La norma “pace diritti umani” nello statuto dell’ente locale: significato e implicazioni attuative
1. L’identità irenica e democratica dell’ente locale
In numerosi statuti di comuni e province (nella regione del Veneto, oltre 400 su 582 comuni) c’è la norma “pace diritti umani” il cui testo ricorrente è paradigmaticamente anticipato dall’articolo 1 della legge 18/88 della Regione Veneto “provvedimenti per la promozione di una cultura di pace”: “La Regione del Veneto, in coerenza con i principi costituzionali che sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, la promozione dei diritti umani, delle libertà democratiche e della cooperazione internazionale, riconosce nella pace un diritto fondamentale degli uomini e dei popoli. A tal fine promuove la cultura della pace mediante iniziative culturali e di ricerca, di educazione, di cooperazione e di informazione che tendono a fare del Veneto una terra di pace. Per il conseguimento di questi obiettivi la Regione assume iniziative dirette e favorisce interventi di enti locali, organismi associativi, istituzioni culturali, gruppi di volontariato e di cooperazione internazionale presenti nella Regione”.
Quella di inserire la norma “pace diritti umani” nello statuto dell’ente locale è una scelta di grande rilievo etico, politico e giuridico, che attesta della volontà delle comunità politiche e civili locali di riconoscersi primariamente nei valori universali della umana convivenza. L’ente locale ha inteso definire la propria identità sostanziale, fatta di “vicinanza al cittadino” e di autonomia, in un duplice modo: sostanziando lo statuto di “norme” oltre che di “disposizioni” funzionali e organizzative ed esplicitando la ratio profonda della sua autonomia come impegno a soddisfare i diritti fondamentali, individuali e collettivi, dei soggetti che compongono la comunità locale. A suffragare il rilievo istituzionale di questo impegno, in molti statuti c’è il riferimento puntuale a un duplice ordine di principi e norme giuridiche, della Costituzione e del diritto internazionale dei diritti umani le cui fonti principali sono: la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966), la Convenzione europea sui diritti e le libertà fondamentali (1950), la Convenzione internazionale contro la discriminazione razziale (1965), la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini (1989).
2. L’ente locale e l’armonizzazione degli ordinamenti in re diritti umani
Tramite la norma statutaria dell’ente locale ”pace diritti umani”, cala per così dire nel territorio quell’insieme di principi che sono il nucleo duro sia della costituzione nazionale sia di quella parte del diritto internazionale che, per il fatto di riconoscere i diritti fondamentali delle persone e dei popoli, è essa stessa la prima parte (scritta) di una Costituzione mondiale in itinere. In altre parole, con questa norma lo statuto dell’ente locale entra a far parte di un sistema di principi di supercostituzione (e quindi di ius cogens) a dimensione e validità universale. Potrebbe anche dirsi che, richiamando le norme del diritto internazionale dei diritti umani, l’ente locale si fa artefice della saldatura dell’armonizzazione), in re diritti umani, tra ordinamento internazionale e ordinamento interno. Insomma l’ente locale, asserendo il proprio impegno a perseguire il bene comune nel seno della comunità umana mondiale, si fa attore di civilizzazione giuridica umanocentrica. E implicitamente si candida ad operare per abbassare il tasso di statocentrismo belligeno nel sistema delle relazioni internazionali.
Il collegamento dei diritti umani con la pace è perfettamente coerente con la duplice vocazione dell’ente locale a stare vicino ai cittadini e a perseguire il bene comune universale nello spirito e nella lettera di quanto proclamato dall’articolo 28 della Dichiarazione universale: “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”. È il concetto di pace positiva, intesa non soltanto come assenza di guerra ma anche e soprattutto come pratica attiva della solidarietà e della cooperazione fra popoli per promuovere e soddisfare i diritti umani “dal quartiere all’ONU”.
