Editoriale del primo numero della Rivista “Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli” del Centro diritti umani dell’Università di Padova, 1987
Perché «Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli»? Nella scelta del titolo si è voluto sottolineare come la costruzione della pace positiva implichi la promozione e la tutela dei diritti umani fondamentali: da quelli delle persone a quelli dei popoli quali soggetti distinti dagli stati di appartenenza, da quelli individuali a quelli collettivi, da quelli civili e politici a quelli economici, sociali e culturali, interpretati tutti alla luce del principio della loro interdipendenza e indivisibilità.
Di fronte all’esperienza degli ultimi quarant’anni di presunta pace mondiale (150 guerre “periferiche” combattute in 70 paesi con oltre 20 milioni di morti; corsa sfrenata al riarmo, che continua a sottrarre risorse allo sviluppo, provocando la morte per fame di centinaia di milioni di esseri umani), l’obiettivo del disarmo risulta in maniera inoppugnabile condizionato a quello, tanto arduo quanto indilazionabile, della costruzione di un nuovo ordine internazionale più umano: in una parola – e in una accezione politologica – democratico.
La rivista nasce nell’anno proclamato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come Anno Internazionale della Pace e vuole essere espressione dell’impegno dell’Università di Padova, e in particolare del suo Centro di studi e di formazione sui diritti dell’uomo e dei popoli, nella elaborazione di una cultura scientifica attenta ai valori e ai ruoli umani nella vita sociale e politica.
I «diritti umani fondamentali» oltre che le istituzioni politiche sfidano, in via preliminare, quelle scientifiche: essi non possono più costituire soltanto il titolo di un paragrafo e neppure di un capitolo all’interno di alcune discipline tradizionalmente considerate più vicine al campo, come il diritto pubblico, la filosofia e la storia.
La crescente attenzione e sensibilità popolare in materia, legate soprattutto all’impegno di movimenti e associazioni nongovernative e alla statuizione giuridica a livello internazionale, devono trovare un più ampio e robusto supporto all’interno della comunità scientifica.
La cultura ufficiale pare non si sia ancora resa conto della dirompente innovazione costituita dal fatto che la tutela dei diritti umani è divenuta oggetto anche del diritto internazionale positivo scritto: dal 1976 sono, infatti, in vigore i due Trattati internazionali, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, da cui discendono precisi obblighi giuridici di adempimento a carico degli stati che li hanno ratificati, tra i quali l’Italia.
L’importanza di questo dato è ancora più evidente se si considera che la materia ha fino a ieri costituito oggetto della più gelosa giurisdizione domestica degli stati “sovrani”. La sua novità non è solo di ordine giuridico-formale, ma anche sostanziale, nel senso che l’istanza “diritti umani” viene sancita quale dimensione trasversale a tutti i livelli del vivere sociale e politico.
I diritti umani costituiscono pertanto l’ ”approccio”, tanto obbligato quanto sicuro, mediante il quale accertare la qualità dei sistemi sociali, politici ed economici.
Cosa significa fare scienza in materia di diritti umani? Significa, innanzitutto, mobilitare tutte le discipline, da quelle umanistiche a quelle più propriamente tecnico-scientifiche, allo scopo di focalizzare la tematica dei diritti umani dal punto di vista di ciascuna disciplina e con gli strumenti analitici propri a ciascuna di esse, procedendo quindi a rigorose concettualizzazioni e conferendo maggiore spessore alla cultura popolare dei diritti umani. Tra i rischi – da evitarsi – cui tale cultura è soggetta ci sono quelli della genericità, della approssimazione e della ripetitività e, ancora, della retorica e del moralismo fine a se stesso.
II fatto che interessarsi di diritti umani significhi interessarsi del problema della promozione umana in tutte le sue articolazioni, comporterà dunque non soltanto una rivisitazione epistemologica delle varie discipline, ma una loro ridefinizione anche dal punto di vista della sostanza.
D’altra parte, la “trasversalità” dei diritti umani non può non implicare una pratica di interdisciplinarietà all’interno della comunità scientifica: il diritto umano fondamentale alla tutela della privacy, ad esempio, sollecita contemporaneamente l’intervento delle discipline giuridiche, di quelle politologiche, sociologiche e di quelle relative all’informatica; così come la produzione e l’uso della cosiddetta intelligenza artificiale rinviano all’esigenza del controllo sociale e, quindi, chiamano in causa il diritto, la sociologia, ancora l’informatica, la psicologia sociale, ecc.
Insieme con quello della interdisciplinarietà, si impone l’approccio internazionalistico. Se è vero che i diritti umani fondamentali ineriscono alle persone in quanto tali, prima ancora che come cittadini di questo o quello stato, e in questo senso sono riconosciuti oggi dallo stesso diritto internazionale, l’approccio internazionalistico, allora, consentirà di vedere tali diritti nella loro esatta dimensione e portata e favorirà il potenziamento della loro tutela.
Muovendo da tali premesse, il Centro di studi e di Formazione sui diritti dell’uomo e dei popoli dell’Università di Padova sta sperimentando, anche sul terreno della didattica, mediante la realizzazione di corsi post-universitari di perfezionamento aperti ai laureati di tutte le facoltà, l’utilità dei due approcci.
L’interesse della comunità scientifica, se da un lato gioverà alla crescita della cultura popolare, dell’associazionismo nongovernativo e del volontariato, dall’altro non potrà non avere feconde ricadute sugli orientamenti e sui programmi operativi delle stesse istituzioni politiche e amministrative, anche al di fuori del campo specifico della tutela dei diritti umani fondamentali.
Poiché oggetto di particolare attenzione di questo Centro è la pedagogia attiva dei diritti umani, da praticarsi in ogni sede didattica, scolastica ed extrascolastica, e in un’ottica di educazione permanente, anche la parte più accentuatamente teorica della rivista dovrà contribuire alla elaborazione di tale pedagogia.
La rivista si propone altresì di divulgare informazioni di particolare rilievo al duplice scopo di tenere costantemente alto il tasso di applicatività dei contributi teorici – che saranno pubblicati nella prima parte – e di fondare questi sulla realtà effettiva.
La seconda parte della rivista si articola in “sezioni” al cui interno viene trattata la tematica dei diritti umani nella sua complessa articolazione ai vari livelli territoriali e funzionali, governativi e nongovernativi, da quelli infranazionali (Regione Veneto in modo particolare) a quello nazionale (Italia in specie), regionale internazionale (europeo in specie), fino a quello globale delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali.
Attenzione particolare viene rivolta ai “nuovi” soggetti della politica interna e internazionale, cioè ai movimenti e alle organizzazioni nongovernative nazionali (ONG) e internazionali (OING) impegnate nel campo della promozione umana: tutela dei diritti fondamentali, disarmo, difesa dell’ambiente, cooperazione allo sviluppo, ecc.
La rivista si impegna, inoltre, a pubblicare in ogni suo numero documenti ufficiali e non, di significativo valore.
La rivista si destina al mondo accademico, a quello della scuola, all’associazionismo che si attiva a fini di promozione umana, alle istituzioni pubbliche e private, in una società che cresce e matura aspettative di “nuovo umanesimo”.
La rivista non può pertanto non essere uno strumento aperto ai contributi e alla collaborazione dei suoi stessi destinatari.