Pace: a Sarajevo nella Giornata internazionale dei diritti umani 1992

Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

1. “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”

Il significato dell’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani si pone al centro dell’iniziativa politica dei Beati i costruttori di pace, i quali intendono interpretarlo e applicarlo alla luce di quanto enunciato nell’identico Preambolo dei due Patti giuridici internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali: “L’individuo, in quanto ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel presente Patto”. Andiamo a Sarajevo per condividere con i fratelli e le sorelle della Bosnia e Erzegovina la speranza e l’impegno affinché la Giornata internazionale dei diritti umani 1992 segni la fine delle sofferenze in quella città martoriata. La celebreremo insieme, scambiandoci gesti di solidarietà concreta e riflettendo, in spirito di comune progettualità e responsabilità per l’azione, su ciò che implicano i principi e le norme del diritto internazionale dei diritti umani – delle persone e dei popoli – per il comportamento delle istituzioni nazionali e internazionali così come per quello delle strutture indipendenti di società civile.

Andiamo a Sarajevo sotto la responsabilità personale di ciascuno, pienamente consapevoli dei rischi che corriamo. Nella eventualità di gesti violenti nei nostri confronti, chiediamo con fermezza che non si adottino misure di ritorsione implicanti l’uso della violenza e di quella militare in specie.

2. I diritti umani e i diritti dei popoli sono riconosciuti dal vigente diritto internazionale (Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, Patti internazionali del 1966 e le altre Convenzioni giuridiche pertinenti) come diritti fondamentali, cioè inviolabili e inalienabili. Ne discende che, in virtù di questo nuovo diritto internazionale o diritto della comunità umana, tutte le persone, i popoli e la famiglia umana universale devono considerarsi soggetti originari di sovranità anche nel sistema dei rapporti internazionali. 

I principi fondamentali di questo nuovo diritto, che anche la recente sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli (Padova-Venezia, ottobre 1992) stabilisce essere principi di jus cogens, validi cioè per tutti, sono: principio di vita, principio di eguaglianza degli individui e dei popoli, principio di pace, principio di interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani, principio di cittadinanza planetaria, principio di solidarietà, principio di giustizia sociale, principio di democrazia politica ed economica.

Le norme giuridiche internazionali sui diritti umani rafforzano il principio della soluzione pacifica delle controversie e quello del divieto dell’uso della forza enunciati nell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite.

Esiste oggi un chiaro ordine di priorità tra le norme dell’ordinamento giuridico internazionale. Al primo posto sono quelle relative ai diritti umani. Laddove sorga contrasto tra diritti umani internazionalmente riconosciuti e diritti degli stati, i primi devono prevalere. Perché non si sviluppino conflitti per l’applicazione di questi principi, occorre che la comunità internazionale adegui le proprie istituzioni o ne crei di nuove sì da garantire giustizia e sicurezza per tutti.

Il diritto internazionale dei diritti umani rifiuta la logica della frontiera nazionale armata e chiusa e legittima ad agire per il nuovo ordine internazionale democratico e nonviolento, secondo quanto enunciato dall’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Quindi è lecito, anzi doveroso, per qualsiasi persona, gruppo o istituzione interessarsi delle vicende relative ai diritti umani in casa propria e in casa altrui, operando per la loro promozione e tutela “dal villaggio all’ONU”. Più precisamente, le strutture indipendenti di società civile sono pienamente legittimate, anche sotto il profilo giuridico-formale, ad esercitare il diritto-dovere di portare aiuto e solidarietà alle persone, ai popoli e alle minoranze che subiscono violazioni dei loro diritti innati e di agire attivamente per ricercare e proporre soluzioni appropriate.