Il riferimento ai diritti umani internazionalmente riconosciuti consente di vedere nella sua giusta luce il principio di sussidiarietà, la cui attualità è accentuata sia dalle disposizioni del Trattato di Maastricht sull’Unione Europea sia dal vivace dibattito interno sul federalismo. I diritti umani sono bisogni essenziali della persona (materiali e spirituali); “riconoscerli” comporta, per l’istituzione che fa la norma di riconoscimento (stato, comunità internazionale, ente locale), l’obbligo di garantirli, cioè di soddisfare bisogni essenziali. Ebbene, la formula “quanto più vicino al cittadino” significa che bisogna tener conto dei bisogni reali, diritti fondamentali delle persone e delle comunità umane nel ripartire le competenze e i poteri decisionali tra i vari livelli istituzionali. Con la norma “pace diritti umani” l’ente locale si inserisce istituzionalmente nella dinamica della “divisione del lavoro politico” sul territorio del pianeta e favorisce la strutturazione di quel continuum
di ruoli, dal quartiere all’ONU e al mondo, che è necessario per esercitare valide forme di democrazia e di partecipazione politica popolare nell’era dell’interdipendenza mondiale. Il federalismo, così come la pratica della democrazia che gli è speculare, è un percorso istituzionale che parte dal basso, non per disarticolare e dividere, ma per adeguatamente soddisfare bisogni umani reali. La radice del federalismo e della democrazia è la soggettività individuale e collettiva delle persone umane, “soggettività primaria” in quanto titolarità di diritti che la legge (interna e internazionale) riconosce come inerenti alla eguale dignità di tutte le persone e pertanto universali, interdipendenti e indivisibili (il diritto al lavoro è diritto umano come il diritto alla libertà di associazione), inviolabili, inalienabili. L’ente locale è presidio di democrazia in tutte le sue forme – rappresentativa, diretta, partecipativa; politica, economica, sociale – e tra le sue funzioni istituzionali è quella di coltivare la pratica e lo sviluppo della democrazia attraverso l’educazione.
Le sfide e le ricadute dell’interdipendenza mondiale – in campo economico, sociale, ambientale – investono immediatamente e capillarmente il “territorio locale”, laddove ciè le persone e i gruppi vivono la loro esistenza quotidiana. Sull’ente locale ricade l’onere maggiore di rispondere concretamente (caso per caso, emergenza dopo emergenza) alle esigenze che ineriscono allo statuto di cittadinanza di quanti risiedono nel suo territorio. Il riferimento alle norme giuridiche internazionali dei diritti umani attesta che l’ente locale ha scelto la bussola di cui intende avvalersi per soddisfare e promuovere i diritti di cittadinanza nel proprio territorio. I principi guida sono: eguale dignità di tutte le persone; adeguamento dello statuto di “cittadino” (anagrafico) con lo statuto di “persona umana” (titolare di diritti fondamentali); non discriminazione; rispetto delle diversità; solidarietà; dialogo interculturale.
L’ente locale concorre dunque con lo stato e con le istituzioni internazionali a soddisfare i diritti umani, compreso il diritto delle persone e dei popoli alla pace. È dato ipotizzare che, insieme con le organizzazioni nongovernative di promozione umana e i gruppi di volontariato, esso contribuirà efficacemente a indurre lo stato a seguire “la via giuridica alla pace”, quella cioè che consiste nel dare effettività al diritto internazionale dei diritti umani, quindi nell’applicare i principi e nel perseguire gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite riguardanti il divieto dell’uso della forza per la risoluzione dei conflitti, la soluzione pacifica dei medesimi, il disarmo, la sicurezza globale (economica, sociale, ambientale, dell’ordine pubblico) e la cooperazione multilaterale. Insomma, l’ente locale si rivela indispensabile ai fini della gestione equa e solidale dell’interdipendenza mondiale, nel senso cioè dello spirito e degli obiettivi dello “sviluppo umano sostenibile”, e aiuta lo stato a trovare appropriati strumenti di governabilità, anzi ad aggiornare e ridefinire una “forma” di statualità che, con gli attuali contenuti e attributi – “stato-nazione-sovrano-armato”, con tanto di ius ad bellum, ius ad pacem, ius excludendi alios –, non è più oltre “sostenibile”. L’ente locale ha alcuni importanti alleati naturali per dare attuazione alla norma statutaria “pace diritti umani”: sono le organizzazioni nongovernative e i gruppi di volontariato; gli operatori del mondo dell’educazione scolastica ed extra-scolastica; gli operatori del mondo del lavoro e della produzione (soprattutto piccole e medie imprese).
