La guerra: non dimenticare, per costruire. Editoriale del n. 3/1990 della Rivista “Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli”, numero speciale dedicato alla guerra del Golfo
Il presente fascicolo esce con grande ritardo. Anche la vita del Centro diritti umani dell’Università di Padova ha risentito delle vicende relative alla guerra del Golfo, Il Comitato di direzione del Centro, con un documento adottato il 14 gennaio 1991, ha reso pubblica la sua posizione al riguardo: l’invasione di un territorio appartenente ad altro stato è crimine internazionale, ma anche la risposta sanzionatoria in termini di guerra costituisce violazione del diritto internazionale vigente e quindi crimine. Un Centro come il nostro, che fa ricerca e formazione per i diritti umani e la pace, non poteva tacere. L’approccio scientifico ai diritti dell’uomo e dei popoli – per giustificarsi in quanto tale, cioè scientificamente, e non soltanto da un punto di vista etico – non può che essere assio-pratico. Il Centro si è così trovato ad essere letteralmente subissato dalle richieste provenienti da associazioni, scuole di ogni ordine e grado, enti locali, università, diocesi, parrocchie, congregazioni religiose. Ci è stato chiesto di fare lezioni e seminari e di fornire documentazione “alla fonte” sui problemi della pace e dell’ordine internazionale, sulla disputa guerra giusta-guerra ingiusta, sulla realtà del diritto internazionale, sullo Statuto e sul funzionamento dell’ONU, sull’art. 11 della Costituzione italiana, sul divario Nord-Sud, sull’economia internazionale, sul nesso tra pace e democrazia, sulla cultura islamica, sul diritto all’autodeterminazione dei popoli (palestinesi, kurdi, libanesi, eritrei. ..), sulle competenze internazionali di regioni e comuni, eccetera. Centinaia e centinaia di richieste dall’ottobre 1990 all’aprile 1991.
Per rispondere a questa domanda di base – straordinaria, stratificata, genuinamente rappresentativa di “società civile” – abbiamo fatto tutto quello che potevamo, nei limiti delle nostre forze e compatibilmente con gli impegni previsti dal calendario accademico. Per mesi, abbiamo svolto anche noi il nostro servizio di volontariato sul territorio e vissuto dal di dentro una appassionata e capillare mobilitazione di menti e di coscienze. Il nostro apporto è consistito soprattutto nell’elucidare i concetti relativi a ciò che il Codice internazionale dei diritti umani – il nuovo diritto internazionale – significa ed implica concretamente per le istituzioni e per la gente comune in termini di politica “dal quartiere all’ONU” e di costruzione di un ordine internazionale a dimensione umana.
Le iniziative sono state numerosissime. Tra l’altro, ci siamo trovati a collaborare, su un piano di ufficialità per così dire istituzionale, alle attività pacifiste dei Comuni di Ponte San Nicolò, Vigonza e Arre, della provincia di Padova, i cui rispettivi Consigli avevano con atto formale deliberato la “non-belligeranza”, invocando l’art. 11 della Costituzione e l’art. 1 della legge regionale del Veneto 18/1988 per la promozione della cultura della pace che recita: “La Regione del Veneto, in coerenza con i principi costituzionali che sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, la promozione dei diritti umani, delle libertà democratiche e della cooperazione internazionale, riconosce nella pace un diritto fondamentale degli uomini e dei popoli”.
Con questa esperienza vissuta in prima persona, all’interno del mondo dell’associazionismo di promozione umana e vicino alle istituzioni territoriali locali – le sentinelle della democrazia –, abbiamo ulteriormente rafforzato il convincimento che, oggi, la guerra può ancora essere fatta, ma non impunemente e chi la fa deve rispondere ad ampie e significative aree sociali, che rifiutano di accettarla neppure “per forza maggiore”. Questi strati di società civile – obiettivamente credibili, perché operosi e creativi sul terreno dei servizi di promozione umana – lanciano ai governanti un messaggio che può essere così sintetizzato: la guerra, in quanto risposta alle violazioni del diritto, non è più accettata né dalla coscienza né dalla ragione di quanti, partendo dall’esperienza del servizio e della solidarietà vissuta “alla base”, sentono e raccolgono le sfide dell’interdipendenza e della solidarietà su scala planetaria; esistono, non possono non esistere e bisogna ricercarle, alternative alla guerra; la capacità dei governanti si misura sulla base della sincera volontà di perseguire queste alternative; l’accidia conservatrice degli uomini di governo non è giustificabile né in punto di etica né in punto di diritto.
La nostra esperienza ci dice che è in aumento il numero di coloro – gente comune – i quali vogliono conoscere la lettera e lo spirito delle norme giuridiche, nazionali e internazionali; una vera scoperta è stata per noi la curiosità, anzi la puntigliosità con cui i giovanissimi tra i 12 e i 16 anni – una generazione da seguire con attenzione – si cimentavano e ci impegnavano a discutere di Carta delle Nazioni Unite, di sistema di sicurezza planetario, di Codice internazionale dei diritti umani, di Costituzione italiana.