Tale diritto-dovere è chiaramente enunciato dallo “Institut de Droit International” (Risoluzione di Santiago de Compostela del 13.09.1989), dal Parlamento europeo (Risoluzione sui diritti umani nel mondo nel 1989 e 1990 e sulla politica comunitaria dei diritti dell’uomo, 1991), dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, CSCE (Documento conclusivo della Conferenza sulla dimensione umana, Mosca, 4 ottobre 1991), dalla Assemblea dei Cittadini di Helsinki (Documento di Bratislava, marzo 1992).

La democrazia internazionale, in questa forma di iniziativa e partecipazione politica popolare per la prevenzione e la soluzione dei conflitti e per l’esercizio della solidarietà internazionale, è un diritto fondamentale delle persone e dei gruppi come il diritto alla democrazia in ambito nazionale.

3. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, quale espressamente riconosciuto dall’identico art. 1 dei due Patti internazionali del 1966 e dal principio VIII dell’Atto finale di Helsinki, deve essere interpretato all’interno del quadro normativo generale di tutti i diritti umani internazionalmente riconosciuti e in base al principio della loro interdipendenza e indivisibilità.

In quest’ottica, il processo di autodeterminazione non sempre può sfociare nella creazione di un nuovo stato sovrano, ma può concludersi anche con la realizzazione di forme avanzate di autonomia territoriale, garantite sul piano internazionale. Non è questo, evidentemente, il caso di Bosnia Erzegovina, Slovenia e Croazia, il cui processo di autodeterminazione si è democraticamente perfezionato con la dichiarazione di indipendenza, il riconoscimento internazionale e l’ammissione all’ONU.

In taluni territori, ove coesistano più minoranze, gruppi etnici o micro-nazionalità,  l’esito dell’autodeterminazione può consistere nella creazione di “territori transnazionali” (regioni, province, municipalità, interregioni), da considerarsi come nuova figura giuridica di entità territoriale. Il territorio transnazionale, per il fatto di essere connotato dalla multiculturalità, è assunto essere “bene comune dell’umanità” dal punto di vista geo-antropologico. In altre parole, la multietncità, la multirazzialità, la multiculturalità sono concrete “risorse di pace” per il mondo intero. Lo statuto legale del territorio transnazionale è fatto dei seguenti elementi: a) l’accordo fra i vari gruppi etnici; b) l’accordo fra lo stato di cui fa parte il territorio interessato e gli stati confinanti; c) la presenza permanente sul territorio di una autorità internazionale di garanzia; d) la presenza organizzata di strutture transnazionali di società civile, con funzioni di “laboratori permanenti di interculturalità”; e) appartenenza ad una “Camera dei territori transnazionali” dentro la CSCE.

In ogni caso, tenuto conto del fatto che il diritto di autodeterminazione, pur formalmente riconosciuto, è tuttora privo di adeguati strumenti internazionali di tutela, il relativo processo deve avvenire con altissimo senso di responsabilità e nel rispetto delle seguenti condizioni da parte di chi legittimamente rappresenta la comunità umana interessata:

1.fare immediato, esplicito riferimento al diritto internazionale dei diritti umani;

2.porsi subito sotto l’autorità sopranazionale dell’ONU e delle istituzioni regionali a questa coordinate (CSCE, Consiglio d’Europa, CEE);

3.non usare la violenza, ma gli strumenti propri del metodo democratico: negoziato, referendum, plebiscito, elezioni, ecc.;

4.rispettare tutti i diritti umani, in particolare i diritti delle minoranze;

5.impegnarsi affinché la eventuale nuova entità territoriale, esito finale del processo di autodeterminazione, non sia armata;

6.impegnarsi ad adottare una costituzione democratica che riconosca esplicitamente il primato del diritto internazionale dei diritti umani rispetto a qualsiasi altro ordinamento.