Con questa prospettiva, l’ente locale diventa soggetto attivo della cultura della mondialità. Paradossalmente (felice paradosso ...) l’ente locale, la cui ragion d’essere sta nel fatto di essere radicato nel territorio, di essere territorio, operando per i diritti umani internazionalmente riconosciuti e per la pace ridefinisce il territorio in termini non di confine ma di egualianza delle persone umane, di solidarietà transnazionale e quindi di superamento del confine. L’ente locale per la pace può e deve agire quale efficace antidoto alla risorgente cultura della geopolitica, che è quella dell’interesse nazionale, della sicurezza nazionale armata, del confine e della messa in discussione dei confini, della ‘guerra giusta’, della rappresaglia armata, del rifiuto di forme di governo mondiale e di democrazia internazionale. E deve agire per prevenire e combattere – soprattutto sul terreno dell’educazione e della formazione – qualsiasi forma di razzismo, intolleranza, xenofobia, nazifascismo, violenza sulle persone, sugli animali e sulle cose.
3. La funzione educativa dell’ente locale
Nella costruzione della pace secondo l’articolo 28 della Dichiarazione universale, la via maestra per l’ente locale è quella di un’organica politica culturale, anzi di una strategia culturale incentrata sul concetto di “educazione” quale definito dall’articolo 13 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: “Gli stati riconoscono il diritto di ogni individuo all’educazione. Essi convengono sul fatto che l’educazione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità e rafforzare il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali. Essi convengono inoltre che l’istruzione deve porre tutti gli esseri umani in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi e incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”. Questo concetto è ulteriormente elucidato da documenti di istituzioni internazionali, in particolare dalla Raccomandazione dell’Unesco del 1974 “sull’educazione per la comprensione, la cooperazione e la pace internazionali e sull’educazione relativa ai diritti umani e alle libertà fondamentali” nonchè dal Programma d’azione mondiale, lanciato dall’Unesco à Montreal nel marzo del 1993, “per l’educazione alla democrazia e ai diritti umani”. È definitivamente acquisito che l’educazione alla pace e ai diritti umani è una “educazione orientata all’azione”, i cui principi possono così riassumersi: l) la conoscenza deve condurre all’azione; 2) l’accesso al sapere deve rendere capaci di esercitare potere (democrazia); 3) l’apprendimento implica partecipazione; 4) il discente è anche insegnante e viceversa; 5) ci si educa alla solidarietà e alla democrazia praticando la solidarietà e la democrazia “dal quartiere all’ONU”.
L’ente locale favorisce questo tipo di educazione – che è la vera educazione civica – predisponendo quadri istituzionali e strutture organizzate, programmi operativi e mezzi materiali idonei a realizzare l’educazione all’azione, in stretta collaborazione con il mondo della scuola e con quello dell’associazionismo e del volontariato. Questo significa, tra l’altro, agevolare l’esercizio di ruoli educativi e di solidarietà anche per via transnazionale.