Chi non accetta l’assunto della ineluttabilità della guerra avverte oggi, più o meno consciamente, di avere dalla sua parte sia la norma dell’etica sia la norma del diritto e vuole saperne di più, non fidandosi dei genericismi e delle mistificazioni imposte dalle fonti ufficiali di informazione. Questa sensibilità è frutto non del caso (né dei tuttora inesistenti o inadeguati programmi di educazione civica a scuola), bensì della seminagione – che continua ... – operata da movimenti e associazioni di volontariato.
A così palese dimostrazione di discernimento e di coraggio della società civile nel rifiutare comportamenti ispirati ai tradizionali canoni della Realpolitik ha certamente contribuito la netta presa di posizione di Giovanni Paolo II. Non a caso, un’area di società civile che si è particolarmente distinta per determinazione e creatività nell’asserire e vivere la scelta pacifista, è quella cristiana di base.
Più in generale, l’associazionismo che opera nel campo della pace e del disarmo, dei servizi sociali, dello sviluppo, dei diritti umani, della difesa dell’ambiente, si è trovato pressoché compatto nello scegliere come propria identità di soggetto politico quella dei “costruttori di pace” compiendo un vero e proprio salto di qualità: dalla cultura della denunzia e della testimonianza soltanto morale a quella del progetto e dell’intervento politico per trasformare, per costruire.
Stanno aprendosi e dialogando fra loro settori di associazionismo che per diversa ascendenza culturale e diverso percorso storico, erano fino a ieri chiusi l’uno all’altro. Constatiamo che l’area del pacifismo tende a coincidere con quella del volontariato e dell’associazionismo di promozione umana; quindi, un’area molto estesa e dalle enormi potenzialità di trasformazione. Sta probabilmente anche nell’avere intuito questa nuova realtà, che noi consideriamo irreversibile, la spiegazione della volgare insistenza di quanti – esponenti della Realpolitik, intellettuali e giornalisti elemosinieri del Principe – si sono accaniti contro i pacifisti/papisti, facendo sfoggio di antiliberalismo, antigarantismo e autoritarismo dei peggiori tempi della storia dell’intolleranza.
L’associazionismo-pacifismo, antenna ultrasensibile di società civile, si è accorto che la guerra significa, anche molto lontano dai posti dove la si combatte fisicamente, “sospensione della democrazia” e che quindi impegnarsi per la pace positiva è impegnarsi per la democrazia. Il pacifismo che progetta va emergendo come la nuova cultura politica dell’era dell’interdipendenza mondiale, è la cultura della democrazia internazionale, dal quartiere all’ONU. Esso sta scoprendo che il diritto internazionale dei diritti umani legittima ad agire come singoli e come associati nei gruppi di volontariato, per realizzare quanto disposto dall’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale in cui i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”.
E tempo di democrazia internazionale. La gente sta avvertendo che gli esecutivi e le diplomazie non possono più oltre agire in libera uscita sul piano internazionale, ma devono sottostare ad appropriate forme di controllo democratico.
Tra gli obiettivi strategici dell’associazionismo-pacifismo c’è appunto la democratizzazione dell’ONU, per sottrarla alle vergognose strumentalizzazioni di parte e renderla idonea a compiti di governo mondiale.
Risulta che i programmi di formazione socio-politica elaborati da associazioni, parrocchie, enti locali tendono ad avere come paradigma qualificante il diritto internazionale dei diritti umani, quindi contenuti sempre più internazionali e metodi educativi “orientati all’azione”. È la strada giusta per dare effettività al nuovo diritto internazionale e sconfiggere i segreti disegni di quel gruppo di potere multinazionale (politico-economico-militare) che vorrebbe governare il mondo contemporaneo con i principi della Pace di Westfalia (1648!).
La ferita aperta dalla guerra nelle coscienze non si rimargina dimenticando e adattandosi. Quanto pubblicato in questo fascicolo attesta della volontà di non acquiescere al fatto compiuto.
Il fascicolo consegna alla memoria e, ne siamo certi, anche alla coscienza di molti, documenti che attestano dell’ampiezza, della profondità e della rappresentatività delle prese di posizione della società civile contro la guerra. Si riferiscono prevalentemente alla realtà italiana e a quella veneta in particolare. I documenti vanno letti per quello che sono: non raffinate elaborazioni letterarie ma, nel loro insieme, spontanea espressione della tensione etica e della volontà di agire politicamente di significative aree di società civile.
L’azione nonviolenta di “società civile” continua, cresce la cultura della pace come nuova cultura politica.