Nell’esigere il rispetto di queste condizioni, la comunità internazionale deve a sua volta adempiere ai seguenti impegni:

1.nel territorio ove si ponga un problema di autodeterminazione essere subito presente con una apposita struttura di garanzia sopranazionale articolata in:

a)struttura di monitoraggio;

b)struttura di supervisione dei processi di manifestazione della volontà popolare;

c)struttura di interposizione (se necessaria);

2.allestire sistemi di sicurezza collettiva internazionale sotto l’autorità sopranazionale delle Nazioni Unite;

3.fare in modo che le preesistenti istituzioni regionali di cooperazione e integrazione accolgano subito al loro interno le nuove entità territoriali;

4. democratizzare tutte le istituzioni internazionali (ONU, CSCE, Consiglio d’Europa), mediante forme di legittimazione diretta degli organi principali e di partecipazione politica popolare ai loro processi decisionali.

4. Di fronte ai drammatici avvenimenti nella Bosnia e Erzegovina e, più in generale, nella ex Jugoslavia, sulla Comunità internazionale – Stati, ONU, CEE, CSCE – pesa la gravissima responsabilità di non essere intervenuta in via preventiva, e con mezzi realmente efficaci, per la soluzione pacifica dei conflitti.

Non meno gravi responsabilità specifiche pesano su quei leaders e gruppi politici che cinicamente tentano di conservare, in condizioni di palese illegalità e con forme di repressione violenta delle istanze democratiche, regimi politico-militari che altrimenti sarebbero già scomparsi.

Le cosiddette operazioni di pulizia etnica insieme con le estese e flagranti violazioni dei diritti delle minoranze, inoppugnabilmente accertate dall’Inviato speciale dell’ONU, costituiscono crimine contro l’umanità e violazione palese della Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.

Tra le colpe più evidenti della comunità internazionale, e soprattutto della classe governante europea, è quella di essere rimasta inerte sul terreno della progettualità di fronte ai radicali mutamenti che avrebbero esigito e tuttora esigono intelligenti e coraggiose risposte nel segno dell’innovazione e della solidarietà: fondamentalmente, la creazione di un sistema paneuropeo dotato di efficaci istituzioni per la sicurezza economica, sociale e di ordine pubblico, insomma la messa in opera della grande intuizione della “Casa comune europea”. L’attuale leadership politica europea e mondiale, nel suo insieme, passerà alla storia come quella che non ha saputo o voluto cogliere i segni dei tempi, per aprire senza indugio una nuova fase di reale pacificazione e sviluppo nei rapporti fra popoli e fra stati pagandone il costo in termini di solidarietà economica e sociale oltre che politica.

Va denunciato con forza che il settore in cui la comunità degli stati è stata meno inerte è quello della produzione e del traffico di armi. Questo fatto rende ancora più colpevole la mancanza di progettualità politica di segno positivo.

5. In questa situazione, che tanti morti e sofferenze ha già provocato e continua a provocare, e il cui costo è di gran lunga superiore a quello di un serio programma di solidarietà economica, la società civile internazionale sta da tempo reagendo facendo appello all’etica della responsabilità, della giustizia e della solidarietà e ai doveri giuridici che discendono dalle norme internazionali sui diritti dell’uomo e dei popoli.

Noi, Beati i costruttori di pace, pienamente consapevoli del dovere morale e giuridico di agire per la promozione e la tutela dei diritti fondamentali delle persone, dei popoli e delle minoranze, proponiamo di discutere con i fratelli e le sorelle bosniache alcune linee di un progetto politico che possiamo insieme avanzare alle competenti istanze governative nazionali e internazionali e al mondo delle strutture indipendenti di società civile.

Ciò che proponiamo di discutere affonda le proprie radici nei principi e nelle norme del Codice universale dei diritti umani che è la nostra legge fondamentale e che, giova ripetere, ci legittima, in quanto parte attiva e responsabile di società civile internazionale, ad assumere iniziative miranti a porre fine ad uno stato di cose assolutamente intollerabile perché disumano e illegale.

6. Riprendiamo con convinzione e determinatezza l’idea, irrinunciabile, di una Casa comune europea dentro la quale spegnere i conflitti fraticidi e costruire rapporti di reciproco aiuto e rispetto. 

