diritti umani

Il Gruppo di lavoro intergovernativo sul diritto alla pace

Vista della 23° sessione del Consiglio diritti umani
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Il Gruppo di lavoro intergovernativo sul diritto alla pace (open-ended) viene istituito nel corso della 20° sessione del Consiglio Diritti Umani tenutasi dal 18 giugno al 6 luglio 2012 a Ginevra. Sulla base della bozza della Dichiarazione sul diritto alla pace preparata dal Comitato Consultivo (organo di esperti indipendenti), il Consiglio Diritti Umani ha affidato al Gruppo di lavoro il mandato di negoziare una versione definitiva dello strumento.

La prima sessione del Gruppo di lavoro presieduto dall'Ambasciatore Christian Guillermet Fernandez (Costa Rica), si è svolta a Ginevra dal 18 al 21 febbraio 2013. Inizialmente, il mandato prevedeva che il Gruppo lavorasse sulla base della bozza del Comitato Consultivo, senza pregiudicare rilevanti visioni e proposte passate, presenti o future. Tuttavia, nel giugno 2013, dopo aver considerato il primo rapporto del Gruppo, il Consiglio Diritti Umani ha adottato una nuova risoluzione che richiedeva al Presidente di preparare un nuovo testo della Dichiarazione sulla base delle discussioni e delle consultazioni informali svoltesi durante la prima sessione del Gruppo.

Dal 30 giugno al 4 luglio 2014, il Gruppo di lavoro si è dunque riunito per una seconda sessione, al fine di discutere la nuova bozza di Dichiarazione sul diritto alla pace preparata dal Presidente Guilleremt. Tale documento risulta avere un contenuto sostanzialmente diverso rispetto a quello inizialmente elaborato dal Comitato Consultivo.

Nel nuovo testo, infatti, l’approccio adottato non è stato quello della “positivizzazione” giuridico-formale del diritto fondamentale della persona e dei popoli alla pace, con contestuale specificazione di precisi obblighi in capo alla controparte principale (gli Stati). E’ stato invece adottato un più breve documento (5 articoli rispetto ai 14 della bozza precedente) che evita di esplicitare che la pace è un “diritto fondamentale” e si limita a raccomandare alcune linee-guida relative alla “cultura” della pace “per guidare tutti i soggetti interessati (stakeholders) nelle loro attività, riconoscendo la suprema importanza di praticare la tolleranza, il dialogo, la cooperazione e la solidarietà fra tutti i soggetti interessati, quale mezzo per promuovere la pace mondiale attraverso i diritti umani e, a tal fine, ridurre e prevenire progressivamente la guerra e la violenza armata ...”.

Il testo, che appare generico e non innovativo, recita all’articolo 1: “Ognuno ha diritto alla promozione, protezione e rispetto di tutti i diritti umani e libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita, in un contesto in cui tutti i diritti umani, la pace e lo sviluppo sono pienamente realizzati”. Non viene dunque menzionato il “diritto alla pace”. La nuova versione del testo è infatti frutto di un compromesso particolarmente gradito a Stati Uniti e Unione Europea, contrari alle idee di “diritto” e di correlati “obblighi” giuridicamente vincolanti, legati alla pace, nonché a Governi non europei che insistono, tra l’altro, sui temi della sovranità e dell’integrità territoriale degli Stati.

Sul fronte opposto si sono mobilitate le ONG con status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Esse reclamano che l’oggetto principale della futura Dichiarazione deve essere il riconoscimento della pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli; denunciano che nella nuova bozza ‘intergovernativa’ è stato chiaramente ignorato il contenuto della bozza del Comitato Consultivo; chiedono che sia recuperata la parte sostanziale di quest’ultima e che siano, tra l’altro, previste puntuali misure di monitoraggio riguardo all’implementazione della Dichiarazione.

La nuova versione disattende dunque il mandato conferito dal Consiglio Diritti Umani al Gruppo di lavoro intergovernativo, ovvero dar vita ad uno strumento che espliciti il formale “riconoscimento giuridico” di un diritto fondamentale, cioè il suo ingresso nel vigente diritto internazionale.

A Ginevra, i lavori della terza sessione del Gruppo intergovernativo sul diritto alla pace, tenutasi dal 20 al 24 aprile 2015, si sono conclusi con un nulla di fatto. La discussione si è arenata sul Preambolo del progetto di Dichiarazione delle Nazioni Unite e sulla ricerca di un consenso più ampio possibile al fine di adottare la bozza “minimalista” presentata dal Presidente Guillermet.

L’1 ottobre 2015, il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione intitolata “Promozione del diritto alla pace”, che rinnova il mandato del Gruppo di lavoro intergovernativo, stabilendo che una quarta sessione del medesimo abbia luogo nel 2016 e se ne faccia rapporto al Consiglio alla sua 33° sessione. L’obiettivo rimane pertanto quello del varo di una apposita Dichiarazione delle Nazioni Unite.

All’adozione della Risoluzione si è proceduto con voto palese, col seguente risultato: 33 a favore, 12 contrari, 2 astenuti. Tra i contrari figurano gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, l’Irlanda, l’Olanda (anche a nome dell’Unione Europea). L’Italia non ha votato in quanto non è attualmente membro del Consiglio.

Gli Stati contrari ritengono, in particolare, che, poiché nelle tre precedenti sessioni del Gruppo di lavoro non c’è stato “consensus” (come dire, unanimità), è inutile procedere al rinnovo del mandato ed è necessario, quindi, abbandonare l’idea stessa di una Dichiarazione delle Nazioni Unite. In sostanza, si continua a sostenere che il diritto umano alla pace non figura nelle norme del vigente diritto internazionale ed è pertanto impossibile riconoscerlo come tale.

In risposta a tale argomentazione, occorre far venire alla luce, in seno alla famiglia dei diritti umani già formalmente riconosciuti, ciò che è già implicito come principio generale: cioè che il diritto umano alla pace si radica nel diritto umano alla vita ed è allo stesso tempo precondizione e risultato del rispetto di tutti i diritti umani.

La Risoluzione del Consiglio del 1° ottobre scorso “invita gli Stati, la società civile e tutti i portanti interesse a contribuire attivamente e costruttivamente al lavoro del Gruppo di lavoro”, legittimando e spronando tutti gli attori coinvolti nel processo a operare affinché il Gruppo di lavoro lavori con fedeltà al rinnovato mandato di produrre una Dichiarazione che riconosca la pace come diritto individuale e collettivo.

Si deve far infine notare che tale diritto rappresenta un diritto-strategia, che ricapitola e, allo stesso tempo, specifica, un insieme di ineludibili contenuti operativi. La Dichiarazione dovrà pertanto fare riferimento, sempre nell’ottica diritto-obbligo, a temi quali la sicurezza umana, il disarmo, l’educazione e la formazione alla pace, il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, il peacekeeping e il peacebuilding, i corpi civili di pace, il diritto allo sviluppo, il diritto all’ambiente, i diritti delle vittime e dei gruppi vulnerabili, dei rifugiati e dei migranti, obblighi di attuazione, forme e strumenti di monitoraggio.

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