Chiamata di leva per il diaconato della misericordia
Anche il Messaggio di quest’anno sviluppa la pastorale della tenerezza di cui Francesco è sottile e appassionato maestro. Colpisce la sua capacità di tenere alta e affettuosa la tensione verso la trascendenza e la spiritualità mentre offre diagnosi e prescrizioni per l’azione civica e politica. “Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona!”: che cielo e terra debbano incontrarsi e dialogare è già chiaro da questo augurio che il Papa rivolge fin dall’inizio a mò di hashtag, con tanto di punti esclamativi, a “ogni uomo e ogni donna, ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, Capi di Stato e di Governo, Responsabili delle religioni”. C’è quì la filiera dei soggetti del principio di sussidiarietà, chiamati tutti “a diversi livelli, a realizzare la giustizia e la pace”. Un colpo d’ala anche scientifico, che evoca l’architettura multilivello per la governance di cui c’è oggi bisogno.
Sempre alla luce del dialogo tra cielo e terra, tra spiritualità e politica, Francesco tiene a precisare che la pace è dono di Dio “ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo”. Già, il Vangelo dice che Gesù per tre volte ha donato la pace, la sua pace. Sicchè, oso dire io, un certo pregare ‘devozionale’ per la pace può suonare come una pratica di stalking nei confronti di Dio: pregare sì, non per rilanciare la palla, ma come rinnovata professione di impegno ad agire responsabilmente per la giustizia e nella solidarietà, innanzitutto uscendo dal torpore della “indifferenza “che umilia”, della “abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità”, del “cinismo che distrugge”.
Nel Messaggio di quest’anno, Papa Francesco sviluppa il tema della patologia dell’indifferenza. Egli ce ne offre un’articolata tipologia: indifferenza verso Dio, nei confronti del prossimo e dell’ambiente naturale, come mancanza di attenzione verso la realtà circostante, come incapacità di provare compassione. Quando l’indifferenza globalizzata raggiunge il livello istituzionale, essa “favorisce e talvolta giustifica azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace...può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze, in vista del conseguimentoo del proprio benessere o di quello della nazione”. E quì Francesco rilancia il grave monito già presente nella esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’: “Quando le popolazioni vedono negati i propri diritti elementari, quali il cibo, l’acqua, l’assistenza sanitaria o il lavoro, esse sono tentate di procurarseli con la forza”. Il riferimento esplicito è al contenuto del Welfare o dello Stato sociale, come ‘forma’ della statualità inscindibile da quella dello Stato di diritto. Su questo tema si può andare ancora più indietro, al punto 31 dell’enciclica ‘Populorum Progressio’ di Paolo VI ed evocare anche il Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 dove si dice che “è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”.
La terapia d’urto prescritta da Francesco riguarda innanzitutto la sfera spirituale e morale, cioè la conversione del cuore alla pratica di tre virtù: la misericordia, la solidarietà e la compassione. Nel punto 5 del Messaggio, intitolato “Dall’indifferenza alla misericordia: la conversione del cuore”, Francesco offre una pagina toccante di quella che possiamo chiamare la sua teologia della tenerezza: “La misericordia è il cuore di Dio...perciò deve essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco”. Anche in questo caso vale la pena citare dal Preambolo della Dichiarazione universale: “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Francesco mette insieme amore, compassione, misericordia e solidarietà per indicare “un vero programma di vita”, cui tutti sono chiamati a cominciare dalla Chiesa e dalle sue articolazioni anche laicali.
Per mettere in atto questo programma di vita occorre “promuovere una cultura di solidarietà e misericordia per vincere l’indifferenza”, una cultura naturalmente orientata all’azione in tutti i campi, per la quale Francesco lancia una capillare mobilitazione educativa chiamando in campo le famiglie, gli educatori e i formatori, nonchè gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale. Le famiglie sono chiamate “ad una missione educativa primaria ed imprescindibile”. Gli educatori e i formatori in ambito scolastico ed extrascolastico sono chiamati “ad essere consapevoli che la loro responsabilità riguarda le dimensioni morale, spirituale e sociale della persona”. Agli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale Francesco fa presente che “il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo” e che il modo in cui si ottengono e diffondono le informazioni deve sempr essere “giuridicamente e moralmente lecito”.