La scelta dell’approccio “educazione” per la strategia di attuazione della norma “pace diritti umani” è una scelta di investimento strutturale, e consente di neutralizzare in partenza le obiezioni di quanti eccepiscono l’incompetenza dell’ente locale in materia di politica estera e di cooperazione internazionale. Se i diritti umani non sono chiacchiere, se essi sono riconosciuti dalla Costituzione e dalla norme giuridiche internazionali come “universali, interdipendenti e indivisibili” (v.da ultimo la “Dichiarazione di Vienna sui diritti umani”, documento conclusivo della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, giugno 1993), se c’è l’obbligo di educare al rispetto dei diritti umani compreso il diritto alla pace, se il tipo di educazione ‘ufficialmente’ raccomandata dalle competenti sedi istituzionali è quella orientata all’azione, l’ente locale che si attiva per l’attuazione della sua norma statutaria “pace diritti umani” in maniera coerente con questi assunti, oltre a fare il bene della propria comunità locale, aiuta anche lo stato ad adempiere agli obblighi assunti in sede internazionale, insomma aiuta lo stato a rispettare la legalità internazionale. Insomma, l’ente locale per la promozione umana e per la legalità internazionale. La legittimità della competenza dell’ente locale in ordine alla promozione della cultura della pace e della solidarietà internazionale è evidenziata, in maniera forte, dalla soggettività giuridica internazionale delle persone: quest’ultima, fino a pochi decenni fa, non esisteva; oggi esiste, in virtù del fatto che sono internazionalmente riconosciuti i diritti umani e le persone fare ricorso giudiziario in sede europea e ‘comunicazione individuale’ (ricorso pregiudiziario), in sede mondiale, presso gli appositi Comitati delle Nazioni Unite. Giova conoscere che per iniziativa della Commissione diritti umani delle Nazioni Unite è in fase avanzata di elaborazione la “Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti”. L’articolo 3 del Cap.I recita: “Ciascuno ha il diritto, sia individualmente sia in associazione con altri, di promuovere la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai livelli nazionali e internazionale e di lottare per questo. Ciascuno stato adotterà le misure legislative, amministrative e altre che sono necessarie per vegliare a che i diritti e le libertà considerate in questa Dichiarazione siano effettivamente garantiti”. Orbene, l’ente locale è l’istituzione che, in quanto più vicina ai soggetti titolari del diritto-dovere di promuovere e “lottare” per i diritti umani dentro e fuori dello stato di appartenenza, non soltanto ne condivide la legittimazione ad agire “senza confini”, ma ha l’obbligo di educare e aiutare i suoi cittadini ad esercitare effettivamente il diritto-dovere di cui è discorso.
4. I settori operativi della politica “pace diritti umani”
Le funzioni delineabili con riferimento a quanto enunciato dalla norma statutaria “pace diritti umani” riguardano i seguenti settori: a) difesa civica; b) educazione civica; c) solidarietà internazionale; d) diritti di cittadinanza-immigrati; e) pari opportunità uomo-donna; f) progetto giovani; g) obiezione di coscienza; h) rapporti con organismi internazionali.
a)La difesa civica, per la parte spettante alle istituzioni, è “magistratura naturale dei diritti umani” universalmente riconosciuti. Il riferimento normativo, prima che a leggi sulla pubblica amministrazione, è alle norme internazionali sui diritti umani. In questa direzione stanno operando sia il Consiglio d’Europa, che convoca periodicamente i Difensori civici nel quadro di applicazione della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sia l’ONU, che inserisce il Difensore civico tra le istituzioni preposte alla protezione dei diritti umani. Il Difensore civico deve essere uno specialista in istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani, deve disporre una struttura adeguatamente attrezzata, deve essere ‘ponte’ fra società civile e istituzioni pubbliche, deve intrattenere rapporti di costante collaborazione con gli organismi nongovernativi e di volontariato. È auspicabile che i comuni più piccoli si consorzino per avere un Difensore civico comune (v. l’esempio della Comunità dei Comuni del Cadore). Data la specificità e la complessità della problematica dei bambini, è necessario che accanto al Difensore civico e condividendo la medesima ottica ‘pace diritti umani’ operi anche il Tutore pubblico dell’infanzia.
