Commento al Messaggio di Benedetto XVI “Libertà religiosa, via per la pace” per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2011
La libertà religiosa è oggi sotto il triplice attacco dei fondamentalismi, delle strumentalizzazioni politiche e delle arbitrarie, arroganti interpretazioni della laicità. Eppure essa è al cuore dell'insieme dei diritti che ineriscono alla dignità della persona umana. Scrive il Papa: "tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno stato speciale". Richiamando quanto affermato nella "Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae" del Concilio Vaticano II, Egli ne spiega la ragione profonda: "Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata ... Questa dignità, intesa come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come un bene universale, indispensabile per la costruzione di una società orientata alla realizzazione e alla pienezza dell'uomo".
Il vigente Diritto internazionale riconosce il diritto alla libertà religiosa all'interno di una norma che comprende anche la libertà di pensiero e la libertà di coscienza: è la triade sacrale del Codice universale dei diritti umani. L'articolo 18 della Dichiarazione universale del 1948 proclama che "ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle prartiche, nel culto e nell'osservanza dei riti". L'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 riprende il testo citato e lo specifica ulteriormente, stabilendo che "nessuno può essere assoggettato a costrizioni che possano menomare la sua libertà di avere o adottare una religione o un credo di sua scelta", che le eventuali restrizioni devono essere previste dalla legge per ragioni di ordine pubblico, di sanità e di morale pubblica e che deve essere rispettata "la libertà dei genitori, e ove del caso, dei tutori legali, di curare l'educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni".
Sostanzialmente simile è il contenuto dei pertinenti articoli di altri trattati internazionali: Convenzione europea del 1950 (articolo 9), Convenzione interamericana del 1969 (articolo 12), Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del 1981 (articolo 8), Convenzione internazionale sui diritti dei bambini del 1989 (articolo 14), Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 2000 (articolo 10), Carta araba dei diritti umani del 2004 (articolo 30). L'articolo 19 della Costituzione italiana è in perfetta linea con la normativa internazionale stabilendo che "tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume".
Segno dei tempi: siamo in presenza di un diritto fondamentale della persona che è dotato di altissima valenza giuridica, oltre che morale, e il cui esercizio non è confinato alla sola sfera del privato. Attiene infatti alla libertà religiosa anche il diritto di insegnare la religione negli ambienti educativi formali e informali, pubblici e privati.
Il Comitato dei diritti umani, organo indipendente istituito in virtù del Patto internazionale sui diritti civili e politici, prima citato, e competente a interpretarne le norme, ha precisato che "l'osservanza e la pratica della religione o di un credo possono comprendere non soltanto atti liturgici ma anche consuetudini come diete particolari, abbligliamento e copricapo, l'uso di lingue tradizionalmente parlate da un determinato gruppo. La pratica e l'insegnamento della religione o della fede comprendono anche atti che sono essenziali per la loro gestione, quali la scelta dei leaders religiosi, dei preti e degli insegnanti, l'istituzione di seminari o scuole religiose, la preparazione e la distribuzione di testi e pubblicazioni religiose". Ha inoltre affermato che "il fatto che una religione sia riconosciuta come religione di stato o che i suoi affiliati costituiscano la maggioranza della popolazione, non deve in alcun modo pregiudicare il godimento di qualsiasi altro diritto sancito dal Patto nè comportare discriminazione contro gli aderenti ad altre religioni o contro i non credenti".
Nel commento del Comitato c'è un'ulteriore importante precisazione in tema di obiezione di coscienza al servizio militare: "Benchè il Patto non faccia esplicita menzione di un diritto all'obiezione di coscienza, è da ritenere che tale diritto sia implicito al contenuto dell'articolo 18 nella misura in cui l'obbligo di usare la forza 'letale' può seriamente confliggere con la libertà di coscienza e il diritto di manifestare la propria religione o il proprio credo". Poichè la forza letale non è soltanto quella usata dal militare, la precisazione può logicamente estendersi ad altre obiezioni di coscienza, per esempio nei riguardi di limitazioni del naturale svolgimento della vita o di pratiche eugenetiche.