Dunque, educare: un imperativo che è allo stesso tempo morale e giuridico. Dicendo questo non versiamo sul terreno ondivago dell’optional. Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce infatti che l’educazione è un diritto fondamentale della persona. Si veda l’articolo 13 del Patto internazionale del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali che afferma che l’educazione “deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità e rafforzare il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali…porre tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera...promuovere la comprensione la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici e religiosi ed incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”. Concretamente, occorre utilizzare quegli strumenti positivi che, segni dei tempi, sono presenti nella città dell’uomo, in particolare la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 2011 ‘sull’educazione e la formazione ai diritti umani’ e la Carta europea del Consiglio d’Europa del 2010 ‘sull’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani’, dove leggiamo che gli stati “devono includere questo tipo di educazione nei curricula per l’educazione formale nelle scuole pre-primarie, primarie e secondarie come pure nell’educazione e nella formazione generale e professionale”.
In questi mesi in Italia, si sta parlando della necessità di fare più ‘cultura’: penso che ci si riferisca ad una prospettiva di umanesimo plenario. Si profitti allora di questa circostanza per chiedere ai governanti di dare un segnale forte della volontà di fare sistema-paese educante, attivando finalmente nelle scuole di ogni ordine e grado l’insegnamento “Diritti umani e cittadinanza democratica” come disciplina autonoma supportata da un congruo monte-ore di attività didattica.
Il punto 7 del Messaggio è dedicato alla pace quale “frutto di una cultura di solidarietà, misericordia e compassione”. Il Papa dice che bisogna essere consapevoli sia della minaccia di una “globalizzazione dell’indifferenza” sia anche dei tanti esempi “di impegno lodevole”, E cita alcuni esempi di operatori di opere di misericordia corporale e spirituale “sulle quali saremo giudicati al termine della nostra vita: organizzazioni non governative e gruppi caritativi, difensori dei diritti umani, giornalisti e fotografi “che informano l’opinione pubblica sulle situazioni difficili che interpellano le coscienze”, i tanti sacerdoti e missionari “buoni pastori”.
Il punto 8, conclusivo del Messaggio, contiene l’invito a costruire la pace nello spirito del Giubileo della Misericordia con “gesti concreti e atti di coraggio”, in particolare nei confronti di prigionieri, migranti, malati e quanti soffrono “per la mancanza di lavoro, terra e tetto”. E’ una vera e propria agenda politica, con puntuali obiettivi per una governance che voglia costruire la pace nel rispetto della dignità umana e della giustizia. E’ come se Francesco voglia dire a tutti, in particolare ai responsabili delle politiche pubbliche: il cuore si è intenerito, dimostratelo con atti concreti, non abbiate paura di essere coraggiosi soprattutto se dovete andare controcorrente.
Ed ecco l’agenda della misericordia, dove la civiltà del diritto si abbraccia con la civiltà dell’amore in uno spazio che dalle comunità locali arriva fino alle grandi istituzioni internazionali. Detenuti: non dimenticare la funzione riabilitativa della pena, pene alternative alla detenzione carceraria, abolizione della pena di morte, amnistia. Migranti: “ripensare” le legislazioni sulle condizioni di soggiorno dei migranti, nella consapevolezza che “la clandestinità rischia di trascinarli verso la criminalità”. Disoccupati: creazione di posti di lavoro, consapevoli che “la mancanza di lavoro intacca pesantemente il senso di dignità e di speranza”. Malati: garantire a tutti l’accesso alle cure mediche e ai farmaci “compresa la possibilità di cure domiciliari”. Per la politica internazionale, un triplice appello: non trascinare i popoli in conflitti o guerre; cancellazione o gestione sostenibile del debito internazionale degli stati più poveri; politiche di cooperazione rispettose delle culture locali e del “diritto fondamentale ed inalienabile dei nascituri alla vita”.
L’agenda socio-politica di Francesco traduce per la città dell’uomo la grande lezione evangelica delle opere di misericordia, invitando implicitamente i governanti, in ottica di laicità positiva, a non vergognarsi di indossare idealmente la dalmatica del diaconato della misericordia.
Antonio Papisca
Cattedra UNESCO in Diritti Umani, Democrazia e Pace, Università di Padova