b) Educazione civica. È da intendersi nel senso prima illustrato come educazione alla pace, ai diritti umani, alla solidarietà, alla nonviolenza, alla interculturalità. È necessario che l’ente locale si doti di una apposita Commissione Comitato per l’educazione a pace diritti umani, di cui facciano parte rap presentanti, oltre che del Consiglio, anche del mondo della scuola, di quello delle associazioni e del volontariato, dei sindacati. Sul terreno dell’educazione a pace diritti umani la funzione dell’ente locale sarà soprattutto quella intesa a promuovere e incentivare l’azione delle scuole e delle ONG, più che a gestire in proprio. L’ente locale dovrà attivare corsi periodici di educazione alla pace e ai diritti umani per il proprio personale. Esso favorirà i gemellaggi fra scuole e, in particolare, l’attivazione di “scuole associate Unesco”. Un’iniziativa urgente è quella intesa a realizzare sul proprio territorio il Programma d’azione mondiale dell’Unesco per l’educazione ai diritti umani e alla democrazia: è necessario che l’ente locale si mobiliti con università, Provveditorato agli studi, scuole, associazioni (a cominciare da Amnesty International).
c) Solidarietà internazionale. Questa può esprimersi in una molteplicità di iniziative. A titolo indicativo si segnalano: partecipazione diretta ad operazioni di legittima ingerenza umanitaria per la parte relativa allo “intervento civile”; accoglienza profughi; cooperazione diretta con l’ente locale del territorio interessato da conflitto o da calamità naturali; aiuto alle ONG e ai gruppi di volontariato impegnati nel rifornimento di viveri e medicinali e nell’apprestamento di servizi di prima necessità; ecc.. Al di fuori di questi casi di emergenza, si prospetta la vasta gamma di iniziative intese a favorire l’attività transnazionale per così dire ordinaria di ONG e gruppi di volontariato e l’installazione di centri e lo svolgimento di attività di ong e gruppi di volontariato di altri paesi, in particolare di ong internazionali. Dovrebbe essere particolarmente favorita la creazione di laboratori per il dialogo interculturale. Insomma, si tratta non soltanto di aiutare le nostre ong ad operare altrove, ma anche di far venire sul nostro territorio le ong di altri paesi e le ong internazionali. Tra le iniziative più recenti (e strategicamente più rilevanti), adottate nell’ambito del Consiglio d’Europa e della Conferenza permanente dei poteri regionali e locali d’Europa, si segnala quella che va sotto il nome di “ambasciate della democrazia locale”, con cui si strutturano iniziative di solidarietà permanente (partenariato) fra un ente locale della ex Jugoslavia, almeno tre comuni o città di stati membri del Consiglio d’Europa, organizzazioni nongovernative e gruppi di volontariato. Tra gli obiettivi di questa “diplomazia dell’ente locale” si segnalano: la promozione dei diritti umani e delle minoranze; l’educazione ai diritti umani e alla pace; il funzionamento della democrazia locale; gli scambi socio-culturali; gli scambi economici.
Il futuro dei gemellaggi è nel segno della diplomazia dei popoli. Le operazioni umanitarie nella ex Jugoslavia costituiscono l’occasione per sperimentare ciò che dovrebbe strutturarsi in via ordinaria. Il gemellaggio deve significare pratica permanente della solidarietà e della comunicazione, non soltanto scambio di visite protocollari. Perchè il gemellaggio renda deve essere quandrangolare: ente locale italiano, ente locale del nord, ente locale dell’est, ente locale del sud. Gli obiettivi devono essere quelli delle ambasciate della democrazia locale, quindi la collaborazione per la co-educazione a democrazia, pace e diritti umani deve ispirare ogni altro tipo di cooperazione. Ruolo attivo deve pertanto essere riconosciuto alle ong e al volontariato.
