Beati i costruttori di pace: Si vive una sola pace Mir Sada, 1993
In quanto rappresentanti di istituzioni indipendenti di società civile internazionale, andiamo a Sarajevo non per dire alle vittime della guerra cosa devono fare ma cosa noi dobbiamo fare con loro.
Andiamo a Sarajevo esercitando funzioni di diplomazia popolare, cioè di democrazia internazionale attraverso la partecipazione diretta delle formazioni sociali transnazionali ai processi di soluzione pacifica dei conflitti e di genuina solidarietà internazionale.
Andiamo a Sarajevo a compiere una “operazione umanitaria” in senso proprio, cioè realizzata con l’impiego di strumenti e il perseguimento di fini rigorosamente compatibili con i principi della deontologia della pace e con le norme del diritto internazionale dei diritti umani.
Andiamo a Sarajevo, nei luoghi della sofferenza, per sottoscrivere un patto di solidarietà paneuropea e per gettare le fondamenta reali della Casa comune europea.
Andiamo a Sarajevo per dire solennemente che ci impegniamo a fare aprire, non già a chiudere, l’area della solidarietà politica ed economica dei nostri paesi e delle istituzioni europee a tutti i popoli della ex Yugoslavia.
Andiamo a Sarajevo forti dell’esperienza fatta a Vienna in occasione della Conferenza mondiale sui diritti umani, dove abbiamo constatato che le strutture organizzate di società civile sono sempre più numerose e attive in ogni parte del mondo e si ritrovano solidali - Nord e Sud - all’interno di una comune strategia di nuovo ordine internazionale fondato sulla legge dei diritti umani “universali, indivisibili, interdipendenti”.
Andiamo a Sarajevo per dire che agiremo perchè l’ONU sia “ONU dei popoli”, capace cioè di garantire la sicurezza di tutti i popoli sul piano politico, economico e dell’ordine pubblico internazionale.
Andiamo a Sarajevo per dire che la società civile internazionale si impegna a costruire l’Europa Casa comune nel mondo villaggio comune.
In quanto rappresentanti di istituzioni indipendenti di società civile internazionale e nella consapevolezza di essere pienamente legittimati a esercitare il nostro ruolo di costruttori di pace ai sensi delle norme giuridiche internazionali sui diritti umani e in particolare dell’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che recita: «Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione possono essere pienamente realizzati», chiediamo:
1.il cessate il fuco immediato;
2.la presenza di 100.000 Caschi blu sotto effettivo comando ONU;
3.l’apertura del negoziato “orizzontale” fra tutte le parti in causa, garantito da una “Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia”, composta da ONU, CSCE, Consiglio d’Europa, CEE e coordinata dall’ONU. Al tavolo del negoziato devono partecipare tutte le parti più direttamente in causa: Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro, Croazia e un gruppo di paesi confinanti con i territori della ex Jugoslavia, in particolare: Slovenia, Ungheria, Italia, Austria, San Marino, Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Albania.
Gli obiettivi sui quali raggiungere l’accordo sono: disarmo delle parti; ritiro delle forze di occupazione; smilitarizzazione del territorio; presenza adeguata dei Caschi blu; presenza di una Alta autorità internazionale di garanzia; rientro dei profughi; ristabilimento dei confini preesistenti allo scoppio della guerra; sottoscrizione di un Trattato multilaterale di garanzia, buon vicinato e cooperazione tra Bosnia e paesi confinanti, sottoscritto anche e garantito – per la sua applicazione – dalla Agenzia internazionale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo umano in Bosnia. Al tavolo del negoziato devono partecipare, in veste consultiva, rappresentanti delle istituzioni indipendenti di società civile;
4. la convocazione a Sarajevo di una sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che affronti i problemi umanitari, sociali ed economici;
5. la elaborazione di un piano di aiuti finalizzati alla ricostruzione economica, sociale e culturale delle zone colpite dal conflitto, mobilitando le necessarie risorse finanziarie e umane presso gli stati, gli organismi economici internazionali, gli ambienti produttivi. Alla realizzazione di questo piano devono essere ufficialmente associate le organizzazioni nongovernative (ONG) e le strutture di volontariato, non soltanto perché indispensabili per la loro intrinseca capacità di operare in situazioni di difficoltà estrema, ma anche per evitare il ripetersi di quelle strumentalizzazioni e devianze che caratterizzano i programmi di cooperazione intergovernativa allo sviluppo con i paesi del Sud del mondo.
Di questo piano, una parte importante deve riguardare la incentivazione di iniziative per l’educazione alla pace e ai diritti umani e al dialogo interculturale, con la collaborazione di ONG, scuole, università, enti locali dei paesi membri della CSCE. Priorità deve essere data alla installazione sul territorio di Centri per la promozione e la tutela dei diritti umani e delle minoranze, in rapporto diretto con le competenti istituzioni dell’ONU, della CSCE, del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo.