La Dichiarazione delle Nazioni Unite "sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate sulla religione o sul credo" del 1981 afferma tra l'altro che "nessuno può essere soggetto a discriminazione da parte di qualsiasi stato, istituzione, gruppo di persone o individui, sulla base della religione o di altra fede", che tutti gli stati devono adottare efficaci misure intese a prevenire ed eliminare questo tipo di discriminazione, che "i genitori o i tutori legali dei bambini hanno il diritto di organizzare la vita nella famiglia in conformità alla loro religione o credo e impartire ai bambini l'educazione morale in cui credono", che "ogni bambino deve godere del diritto di avere accesso all'educazione in materia religiosa o di fede secondo i desideri dei suoi genitori, non deve essere costretto a ricevere l'insegnamento su religione o credo contro i desideri dei genitori e deve pertanto essere rispettato il principio-guida del superiore e migliore interesse dei bambini". E' inoltre specificato che il bambino "dovrà essere allevato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fratellanza universale, di rispetto dello altrui diritto alla libertà di religione o di credo, e nella piena consapevolezza che la sua energia e i suoi talenti devono essere dedicati al servizio dei propri simili".
Per quanto in particolare riguarda la professione della religione cattolica, tutti coloro che compongono il 'popolo di Dio' all'interno della Chiesa sono legittimati, in virtù del loro diritto fondamentale alla libertà religiosa riconosciuto dal Diritto internazionale, a esigere che la libertà e l'indipendenza della Chiesa cattolica, a cominciare dai suoi organi di governo, siano salvaguardate ovunque nel mondo. In altre parole, sono i diritti fondamentali della persona che crede e professa, più che le analogie con la sovranità degli stati, a fare l'indipendenza della Chiesa nei singoli paesi e nel sistema delle relazioni internazionali.
E' il caso di sottolineare che l'esercizio dello specifico diritto alla libertà religiosa deve essere compatibile coi principi generali del codice universale dei diritti umani. Un credo religioso o un ordinamento giuridico che 'legittimi' la discriminazione, la violenza, l'intolleranza, l'esclusione sociale è in palese contrasto col vigente Diritto internazionale dei diritti umani, in particolare col principio fondativo dell'articolo 1 della Dichiarazione universale: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". Ammonisce il Papa: "l'ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale, regionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno".
Fa parte della libertà religiosa il diritto della persona-credente a che siano rispettati i simboli del suo credo: la loro offesa tocca sentimenti profondi che attengono direttamente alla dignità della persona, sicchè lo stesso diritto alla libertà di opinione e di espressione deve essere esercitato nel rispetto del principio generale secondo cui devono essere salvaguardati i diritti altrui, in questo caso l'onore, la reputazione e l'identità del credente.
Afferma il Papa: "Nella libertà religiosa trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l'identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana".
La fede religiosa non è parte a se stante dell'identità della persona, essa la permea nella sua globalità. Non è dato separare, se non in astratto, la religiosità della persona dalla sua socialità e dallo stesso suo civismo. Per analogia è il caso di ricordare che i diritti umani internazionalmente riconosciuti sono sia civili e politici, sia economici, sociali e culturali da realizzare, come espressamente prescrive il Diritto internazionale, secondo il principio della loro interdipendenza e indivisibilità. Per il fondamento di questo principio, il rinvio è alla verità ontologica dell'integrità dell'essere umano, fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia: non è dato squartare in due l'essere umano. Ammonisce il Papa: "è inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti".
Premesso che "il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità", il Papa denuncia con forza il "rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l'identità e la cultura della maggioranza dei cittadini". La laicità non si pone in alternativa alla libertà religiosa: se correttamente intesa - il Papa parla di 'laicità positiva delle istituzioni statali' - non è tabula rasa di valori, non comporta l'azzeramento di simboli culturali e religiosi, è invece uno spazio di libertà aperto all'esercizio di tutti i diritti umani di tutti, compresa dunque la libertà religiosa.
Nell'era della globalizzazione e della multiculturalizzazione delle società, la lezione di laicità rispettosa dei diritti che ineriscono alla persona è nello spirito del costruire ponti e dello 'includere', a condizione che le varie diversità culturali si rendano compatibili col paradigma dei valori universali e si purifichino attingendo alla comune sorgente dell'universale per fertilmente dialogare fra di loro. Negli ambienti pubblici, i preesistenti simboli religiosi non devono essere tolti: se necessario, se ne aggiungano altri, sempre che siano compatibili coi valori dell'etica e del diritto universali. Sottolinea il Papa: "il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità autentica è una ricchezza per i popoli e i loro ethos".
Il dialogo interculturale e il dialogo interreligioso devono favorire, scrive il Papa, la collaborazione per il bene comune, dialogo dunque per conoscersi e per operare insieme, lungo una strada che non è quella "del relativismo o del sincretismo religoso". Il Papa si appella ai credenti che sono "chiamati non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimoniamza della propria carità e fede, a offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane".
Il Diritto internazionale dei diritti umani esce rafforzato da questo Messaggio papale il quale, oltre che citare espressamente la Dichiarazione Universale dei diritti umani e la Carta dell'ONU - "che presenta valori e principi morali universali di riferimento per le norme, le istituzioni, i sistemi di convivenza a livello nazionale e internazionale", dunque fonte delle fonti della legalità -, fa martellante appello a 'diritti e libertà fondamentali' quali parte essenziale dello 'ordinamento giuridico nazionale e internazionale'. E' quì opportuno ricordare che il Diritto dei diritti umani, autenticamente universale perchè Diritto della dignità umana, è oggi costituito da 131 strumenti giuridici, fra Convenzioni e Protocolli, di portata sia mondiale sia regionale-continentale: tra le Convenzioni di più recente entrata in vigore si segnalano quella "sui diritti delle persone con disabilità" e quella "sulla protezione della diversità delle espressioni culturali". Interpretando questa realtà normativa con la grammatica dei segni dei tempi, possiamo dire che la Provvidenza nella storia sta operando con esiti di portata veramente infrastrutturale.
"Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale": così inizia l'ultimo paragrafo del Messaggio. Viene spontaneo segnalare che a questa esortazione l'articolo 28 della Dichiarazione Universale offre la formale e piena legittimazione del vigente Diritto internazionale: "Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati". E' la pace fondata sulla giustizia - opus iustitiae pax -, proclamata quale diritto umano fondamentale: la pace, sottolinea il Papa, "un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto". Per la realizzazione di questo "progetto", da portare avanti non con le "armi destinate a uccidere e a sterminare l'umanità" ma soprattutto con le "armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale", il Papa invoca alcune Beatitudini evangeliche: "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia...Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli".
L'ispirazione del Discorso della montagna ben si coniuga, anche sul terreno della laicità positiva, con la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1998 "sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti", la Magna Charta degli human rights defenders, pionieri di cittadinanza universale. Vale la pena di citare due dei venti articoli che la compongono.
Articolo 1: "Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale". Il senso: l'impegno, anzi la lotta nonviolenta per la costruzione della pace non ha confini.
Articolo 7: "Tutti hanno diritto, individualmente e in associazione con altri, di sviluppare e discutere nuove idee e principi sui diritti umani e di promuovere la loro accettazione". Il senso: il 'progetto' di pace nella giustizia ha bisogno di persone coraggiose, capaci di contraddire e disarmare i seguaci della Realpolitik, siano essi dei politici senza scrupoli o degli intellettuali supponenti e arroganti. La Beatitudine di riferimento è, specificamente, quella dei Poveri in spirito, di coloro cioè che non si vergognano di pensare alto, che guardano vicino e lontano allo stesso tempo, che esercitano attivamente la virtù della speranza, che non temono la derisione, le accuse di 'buonismo' ...
Un'ulteriore riflessione riguarda i doveri, quindi chi è contro-parte del diritto fondamentale alla libertà religiosa. Sono sia gli stati e le pubbliche istituzioni, i quali devono conformare al Diritto internazionale dei diritti umani le rispettive legislazioni in materia e assicurare 'spazi pubblici' per il culto, sia gli stessi titolari del diritto, cioè i credenti, specie se appartenenti alla religione maggioritaria in un determinato paese, i quali devono rispettare i credenti di altre fedi e i non credenti.
Il dovere dei doveri, se mi è possibile dire così, riguarda il credente nei confronti della propria religione: chi invoca il proprio diritto fondamentale alla libertà religiosa deve innanzitutto rispettare la propria religione, essere cioè coerente in parole ed opere con il credo che professa, partecipando così alla "missione storica e profetica" intesa a "cambiare e rendere migliore il mondo", missione che il Papa collega appunto alla libertà religiosa quale "autentica arma della pace".
Guardando alla situazione italiana, la lezione che si può trarre dal Messaggio pontificio è che in particolare il laicato dei 'christifideles' è direttamente interpellato per una convinta, capillare mobilitazione nel segno dell'unità e dell'assunzione di responsabilità nei vari ambienti di vita sociale e politica, per testimoniare una religiosità matura, sempre più marcatamente ecumenica, libera da complessi di inferiorità, da vischiosità vetero-ideologiche, e dalle suggestioni dei relativismi di comodo nel campo della cultura, della scienza e della politica. Per questa rinnovata leva di azione civica e politica, nutrita di spiritualità, la pedagogia dell'esempio è, come sempre, la più feconda. Maestri di riferimento, di persistente attualità: Jacques Maritain, Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Carlo Carretto.
Antonio Papisca
Cattedra Unesco Diritti umani, democrazia e pace, Università di Padova