d) Diritti di cittadinanza, immigrati. Giova ribadire che, nella cultura dei diritti umani internazionalmente riconosciuti, i cosiddetti diritti di cittadinanza sono quelli che ineriscono alla persona umana – egualmente a tutte le persone umane, a prescindere da sesso, razza, nazionalità, età, censo, ecc. – e quindi sono i diritti fondamentali. Gli immigrati hanno gli stessi diritti fondamentali dei cittadini nazionali. Per il godimento dei diritti umani il dato rilevante è quello della residenza, non quello della cittadinanza anagrafica. Allo scopo di far concretamente coincidere lo statuto di persona con quello di cittadino, soprattutto per quanto riguarda il soddisfacimento dei diritti-bisogni economici e sociali e il rispetto della dignità personale, l’ente locale deve puntualmente avvalersi delle fonti giuridiche internazionali per interpretare e integrare la pertinente legislazione nazionale. Non si vede perchè soltanto i giudici, e non anche gli amministratori, possano, anzi vengano sollecitati ad utilizzare la Convenzione europea e le altre convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani. È opportuno che l’ente locale si avvalga della collaborazione degli organismi nongovernativi e, insieme con questi, favorisca la costituzione di associazioni degli immigrati e di strutture di tutela civica delle categorie di soggetti più vulnerabili. Indispensabile, anche in questo campo, l’educazione alla multiculturalità e alla solidarietà. Si ricorda che nella prassi del Difensore civico è acquisito che ad esso possano rivolgersi quanti risiedono nel territorio di competenza, indipendentemente dalla cittadinanza anagrafica.
e) Pari opportunità uomo-donna. Urge potenziare questo settore di intervento dell’ente locale ancorandolo definitivamente al codice internazionale dei diritti umani. Illuminante al riguardo è quanto enunciato dal paragrafo 18 della Dichiarazione di Vienna sui diritti umani: “I diritti fondamentali delle donne e delle bambine fanno inalienabilmente, integralmente e indissociabilmente parte dei diritti universali della persona. L’eguale e piena partecipazione delle donne alla vita politica, civile, economica, sociale e culturale, ai livelli nazionale, regionale e internazionale, e l’eliminazione totale di qualsiasi forma di discriminazione basata sul sesso sono obiettivi prioritari della comunità internazionale”. Un aspetto importante della politica dell’ente locale per le pari opportunità è quello inteso a favorire la partecipazione delle strutture associative femminili alle attività internazionali.
f) Progetto giovani. Essendo già strutturato e capillarmente diffuso sul territorio, il progetto giovani costituisce un’importante risorsa per la politica di attuazione della norma pace diritti umani.
g) Obiezione di coscienza. Al di là delle discussioni politiche interne, l’obiezione di coscienza al servizio militare è ufficialmente considerata un diritto umano (e non un mero diritto soggettivo) dalla Commissione diritti umani delle Nazioni Unite e dal Parlamento europeo. Il paragrafo 18 del documento conclusivo della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) sulla dimensione umana (Copenaghen, giugno 1990) recepisce la stessa impostazione e invita gli stati a svolgere adeguata attività informativa sull’obiezione di coscienza. L’ente locale deve avvalersi di questi documenti internazionali per rendere più puntuali ed educative le sue iniziative in materia e collaborare con ong e gruppi di volontariato al fine di aprire sbocchi transnazionali al servizio civile sostitutivo. Una iniziativa importante del mondo del volontariato riguarda il progetto di costituzione di una forza non armata e nonviolenta di intersposizione sotto egida delle Nazioni Unite (cosiddetti Caschi Bianchi: una rappresentanza ufficiale spagnola di obiettori-Caschi Bianchi è già presente in Bosnia).
h) Rapporti con organismi internazionali. Giova al riguardo partire da quanto enunciato nei punti 53 e 54 del documento CSCE “Helinski 1992. Le sfide del cambiamento”: “Gli stati partecipanti, al fine di rafforzare la partecipazione democratica e l’edificazione delle istituzioni democratiche e sviluppando la cooperazione tra loro si adopereranno per condividere le loro rispettive esperienze sul funzionamento della democrazia a livello locale e regionale, e accolgono con favore su tela base la rete informativa e educativa del Consiglio d’Europa in tale campo. Faciliteranno i contatti e incoraggeranno diverse forme di cooperazione fra gli organismi a livello locale e regionale”. Gli organismi internazionali che interessano l’ente locale per l’attuazione della norma statuatrai “pace diritti umani” sono sia (i) gli organismi intergovernativi sia (ii) gli organismi nongovernativi.
