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L'agonia delle grandi foreste

Testo e foto di Diana Crestan
Foto foresta
© Diana Crestan

Delle enormi e bellissime foreste primordiali ricche di biodiversità e caratterizzate da giganteschi alberi secolari, che popolavano il nostro mondo, rimangono purtroppo solamente cinque mega-foreste.

La più piccola tra queste ricopre interamente di alberi la Nuova Guinea, un'isola grande due volte la California. La superano l'estesa foresta equatoriale del Congo seguita subito dopo dalla foresta tropicale dell'Amazzonia. Le più grandi si trovano nell'emisfero nord. La vasta foresta boreale del Nord America che attraversa l'Alaska fino alla costa atlantica del Canada e la Taiga la foresta più grande in assoluto, contenuta quasi interamente in Russia, si estende dall'Oceano Pacifico fino all'estremo nord d'Europa. 

Oltre alle grandi foreste esistono i paesaggi forestali intatti o Ifl (dall'inglese Intact forest landscape). Fu un gruppo di scienziati e attivisti a creare questa nuova espressione, alla fine degli anni '90, per riconoscere le foreste che andavano assolutamente protette dal disboscamento industriale. Una foresta per potersi fregiare di questo titolo deve essere priva di strade, linee elettriche, miniere, città e industrie per almeno 500 chilometri quadrati. All'interno di questi paesaggi forestali intatti si possono trovare luoghi vitali privi di alberi come fiumi, laghi o paludi.

Le mega-foreste e gli Ifl sono essenziali al nostro pianeta, come lo è l'aria che ci permette di respirare, e il mondo diventerà per noi invivibile se non ci prendiamo cura della sua biologia e in special modo dei suoi boschi. Secondo l'IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, non c'è modo di limitare il riscaldamento globale senza invertire la deforestazione entro il 2030. Le piante hanno l'incredibile capacità, attraverso la fotosintesi, di trasformare l'anidride carbonica in biomassa. Per ben due volte, esse hanno svolto questo compito con estrema efficienza, cambiando le condizioni ambientali del pianeta. La prima volta, circa 400 milioni di anni fa, quando si espansero insieme ai funghi su tutto il pianeta, facendo crollare la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera. La seconda circa 225 milioni di anni fa, dopo che l'eruzione di numerosi vulcani della Siberia fece aumentare la CO2 riscaldando il pianeta e causando la scomparsa della maggior parte delle specie terrestri e marine. 

La Terra si riprese gradualmente e nuove specie si affacciarono alla vita. Poi 100 milioni di anni fa comparvero le angiosperme, piante che si riproducono per mezzo dei fiori e in breve tolsero alle conifere il dominio sul pianeta. La crescita delle piante fu esplosiva e assimilarono il carbonio atmosferico fino ai livelli attuali consentendo la vita al resto degli esseri viventi, uomo compreso.

L'agonia delle grandi foreste, 2 Diana Crestan

E ora in meno di un battito di ciglia le attività dell'uomo stanno riempiendo di carbonio cielo e oceani a una velocità impressionante. Quello che i vulcani del periodo Permiano hanno fatto in un milione di anni l'uomo lo sta facendo in poco più di duecento. Continuando a bruciare combustibili fossili rilasciamo nell'atmosfera tutta l'anidride carbonica che le piante avevano immagazzinato per millenni.

Attualmente ogni anno vengono abbattuti quasi quindici miliardi di alberi. Le foreste pluviali si sono ridotte della metà. Non stanno meglio le foreste boreali del nord che subiscono i devastanti effetti degli esplosivi usati nelle miniere delle aziende petrolifere, e durante le brevi estati bruciano a causa di incendi più frequenti che in passato. Le foreste tropicali devono fare i conti con il disboscamento e con la costruzione di strade che portano facilmente i cacciatori e le industrie in luoghi altrimenti inaccessibili. 

La prima causa di questa deforestazione globale è l'allevamento di bovini per la carne. Il solo Brasile dedica 170 milioni di ettari del suo suolo per il bestiame. Segue la produzione di soia per la quale vengono sfruttati 131 milioni di ettari, soprattutto in Sud America, e il 70 per cento di essa viene utilizzata per l'alimentazione del bestiame da carne. Al terzo posto con 21 milioni di ettari ci sono le piantagioni delle palme da olio del sud-est asiatico. In poco più di quindici anni sono andati perduti il 10 per cento dei paesaggi forestali intatti dei quali, se escludiamo la Russia e la Scandinavia settentrionale, l'Europa ne è completamente priva. 