Proponiamo subito i primi due “mattoni” o premesse essenziali della strategia di Casa comune, quale riferimento indispensabile per le proposte riguardanti la situazione bosniaca.

Primo “mattone”. Il fondamento etico e giuridico della Casa comune europea è costituito dai valori umani recepiti dal Codice internazionale dei diritti delle persone e dei popoli.

Secondo “mattone”. Le istituzioni europee – principalmente CSCE, Consiglio d’Europa, CEE – invece di agire (o restare inerti o pasticciare) ciascuna per proprio conto, devono:

–cooperare fra loro;

–democratizzare le proprie strutture;

–coordinarsi con l’ONU, anche questa da rapidamente democratizzare e trasformare in “ONU dei popoli”;

– accogliere tutti gli stati e i popoli europei grandi e piccoli, alla sola condizione che essi si impegnino a rispettare il Codice internazionale dei diritti umani (e non limitarsi quindi a forme, comunque insufficienti, di mera assistenza d’emergenza).

A questi compiti devono sovraintendere:

a) una Unità inter-istituzionale paneuropea, composta dai rappresentanti al massimo livello di tutte le istituzioni europee;

b) una Istituzione parlamentare paneuropea, composta dai rappresentanti del Parlamente europeo, dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, dei Parlamenti di tutti gli stati europei, con funzioni di indirizzo e controllo nei confronti della Unità inter-istituzionale. La prospettiva è evidentemente quella della creazione di un Parlamento paneuropeo eletto a suffragio universale.

7. Partendo dal riferimento ai due primi “mattoni” di Casa comune europea, avanziamo le seguenti proposte per quanto riguarda specificamente la situazione in Bosnia e nella ex Jugoslavia.

1. Costituzione di una “Tavola rotonda permanente di società civile della Bosnia”, composta da tutte le espressioni di società civile, che si riconoscono nel Codice universale dei diritti umani, operanti sul territorio. La Tavola rotonda dovrebbe alimentare un dialogo permanente, col duplice obiettivo principale di efficacemente influire sulle scelte delle istituzioni politiche e di sviluppare forme di cooperazione multietnica e multiculturale.

Facciamo appello, per questo, allo spirito di iniziativa e alla autorità morale e politica della Helsinki Citizens’ Assembly, HCA, perché aiuti le varie espressioni di società civile in Bosnia ad avviare e rafforzare il dialogo interculturale e interconfessionale e mobiliti risorse di concreta solidarietà transnazionale attorno alla Tavola rotonda di società civile bosniaca. La HCA dovrebbe altresì operare affinché a tale Tavola rotonda venga riconosciuto, in via straordinaria, lo “status consultivo” presso la CSCE, il Consiglio d’Europa, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e l’UNESCO.

2. Trattato multilaterale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia. Le iniziative negoziali finora esperite si sono rivelate fallimentari dilatorie. Si rende necessaria una iniziativa molto più forte e sincera, sotto la presidenza di un pool di istituzioni internazionali, ovvero di una “Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia”, composta da ONU, CSCE, Consiglio d’Europa, CEE, coordinata dal Segretario generale dell’ONU, alla quale devono partecipare le parti più direttamente in causa: Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro, Croazia e un gruppo di paesi confinanti con i territori della ex Jugoslavia, in particolare: Slovenia, Ungheria, Italia, Austria, San Marino, Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Albania.

Gli obiettivi sui quali raggiungere l’accordo sono:

a)cessate il fuoco;

b)disarmo delle parti;

c)ritiro delle forze di occupazione;

d)smilitarizzazione del territorio;

e)presenza adeguata dei Caschi blu;

f)presenza di una Alta autorità internazionale di garanzia;

g)rientro dei profughi;

h)ristabilimento dei confini preesistenti allo scoppio della guerra;

i)sottoscrizione di un Trattato multilaterale di garanzia, buon vicinato e cooperazione tra Bosnia e paesi confinanti, sottoscritto anche e garantito – per la sua applicazione – dalla Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia.

