Nazioni Unite / ONU

Perché e come l’ONU a Gerusalemme

per «Nigrizia», giugno 2003)
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

La guerra in Iraq c’è stata e non è finita, nonostante i proclami del Presidente della potenza occupante. L’Organizzazione delle Nazioni Unite non è riuscita ad impedirla, ma non si è neppure piegata alle pressioni di chi voleva carpirle una Risoluzione che avallasse l’uso illegittimo della forza. La resistenza dell’ONU alla legge del più forte testimonia che il Diritto esiste, anche se violato, e che occorre irrobustirne le difese. I paesi che all’interno del Consiglio di sicurezza si sono schierati per la legalità internazionale hanno ora l’obbligo morale e politico di impegnarsi per primi per “potenziare e democratizzare le Nazioni Unite”, dunque di avviarne senza indugi la riforma. 

Insisto sull’idea di trasferire la sede centrale delle Nazioni Unite da New York e vi aggiungo un’ulteriore proposta di carattere per così dire procedurale, cioè su come condurre il lavoro di riforma dell’ONU. 

Perché trasferire la sede da New York? L’amministrazione Usa non ha nella sua strategia di ordine mondiale, né per il breve né per il lungo periodo, la centralità delle Nazioni Unite, che sta invece a cuore a tanti altri stati e alle formazioni di società civile globale: il suo orizzonte è quello di uno spazio mondiale senza lacci e lacciuoli per il più forte, insomma de-regulation istituzionale a tutto campo. La presenza di migliaia di persone quotidianamente impegnate in una miriade di riunioni dentro e fuori il Palazzo di Vetro, porta ricchezza a New York. Perché premiare anche con questo valore aggiunto il non esemplare comportamento della super-potenza? Per procedere al delicato lavoro della riforma, occorrono tranquillità, indipendenza e, auspicabilmente, simpatia e incoraggiamento nel territorio in cui fisicamente si procede. New York non dà queste garanzie, non offre un’atmosfera rasserenante. Il trasferimento di sede non è un’operazione indolore. Tra l’altro, costa dal punto di vista logistico e comporterebbe, con ogni probabilità, una riduzione del personale. Ma il necessario sfoltimento del pletorico funzionariato internazionale annidato nel Palazzo di Vetro costituirebbe già di per sé un salutare aspetto della riforma all’insegna della razionalizzazione organizzativa. 

Il trasferimento dovrebbe comunque avvenire per gradi. E per le spese, penso che non ci sarebbero grandi problemi: potrebbe addirittura pensarsi ad una “colletta” su scala mondiale. Ci sono già interessanti provocazioni di società civile anche a questo riguardo. L’amministrazione Usa potrebbe prenderla male, al limite potrebbe ritirarsi dall’ONU come fece anni fa con l’UNESCO. Ma teorizzare e praticare la “guerra preventiva”, con l’intenzione di calpestare continuativamente la Carta delle Nazioni Unite e buttare all’aria la civiltà del diritto dei diritti umani, non è forse peggio? Perché non adottare una adeguata misura di “correzione fraterna” nei confronti dei consanguinei d’oltre oceano? 

Perché a Gerusalemme? Perché lì si pone il problema della pace e dell’ordine mondiale per l’intero pianeta, perché in quella terra è divenuto cronico un conflitto con quotidiana, efferata effusione di sangue innocente, perché la sua soluzione è divenuta una sfida per la buona volontà di tutti, perché il conflitto si intreccia di motivi politici e religiosi, perché Gerusalemme è carica di simboli di altissima etica umana e religiosa, a cominciare da quello della discendenza comune e quindi della reale fratellanza dei figli di Abramo, perché dalle tre grandi religioni monoteistiche sono scaturite grandi culture che si sono fecondate reciprocamente nel corso dei secoli, perché c’è oggi bisogno, nel mondo globalizzato al positivo e al negativo, di trovare radici di ampio respiro spirituale per il dialogo interculturale. 

La pace a Gerusalemme, con il Segretariato Generale dell’ONU fisicamente là, a sigillo di questa pace, è un forte segnale di armonizzazione e ricapitolazione delle culture nel segno dell’umano universale. La presenza dell’ONU in quella Città significa attirarvi l’insediamento delle delegazioni permanenti di duecento stati, gli uffici di rappresentanza delle principali organizzazioni internazionali, le sedi di una miriade di organizzazioni non governative e di altre entità: a Gerusalemme insomma si installerebbe in via permanente il presidio operoso e pacificatore della Comunità internazionale, nelle sue componenti sia governative sia di società civile. Sarebbe superato, una volta per tutte, l’attuale arduo problema di una forza di interposizione fra israeliani e palestinesi. L’ONU a Gerusalemme porta sicurezza ai due popoli e ai due stati, ai quali la sovranità non verrebbe sottratta, ma stabilmente garantita. Non ci sarebbe quindi bisogno di un formale “status giuridico internazionale” per Gerusalemme, un obiettivo su cui mi pare tuttora difficile trovare l’accordo dei più diretti interessati. La internazionalizzazione, anzi la universalizzazione reale di Gerusalemme, risulterebbe come un dato di fatto. Senza trascurare l’aspetto economico. La presenza di un folto personale diplomatico e di funzionari internazionali porta ricchezza, sia per quanto sarebbe quotidianamente speso sia per l’indotto in termini di infrastrutture. 

Per l’ONU, essere a Gerusalemme significa alimentare i propri ideali attraverso la quotidiana consonanza con messaggi culturali e spirituali di altissimo rilievo per la pace e lo sviluppo umano e favorisce il costante allenamento in una palestra esemplare di diplomazia preventiva e di peace-building. 

Per Gerusalemme, avere la sede dell’ONU in casa propria comporta l’onore e la responsabilità politica, non più soltanto biblica, di fiaccola sopra il monte, di capitale della pace mondiale. 

Cosa fare per compiere questo arduo passo? Occorre la volontà politica di quanti più stati è possibile. Ma intanto, vale la pena di mettere in cantiere l’idea e lasciar crescere attorno ad essa un movimento di opinione pubblica a raggio planetario. L’idea va politicamente e istituzionalmente maturata, per la decisione finale, nel più ampio cantiere per la riforma delle Nazioni Unite. 

Perché questo si avvii e lavori efficacemente e democraticamente, ho sommessamente proposto, durante il seminario organizzato dalla Tavola della Pace in occasione di “Civitas 2003” a Padova, che venga istituita, su decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, una “Convenzione universale” per il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite, in analogia a quanto sta avvenendo con la “Convenzione europea” sul futuro dell’Europa. 

La “Convenzione” delle Nazioni Unite dovrebbe essere composta di rappresentanti degli stati per “gruppi” geografici, rappresentanti delle Organizzazioni internazionali regionali (Unione Africana, Unione Europea, Organizzazione degli Stati Americana, Associazione degli Stati del Sud-Est Asiatico), rappresentanti di società civile globale (ONG con status consultivo alle Nazioni Unite), rappresentanti dei parlamenti nazionali attarverso l’Unione Interparlamentare Mondiale, rappresentanti delle istituzioni di governo locale attraverso l’Unione Internazionale delle Autorità Locali. Come sta accadendo per la “Convenzione europea”, anche per la “Convenzione universale” è dato prevedere che si innescherebbe un fervido dinamismo di proposte e contributi da parte di ONG, centri di studio, entità religiose e culturali, immesse via internet nel sito appositamente creato dal Segretario Generale. Il “progetto” di riforma elaborato dalla Convenzione passerebbe successivamente all’Assemblea Generale, la quale agirebbe secondo quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite per la procedura di revisione della medesima. Anche a questo riguardo c’è analogia col procedimento della Convenzione europea. 

La sede dell’ONU a Gerusalemme e la messa in opera della “Convenzione universale” sull’ordine mondiale potrebbero essere tra quelli che alimentano, con contenuti di ‘agenda politica’, la professione di pace di tante persone e famiglie che continuano (molto opportunamente) ad esporre le bandiere arcobaleno alle finestre delle proprie case.

Parole chiave

Nazioni Unite / ONU governance Israele

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