Il "best interest of the child" in una decisione della Corte europea (Zaunegger c. Germania, 3 dicembre 2009)
Il caso Zaunegger c Germania (ricorso 22028/04) la Corte europea ha condannato la Germania per violazione dell'art. 14 (divieto di discriminazione). Il caso deriva da una serie di cause che il padre di una bambina nata fuori dal matrimonio aveva intentato per ottenerne la custodia condivisa, come previsto da una legge di riforma del codice di famiglia tedesco introdotta nel 1998.
La bambina, nata nel 1995, era vissuta con i genitori conviventi fino al 1998; successivamente alla separazione era rimasta con il padre fino al 2001, senza però che tra i genitori fosse stato formalizzato alcun accordo circa la custodia della figlia. Nel 2001 la madre, invocando l'art. 1626a § 2 del codice civile tedesco, modificato da una legge del 1997 (a sua volta resa necessaria da un intervento della corte costituzionale del 1996, con il quale si dichiarava l'incostituzionalità della precedente disposizione del codice civile che in caso di figlio nato fuori dal matrimonio ne attribuiva automaticamente la custodia alla madre) ottiene la custodia della bambina, che si trasferisce nel suo appartamento situato nello stesso edificio di quello in cui vive il padre. I genitori raggiungono degli accordi soddisfacenti circa il diritto di visita del padre, ma la madre è irremovibile nell'opporsi alla custodia condivisa. La custodia condivisa, nel regime in vigore dal 1998, può essere ottenuta attraverso una dichiarazione congiunta dei genitori, attraverso il successivo matrimonio, oppure su decreto del giudice una volta che sia accertato il consenso di entrambi i genitori. Se tali condizioni non sono presenti, la legge presume in modo assoluto che il miglior interesse del minore consista nell'essere affidato alla madre.
Il tema, che evidentemente tira in ballo il principio di eguaglianza tra i genitori e di non discriminazione, oltre che il diritto alla vita familiare, era stato portato davanti alla Corte costituzionale tedesca nel 2003. La Corte aveva stabilito che la norma in questione non era irragionevole, in quanto salvaguardava il principio della certezza dello stato giuridico e riconosceva che un affido condiviso non poteva essere imposto a genitori non sposati che non avessero sul punto raggiunto un accordo.
La Corte europea dei diritti umani riconosce le ragioni che hanno guidato le autorità giudiziarie tedesche, ma le considera non adeguate nel caso in questione. In particolare, la normativa in vigore dà alla madre, sulla base della mancanza di un vincolo coniugale al momento della nascita del figlio, un veto circa la possibilità di far concorrere il padre nell'affido del figlio. In pratica si assume che sia solo la madre a poter interpretare il miglior interesse del minore su tale aspetto. La posizione del padre non sposato verrebbe pertanto discriminata. Questo potrebbe essere giustificabile in via generale (ma la Corte europea osserva che, nel corso degli anni, la realtà delle famiglie di fatto in Europa è mutata e per i padri il fatto di non sposare la madre dei figli non è più una prova di scarsa responsabilità nei confronti della prole). Nel caso in questione, tuttavia, il padre ha convissuto con madre e figlia fino a che quest'ultima ha raggiunto l'età di tre anni e mezzo e ne ha avuto la custodia per ulteriori tre anni: non è dunque da escludere che anch'egli possa farsi interprete del best interest della figlia.
Più in generale, la Corte europea osserva che l'autorità giudiziaria, nel decidere secondo il miglior interesse del minore, non dovrebbe essere vincolata alle posizioni espresse dalla madre (e quindi al suo diniego di dare il consenso all'affido condiviso). Che l'intervento dei tribunali in queste circostanze sia fonte di conflittualità (a detrimento dello stesso miglior interesse del bambino) è, in via astratta, inevitabile, ma questo vale anche per qualsiasi controversia tra genitori, sposati o meno, che dovesse nascere a proposito dei figli, nati sia dentro sia fuori del matrimonio, e quindi non è una considerazione decisiva. In conclusione, la Germania è riconosciuta aver violato, nel caso in questione, l'art. 14 (divieto di discriminazione); l'eventuale violazione dell'art. 8 (precondizione per l'accertamento del mancato rispetto dell'art. 14) non è direttamente presa in esame.
Il caso è interessante perché conferma la necessità di interpretare la Convezione come una normativa "vivente", e quindi suscettibile di interpretazione evolutiva, alla luce dei mutamenti di ordine sociale che interessano i paese europei. Inoltre, la decisione applica il principio del miglior interesse del minore come criterio interpretativo chiave nella giurisprudenza di Strasburgo, nonostante il principio stesso non sia affatto presente nella Convenzione del 1950. In effetti, la violazione riscontrata riguarda il diritto alla non discriminazione del padre, non la violazione dei diritti della figlia. E' tuttavia evidente che è la considerazione dei diritti del minore a concorrere in maniera decisiva alle conclusioni della Corte.
il giudice Schmitt ha votato contro e ha allegato un'opinione dissidente nella quale sostanzialmente ribadisce le posizioni espresse a suo tempo dalla Corte costituzionale tedesca.