Al tavolo del negoziato deve partecipare, in veste consultiva, la rappresentanza della Tavola rotonda permanente di società civile della Bosnia.

Nello svolgimento delle operazioni di cui alle lettere da a) a g), devono essere rigorosamente applicate le norme del diritto internazionale umanitario riguardanti il trattamento di prigionieri, feriti, popolazione civile, ecc. (Convenzioni di Ginevra).

3. Perché il negoziato si avvii, occorre una forte iniziativa di diplomazia popolare che amplifichi ulteriormente l’impatto della manifestazione di Sarajevo per la celebrazione della Giornata internazionale dei diritti umani 1992. Si tratta di mobilitare una estesa adesione popolare, col coinvolgimento anche di personalità del mondo culturale, artistico, religioso e politico, al presente documento. Le firme dovranno essere raccolte con la collaborazione di quante più possibili associazioni di promozione umana (da quelle eco-pacifiste a quelle di solidarietà sociale di base) attraverso la tecnica del “banchetto”, lettere ai giornali, sottoscrizioni nelle librerie, nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle chiese.

4. Il cessate il fuoco, il disarmo dei gruppi armati e l’embargo sul traffico di armi verso le zone del conflitto sono un obiettivo da conseguirsi in via prioritaria. A queste operazioni deve presiedere l’Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia.

Un ruolo importante deve essere svolto dalle strutture indipendenti di società civile mediante la tecnica della denuncia dei traffici d’armi e il blocco dei mezzi che le trasportano.

In questo contesto, deve essere avviato un processo di smilitarizzazione del territorio, sotto l’egida dell’ONU, secondo le proposte contenute nell’importante Rapporto di Boutros Boutros Ghali, Segretario generale delle Nazioni Unite, intitolato “Agenda per la pace” (New York, giugno 1992).

5. Programma di cooperazione economica, sociale e umanitaria. L’Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia deve elaborare un piano di aiuti finalizzati alla ricostruzione economica, sociale e culturale delle zone danneggiate dal conflitto, mobilitando le necessarie risorse finanziarie e umane presso gli stati, gli organismi economici internazionali, gli ambienti produttivi.

Alla realizzazione di questo piano devono essere ufficialmente associate le organizzazioni nongovernative (ONG) e le strutture di volontariato, non soltanto perché indispensabili per la loro intrinseca capacità di operare in situazioni di difficoltà estrema, ma anche per evitare il ripetersi di quelle strumentalizzazioni e devianze che caratterizzano i programmi di cooperazione intergovernativa allo sviluppo con i paesi del Sud del mondo.

Di questo piano, una parte importante deve riguardare la incentivazione di iniziative per l’educazione alla pace e ai diritti umani e al dialogo interculturale, con la collaborazione di ONG, scuole, università, enti locali dei paesi membri della CSCE.

Priorità deve essere data alla installazione sul territorio di Centri per la promozione e la tutela dei diritti umani e delle minoranze, in rapporto diretto con le competenti istituzioni dell’ONU, della CSCE, del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo.

All’interno di questo programma, un ruolo educativo di particolare rilievo può essere svolto dagli obiettori di coscienza e dalle donne.

In particolare, gli obiettori di coscienza con l’aiuto delle loro strutture organizzate anche sul piano internazionale, si propongono tra i soggetti più idonei a educare alla pratica della nonviolenza e quindi a dare un supporto popolare alla strategia di smilitarizzazione del territorio sotto egida ONU.

Utili indicazioni per un programma di “peace building” sono contenute nel citato Rapporto di Boutros Boutros-Ghali.

8. L’esperienza della Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia potrebbe rivelarsi utile per fronteggiare situazioni analoghe in altre parti del continente europeo.

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