i) Tra gli organismi intergovernativi, di più immediato interesse politico-istituzionale per l’ente locale sono il Consiglio d’Europa (sotto il duplice profilo della difesa civica, dell’educazione ai diritti umani, della lotta contro la discriminazione e l’intolleranza, e del Congresso dei poteri regionali e locali); l’Unione Europea (difesa civica; Comitato delle Regioni); l’Unesco (educazione a pace, diriti umani e democrazia); l’ONU (tutta la materia dei diritti umani e delle minoranze e relativi organi specializzati: Commissione diritti umani; Sottocommisione per la prevenzione della discriminazione e per la tutela delle minoranze; Commissione sulla condizione della donna; Alto Commissario per i diritti umani; Alto Commissario per i rifugiati; Comitati preposti al controllo dell’applicazione delle convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani); CSCE (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani; Alto Commissario per le Minoranze).
ii) Tra gli organismi nongovernativi, rilevano innanzitutto le associazioni e i coordinamenti transnazionali degli enti locali (per es, la International Unionion of Local Authorities, IULA). Rilevano quindi le “comunità di lavoro” interregionali (Alpe Adria, Arge Alp, Cotrau, ecc.). Tra gli organismi di volontariato, si segnalano in particolare la Helsinki Citizens’ Assembly (HCA), Amnesty International, il Comitato di collegamento delle ong per la cooperazione allo sviluppo presso l’Unione Europea (sistema della Convenzione di Lomé).
5. Conclusioni
La norma “pace diritti umani” investe l’identità complessiva dell’ente locale. Anche per evitare che l’attuazione di questa norma si riduca e si esaurisca in mozioni e ordini del giorno – pur necessari, specialmente se tempestivi, puntuali e competenti –, occorre che l’ente locale si doti di un complesso organico di strutture specializzate (lo schema di cui sotto è, ovviamente, soltanto indicativo). Il primo passo da compiere è la costituzione di un Assessorato con delega pace diritti umani. Il titolare non è il ministro degli esteri dell’ente locale, ma un Assessore trasversale con forte sensibilità per le politiche educative e per l’azione del volontariato. La struttura è indispensabile, ma occorre la persona, con delega ad hoc, che si faccia carico di avviarla.
Un altro passo importante riguarda la regione di appartenenza. Occorre che anche questa si doti di un sistema organico di leggi e di strutture specializzate, a cominciare da una legge “per la promozione di una cultura di pace”.
La politica di pace dell’ente locale si riassume, indicativamente, nei seguenti impegni:
- operare per la promozione umana e per l’effettività del diritto internazionale dei diritti umani “dal quartiere all’ONU”;
- favorire l’esercizio del diritto-dovere dei singoli e dei gruppi in ordine alla realizzazione dei diritti umani “dal quartiere all’ONU”;
- favorire la comprensione, il dialogo e la solidarietà fra le persone e fra i gruppi che compongono la comunità locale;
- coltivare la democrazia in tutte le sue forme;
- favorire la cooperazione transnazionale per un nuovo ordine economico mondiale equo e solidale;
- operare per la democratizzazione delle Nazioni Unite;
- fare del proprio territorio una “terra di pace”, cioè una “terra sicura” (socialmente, economicamente, ecologicamente);
- operare per la riconversione dell’industria militari;
- operare per lo smantellamento delle basi militari che non siano finalizzate alle operazioni di pubblica sicurezza internazionale sotto autorità e comando ‘sopranazionale’ delle Nazioni Unite;
- far funzionare un “osservatorio dello sviluppo umano sostenibile”, col compito di quantificare e valutare periodicamente la qualità della vita (economica, sociale, politica, dell’ambiente naturale) sulla base degli indicatori utilizzati dai “Rapporti mondiali sullo sviluppo umano” delle Nazioni Unite.