Il vecchio continente, una volta interamente ricoperto da foreste, ha perduto nel corso dei secoli circa il 50 per cento dei suoi boschi, iniziando il suo declino con la crescita dell'Impero Romano. In sud America, dopo l'arrivo dei portoghesi, la foresta naturale di 130 milioni di ettari venne progressivamente deforestata per il commercio di zucchero, cacao, bovini, carbone e altri minerali e oggi dopo 500 anni ne rimane solo l'8 per cento. Non è andata meglio alla foresta del Nord America che a metà Ottocento perse il 70 per cento dei suoi alberi, in appena cinquant’anni 500 000 metri quadrati di foresta vennero tagliati, vale a dire tutti gli alberi contenuti in Illinois, Michigan, Ohio e Wisconsin.

Le mega-foreste già importantissime per il ruolo che svolgono, immagazzinando l'anidride carbonica e raffreddando la Terra, sono anche le custodi di una biodiversità essenziale a cui siamo tutti connessi e che non è possibile riconquistare semplicemente riforestando. Animali e piante nell'apparente caos di una foresta primitiva hanno relazioni molto strette, fortemente interconnesse e basta veramente poco per alterare l'equilibrio delicato della comunità. Una nuova foresta, dopo vent'anni, ancora non è in grado di ricreare le condizioni biologiche di una foresta primordiale, sono boschi poveri e privi della stessa capacità di assorbimento del carbonio di quelle antiche. 

L'agonia delle grandi foreste, Diana Crestan 3

Le mega-foreste meritano di essere protette, proteggerle costa meno che riforestare e il primo passo da fare è evitare di costruire strade. Un ecologo americano, Aldo Leopold, appena assunto dal Servizio Forestale Statunitense, si accorse che a causa delle strade, dei pascoli e dell'eradicazione dei lupi e di conseguenza a un aumento spropositato dei cervidi, l'ambiente naturale si stava deteriorando. Interi versanti collinari scendevano a valle interrompendo il flusso naturale dei corsi d'acqua e causando l'estinzione della trota nativa e aree una volta ricoperte di rigogliosi pini erano prese d'assalto dagli arbusti, conseguenza del disboscamento. Così nel 1924 istituì la prima foresta selvatica americana in New Mexico, priva di strade. Seguendo il suo esempio ne nacquero altre e nel 2001 il Servizio Forestale americano ha posto sotto protezione 24 milioni di ettari di foresta ancora prive di strade, nell'Alaska sud orientale, vietando la costruzione di nuove vie. Si era compreso che il modo più semplice e affidabile di proteggere le foreste è tenere lontano da esse le strade. Più integra è una foresta, maggiore è la sua capacità di assorbire il carbonio.

Incrementare la creazione di zone protette è uno strumento certamente utile per proteggere l'ambiente. Fino al 1990 solo il 4 per cento del pianeta era tutelato, ora dopo trenta anni siamo arrivati al 17 per cento e la maggior parte delle nazioni sta lavorando per arrivare al 30 per cento di zone protette entro il 2030. Significativi i provvedimenti presi dai governi del bacino del Congo e dell'Amazzonia che hanno posto sotto protezione decine di milioni di ettari di mega-foreste.

Anche aumentare il sostegno ai popoli che da millenni la abitano è una buona strategia di salvaguardia. Essi devono agli alberi la loro cultura e spiritualità, nessuno conosce la foresta e le piante meglio di loro. Il Brasile, la Colombia e ora anche il Canada riconoscono i diritti ai popoli indigeni sulle loro terre ancestrali, rafforzare questa corrente è un modo pratico ed etico di salvare le foreste, essi sanno come prendersene cura.

I parchi, gli indigeni, l'assenza di strade, il recupero delle foreste, sono tutte azioni utili con le quali le nazioni potranno riuscire a consegnare alle generazioni successive un mondo ancora con delle foreste. Questo compito spetta soprattutto ai funzionari pubblici e ai governi, ma anche le azioni individuali di ognuno di noi possono dare un contributo; come a esempio consumare meno energia, mangiare meno carne bovina e acquistare da fonti sostenibili. 

Possiamo ancora cambiare direzione e ritrovare l'armonia con la natura, serve solo la volontà. I prossimi decenni saranno fondamentali per ripristinare l'Eden perduto dell'unico pianeta abitabile che conosciamo; la Terra, che è la casa di tutti gli esseri viventi.

L'agonia delle grandi foreste, Diana Crestan 3

Bibliografia 

John Reid e Thomas Lovejoy, Sempre verdi, Einaudi edizioni

David Attenborough, La vita sul nostro pianeta, Mondadori libri

Collegamenti

Parole chiave

ambiente persone/popoli indigeni biodiversità deforestazione