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Gli strumenti giuridici internazionali a tutela dei rifugiati: la Convenzione di Ginevra (1951) e il Protocollo di New York (1967)

Un uomo palestinese con suo figlio in un campo di Damasco, 1948
© UN Photo

Lo strumento giuridico internazionale di riferimento per la protezione dei rifugiati è rappresentato dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, adottata dalla Conferenza dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei Rifugiati e degli Apolidi il 28 luglio 1951.

Elemento chiave della Convenzione è la definizione del concetto di rifugiato, contenuta all'art.1, il cui carattere generale ne garantisce una portata universale. Tale definizione si applica a

"chiunque, nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi".

Di fondamentale importanza in questa definizione appare il concetto di "fondato timore di essere perseguitato", che sostituisce il metodo di protezione "per categorie" sperimentato tra le due guerre mondiali, in base al quale potevano essere assistite solo le persone appartenenti a determinati gruppi nazionali. Il concetto di "fondato timore" contiene due elementi: uno soggettivo, legato alla situazione individuale e specifica del singolo individuo che chiede di essere riconosciuto come rifugiato sulla base della paura di essere perseguitato; timore che deve essere tuttavia supportato imprescindibilmente dalla presenza dell'elemento oggettivo, riconducibile ad una situazione di fatto, oggettivamente identificabile. E' interessante notare che, per quanto attiene alla determinazione dello status di rifugiato, non esista una definizione universale di "persecuzione" nel diritto internazionale. L'assenza nella Convenzione di Ginevra di una definizione precisa del termine è stata spesso interpretata come un modo per rendere il concetto "indefinito" in vista di possibili sviluppi futuri.

Per quanto attiene invece ai motivi della persecuzione (razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, opinioni politiche), contenuti nell'art. 1, con l'evoluzione del diritto internazionale dei diritti umani negli anni successivi all'adozione della Convenzione, essi sono stati interpretati in maniera progressivamente più elastica, con l'estensione della definizione di persecuzione anche a serie e ripetute violazioni dei diritti umani. Di fatto, quindi, la valutazione dell'elemento soggettivo può portare a considerare persecutorie anche azioni che di per sé non verrebbero reputate tali secondo una rigida interpretazione della Convenzione, ma che lo sono alla luce dell'esame del singolo caso.

Le disposizioni contenute nella Convenzione non si applicano, in base all'art.1 (F), alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che abbiano commesso crimini contro la pace, crimini di guerra o contro l'umanità, si siano macchiati di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite, o abbiano commesso un grave crimine di diritto comune prima di essere ammesse come rifugiati.

La Convenzione prevede un altro importante principio di diritto internazionale, il principio di non-refoulement, contenuto all'art.33 e a cui gli Stati non possono fare riserva. In base a questo principio nessun rifugiato può essere respinto verso i confini di territori dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate sulla base dei motivi della persecuzione contemplati nella definizione di rifugiato all'art.1.

La Convenzione, nonostante possa essere considerata ancora oggi lo strumento giuridico di riferimento per la protezione dei rifugiati a livello universale, è il frutto delle considerazioni maturate per far fronte alle esigenze del periodo postbellico. Essa contiene pertanto alcune disposizioni che ne restringono l'ambito di applicazione e sollevano dei dubbi circa la sua adattabilità alle sfide emerse negli anni successivi alla sua adozione.

Un primo elemento da considerare è la disposizione contenuta all'art. 1, in base alla quale viene stabilita come conditio sine qua non per richiedere lo status di rifugiato l'essere materialmente al di fuori dei confini del Paese di cui si è cittadini. Rimangono quindi esclusi dalle forme di protezione previsti dalla Convenzione gli sfollati (internally displaced persons IDPs), civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni, ma che non hanno attraversato un confine internazionale.

La Convenzione tace anche riguardo alla specifica questione della concessione dell'asilo, non prevedendo l'obbligo per gli Stati di ammettere nel loro territorio richiedenti asilo e rifugiati e non trattando la specifica questione della determinazione dello status di rifugiato. Tali procedure, infatti, sono rimesse ai singoli Stati Contraenti, circostanza che ha portato alla presenza di una considerevole eterogeneità nelle pratiche degli Stati.

La Convenzione, all'art.1, contiene altre due limitazioni:

  • una limitazione temporale, che limita la definizione di rifugiato solo a coloro che abbiano subito una persecuzione "per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951". L'obiettivo degli Stati contraenti era di limitare i loro obblighi solo alle persone già riconosciute come rifugiati e a coloro che potevano diventarlo per fatti già avvenuti.
  • una limitazione geografica, che prevede che "possano essere considerati avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 solo gli avvenimenti accaduti anteriormente al 1° gennaio 1951 in Europa.

Negli anni successivi all'adozione della Convenzione, con l'emergere di nuove situazioni che riproponevano il problema dei rifugiati, gli Stati Contraenti si resero conto della necessità di estendere anche ai nuovi rifugiati la protezione garantita dalla Convenzione di Ginevra. Il 31 gennaio 1967 venne pertanto adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, il Protocollo relativo allo status dei Rifugiati, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

Tale Protocollo, che si configura come uno strumento indipendente a cui gli Stati possono aderire senza aver adottato la Convenzione, prevede l'eliminazione sia della riserva temporale che di quella geografica. Non prevede tuttavia alcuna definizione più dettagliata delle procedure da seguire per la definizione dello status di rifugiato, che rimane ancora materia disciplinata in maniera discrezionale dagli Stati.

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Parole chiave

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