In quanto rappresentanti di istituzioni indipendenti di società civile internazionale chiediamo all’Organizzazione delle Nazioni Unite che, è opportuno ribadirlo, è stata creata non per fare la guerra ma per prevenirla e per porre le basi di un ordine internazionale democratico, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, di:
1. rispettare, nella costruzione di un processo di pace in Bosnia, i principi sanciti nel proprio Statuto, in particolare quelli che obbligano gli stati a “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici”, ad “astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza”, a “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli”, a “promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”;
2. trasformare le “zone di sicurezza” create dall’ONU nella Bosnia Erzegovina in “zone smilitarizzate”, secondo quanto illustrato dal Segretario generale delle Nazioni Unite nell’Agenda per la pace: «Oltre al dispiegamento del personale delle Nazioni Unite come forza di pace in tali zone, dovrebbe essere presa in considerazione l’utilità di uno spiegamento di forze preventivo su entrambi i lati del confine, previo accordo delle parti, come mezzo per separare potenziali belligeranti; oppure su un solo lato del confine, dietro richiesta di una delle parti, con lo scopo di prevenire qualsiasi pretesto di attacco. Le zone smilitarizzate diverrebbero simboli della volontà della comunità internazionale di impedire qualsiasi conflitto»;
3. attivare immediatamente, in adempimento della Risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 827 del 25 maggio 1993, il Tribunale Penale Internazionale.
Più in generale, al fine di rafforzare l’autorità sopranazionale dell’ONU per la prevenzione e la soluzione dei conflitti e di evitare che venga strumentalizzata dagli stati più forti e, in particolare, dagli Usa, chiediamo che:
1. gli stati membri dell’ONU adempiano immediatamente all’obbligo sancito dall’art. 43 della Carta delle Nazioni Unite: «1. Al fine di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, tutti i membri delle Nazioni Unite si impegnano a mettere a disposizione del Consiglio di sicurezza, a sua richiesta ed in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l’assistenza e le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessari per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. (...) 3. L’accordo o gli accordi saranno negoziati al più presto possibile su iniziativa del Consiglio di sicurezza. (...)».
La forza di sicurezza delle Nazioni Unite, sotto diretto comando dell’ONU, deve essere impiegata nel rispetto dei limiti rigorosamente stabiliti dalla Carta e quindi mai per operazioni di guerra.
L’adempimento di questo obbligo è fondamentale per uscire definitivamente dal “regime transitorio”, in cui ancora oggi il mondo intero è costretto a vivere, previsto dall’art. 106 (disposizione transitoria) della Carta delle Nazioni Unite, nel quale si stabilisce che, fino a quando non vengono realizzati gli accordi previsti dall’art. 43, i cinque membri permanenti «si consulteranno tra loro e, quando lo richiedono le circostanze, con altri membri delle Nazioni Unite in vista di quell’azione comune necessaria al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale».
2. venga avviato un reale processo di democratizzazione di tutti gli organi delle Nazioni Unite, a partire dal Consiglio di sicurezza e dall’Assemblea generale, attraverso forme di partecipazione politica popolare ai processi decisionali di tali organi;
3.venga istituita un’Alta autorità delle Nazioni Unite per il disarmo;
4.venga creata una forza non armata e nonviolenta, formata da obiettori di coscienza e da personale di organizzazioni nongovernative, che dovrebbe agire in via preventiva ovvero nella fase successiva ad un conflitto armato, sotto l’autorità del Segretario generale delle Nazioni Unite.
Agli stati e alle organizzazioni intergovernative europee (CEE, Consiglio d’Europa, CSCE, CSI, ecc.) chiediamo di riprendere con convinzione e determinatezza l’idea, per noi irrinunciabile, di una Casa comune europea dentro la quale spegnere i conflitti fraticidi scoppiati in Europa con la fine del bipolarismo e costruire rapporti di reciproco aiuto e rispetto. A queste istituzioni indichiamo i primi due “mattoni” o premesse essenziali della strategia di Casa comune, quale riferimento indispensabile per le proposte riguardanti la situazione bosniaca.
Primo “mattone”. Il fondamento etico e giuridico della Casa comune europea è costituito dai valori umani recepiti dal Codice internazionale dei diritti delle persone e dei popoli.
Secondo “mattone”. Le istituzioni europee – principalmente CSCE, Consiglio d’Europa, CEE – invece di agire (o restare inerti o pasticciare) ciascuna per proprio conto, devono: cooperare fra loro; democratizzare le proprie strutture; coordinarsi con l’ONU, anche questa da rapidamente democratizzare e trasformare in “ONU dei popoli”; accogliere tutti gli stati e i popoli europei grandi e piccoli, alla sola condizione che essi si impegnino a rispettare il Codice internazionale dei diritti umani (e non limitarsi quindi a forme, comunque insufficienti, di mera assistenza d’emergenza).
A questi compiti devono sovraintendere: a) una Unità inter-istituzionale paneuropea, composta dai rappresentanti al massimo livello di tutte le istituzioni europee; b) una Istituzione parlamentare paneuropea, composta dai rappresentanti del Parlamento europeo, dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, dei Parlamenti di tutti gli stati europei, con funzioni di indirizzo e controllo nei confronti della Unità inter-istituzionale. La prospettiva è evidentemente quella della creazione di un Parlamento paneuropeo eletto a suffragio universale.
Le istituzioni indipendenti di società civile internazionale, partendo dalla constatazione che gli stati pretendono la pace senza rinunciare ai profitti che vengono dalla produzione e dal commercio delle armi e riaffermando che l’uccisione di altri innocenti non porta a soluzioni di vita, invitano i parlamentari europei e degli altri paesi del mondo e tutti gli stati membri dell’ONU, che la Carta definisce “amanti della pace”, ad accogliere le proposte suindicate per adempiere all’obbligo di risolvere i conflitti nel pieno rispetto dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli.