Consiglio dell'Unione Europea
Il Consiglio, fino all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1993, ha svolto, quasi indisturbato, il potere legislativo. I governi degli stati membri vollero in questo modo porre un muro invalicabile tra l’integrazione volontaristica, espressione delle sovranità statuali, e l’integrazione politica vera e propria che avrebbe aperto la strada al progetto federalista di Europa.
Con l’introduzione della procedura co-decisionale per l’approvazione delle leggi dell’UE, avvenuta appunto con il Trattato di Maastricht, si stabilisce un nuovo equilibrio istituzionale tra Consiglio e Parlamento a tutto vantaggio di quest’ultimo, ed ha inizio una nuova fase di sviluppo politico per il sistema UE. Il potere legislativo del Consiglio diminuisce nei settori per i quali è prevista la procedura co-decisionale, aumenta quando agisce in materia di politica estera e di sicurezza comune e di giustizia e affari interni.
Il Consiglio dell’Unione esercita, insieme con il PE, la funzione legislativa e quella di bilancio, nonché partecipa alla definizione e al coordinamento delle politiche dell’UE. Svolge anche funzioni esecutive, in particolare prepara e stabilisce le priorità dell’agenda politica dell’UE e attua le decisioni assunte in ambito PESC/PSDC e nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Il Consiglio si compone dei ministri degli Stati membri e si riunisce, in funzione delle materie trattate, in diverse formazioni, cui partecipano anche i Commissari europei competenti per le materie interessate.
La Presidenza di turno del Consiglio dell’UE svolge un delicato ruolo politico-diplomatico, la cui importanza per il buon funzionamento della complessa macchina del Consiglio è venuta via via crescendo. È stato sottolineato che la Presidenza ha «responsabilità senza potere», confermando una caratteristica identitaria che l’UE continua a condividere con la tradizionale forma dell’organizzazione intergovernativa. A partire dal 2007, la Presidenza del Consiglio spetta agli stati membri secondo un sistema di rotazione paritaria, che tiene conto delle loro diversità e degli equilibri geografici dell’Unione, ed è esercitata da gruppi predeterminati di tre stati membri per un periodo di 18 mesi.
Con il Trattato di Lisbona, la formazione del Consiglio competente in materia di PESC prende il nome di Consiglio Affari esteri e, a differenza delle altre formazioni, è presieduta dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Con riferimento al tema dei diritti umani, all’interno del Consiglio sono attivi:
- il Gruppo di lavoro sui diritti umani (COHOM) creato nel 1987 come meccanismo responsabile per le questioni attinenti ai diritti umani nelle relazioni esterne dell’Unione Europea. Il Gruppo è composto dai rappresentanti delle unità che si occupano di diritti fondamentali all’interno dei Ministeri degli affari esteri dei 28 Paesi membri e dalla Commissione. Nella sua agenda sono compresi i vari aspetti della politica dell’UE in materia di diritti umani, in particolare, l’azione nei forum internazionali, i «dialoghi sui diritti umani» con i Paesi terzi e questioni tematiche, così come situazioni urgenti di violazioni dei diritti umani;
- il Gruppo di lavoro «Diritti fondamentali, diritti dei cittadini e libera circolazione delle persone» (FREMP) che si occupa di tutti i temi relativi ai diritti fondamentali, ai diritti dei cittadini, compresi la libera circolazione delle persone, i negoziati per l’adesione dell’Unione Europea alla CEDU, e il seguito delle relazioni dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali;
- il Gruppo di lavoro “Diritto internazionale pubblico” (COJUR), all’interno del quale opera una formazione dedicata alla Corte penale internazionale (COJUR-ICC).
A partire dal 1998 il Consiglio ha elaborato una serie di «linee guida» in materia di diritti umani che costituiscono il quadro di riferimento per la promozione e la protezione dei diritti umani nei Paesi terzi nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune.
Nel 2012 l'UE ha adottato il quadro strategico sui diritti umani e la democrazia, che stabilisce i principi, gli obiettivi e le priorità volti a migliorare l'efficacia e la coerenza della sua politica in questi ambiti. Per attuare il suo quadro strategico del 2012, l'UE ha adottato tre piani d'azione (2012-2014, 2015-2019 e 2020-2024).
Il Quadro strategico, adottato il 25 giugno 2012, ha come obiettivo quello di orientare l'azione dell'Unione nella promozione dei diritti umani e nelle relazioni bilaterali e multilaterali con gli altri paesi. Esso ha altresì lo scopo di sistematizzare l'attività fino a questo momento svolta dall'UE nelle relazioni bilaterali, nei dialoghi in materia di diritti umani e nei dialoghi politici, nelle missioni di gestione delle crisi nonché attraverso il suo impegno nelle istituzioni multinazionali.
Tra i principali obiettivi strategici enumerati nel documento risalta quello dedicato al proseguimento dell'integrazione dei diritti umani in tutte le politiche esterne dell'UE, inclusi il commercio, gli investimenti, l'energia, la tecnologia e le telecomunicazioni, l'ambiente, la cooperazione allo sviluppo, la lotta al terrorismo e la politica di sicurezza e di difesa comune.
Tra le priorità tematiche figurano invece la promozione della libertà di espressione, di opinione, di associazione e di riunione, la lotta contro la discriminazione in tutte le sue forme e la prosecuzione della campagna contro la pena di morte, la tortura e i trattamenti disumani.
Il nuovo piano d'azione per il periodo 2020-2024, adottato nel novembre 2020, si basa sui piani d'azione precedenti e continua a focalizzare l'attenzione su priorità di lunga data, come il sostegno ai difensori dei diritti umani e la lotta contro la pena di morte. Il piano d'azione individua cinque priorità generali:
- tutelare e responsabilizzare le persone,
- creare società resilienti, inclusive e democratiche,
- promuovere un sistema mondiale per i diritti umani e la democrazia,
- cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e affrontare le relative sfide
- conseguire risultati attraverso la collaborazione.
In tal modo, il piano d'azione riflette anche l'evoluzione del contesto, con particolare attenzione alle nuove tecnologie e al nesso tra sfide ambientali globali e diritti umani.
Nel dicembre 2020 il Consiglio ha istituito un regime di sanzioni in materia di diritti umani che si applica a livello mondiale, il che significa che l'UE può colpire le persone, le entità e gli organismi – compresi attori statali e non statali – responsabili di gravi violazioni e abusi dei diritti umani in tutto il mondo, coinvolti in tali atti o ad essi associati, indipendentemente dal luogo in cui si verificano.
Il quadro si applica, ad esempio:
- al genocidio
- ai crimini contro l'umanità
- alla tortura e ad altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti
- alla schiavitù
- alle esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie
- alle sparizioni forzate e agli arresti o alle detenzioni arbitrari
Nell'ambito di applicazione di questo regime di sanzioni possono rientrare anche altre violazioni e altri abusi dei diritti umani, qualora siano diffusi, sistematici o comunque fonte di grave preoccupazione per quanto riguarda gli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune dell'UE. Questi includono la tratta di esseri umani, l'abuso dei diritti umani ad opera di trafficanti di migranti, la violenza sessuale e la violenza di genere e la violazione o l'abuso delle libertà di riunione pacifica e di associazione, di opinione e di espressione, di religione o di credo.
Le sanzioni consistono nel divieto di viaggio nei confronti di persone, nel congelamento dei beni nei confronti di persone ed entità e nel divieto di mettere fondi e risorse economiche a disposizione dei soggetti inseriti in elenco.