Precondizioni per l’esercizio della giurisdizione e sua attivazione
L’articolo 12 dello Statuto di Roma enuncia le precondizioni per l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte penale internazionale. Ai sensi di tale disposizione, la CPI può attivare la propria giurisdizione solamente nel caso in cui un presunto crimine di sua competenza sia stato commesso nel territorio o da un cittadino di uno Stato parte.
Tali restrizioni allo “jurisdictional reach” della Corte conoscono tuttavia due eccezioni: la prima, prevista all’art. 12(3), prevede la possibilità per uno Stato non parte di accettare con apposita dichiarazione la competenza della Corte (si pensi al caso ucraino); la seconda, relativa ai meccanismi di attivazione della Corte descritti all’art. 13, prevede la possibilità per il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite di deferire alla Corte, ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU, una situazione nella quale appaiono essere stati commessi uno o più crimini di cui all’art. 5 anche in assenza di qualunque altra connessione tra lo Stato in questione e la Corte (Sudan e Libia ricadono in questa casistica).
Quest’ultima possibilità, che in teoria rende la giurisdizione della Corte penale internazionale universale “in potenza”, è tuttavia controbilanciata da un’altra disposizione che assegna al Consiglio di Sicurezza, sempre sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il potere di sospendere per dodici mesi, rinnovabili, qualsiasi indagine o procedimento attivati dalla Corte (art. 15 dello Statuto).
Inoltre, a partire dal 17 luglio 2018, una situazione in cui sembrerebbe essersi verificato un atto di aggressione potrebbe essere deferita alla Corte dal Consiglio di sicurezza, che agisce ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, indipendentemente dal fatto che coinvolga Stati membri o non membri. In assenza di un deferimento da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di un atto di aggressione, il Procuratore può avviare un'indagine di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato parte. Il Procuratore deve innanzitutto verificare se il Consiglio di sicurezza ha accertato un atto di aggressione commesso dallo Stato interessato. Se tale accertamento non è stato effettuato entro sei mesi dalla data di notifica della situazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da parte del Procuratore, quest'ultimo può comunque procedere con le indagini, a condizione che la Divisione preliminare abbia autorizzato l'inizio delle indagini. Inoltre, in queste circostanze, la Corte non eserciterà la sua giurisdizione su un crimine di aggressione se commesso da un cittadino o sul territorio di uno Stato parte che non ha ratificato o accettato questi emendamenti.
Affianco alla sopra citata facoltà del Consiglio di Sicurezza di porre una situazione all’attenzione della Corte, altri meccanismi di attivazione della Corte penale internazionale includono il deferimento ad opera di uno Stato parte (self-referral) e l’iniziativa proprio motu del Procuratore.
Nel caso in cui sia il Procuratore, di propria iniziativa, a voler procedere con l’apertura dell’indagine, esso presenta una richiesta di autorizzazione alla Camera preliminare (art. 15). Nel decidere se aprire un’indagine, il Procuratore deve valutare se vi siano basi ragionevoli per un’azione penale ovvero se le informazioni in suo possesso indicano la commissione di un crimine rientrante nella giurisdizione della Corte; se il caso è ammissibile secondo i principi di complementarità e gravità; e se procedere con l’indagine risponde agli interessi della giustizia. Sinora, ciò è avvenuto per Kenya, Costa d'Avorio, Georgia, Burundi, Afghanistan, Bangladesh/Myanmar e Filippine.
Nell’ipotesi, infine, che sia uno Stato parte a riferire una situazione al Procuratore, sia questa riferita a presunti crimini commessi nel proprio territorio o nel territorio di un altro Stato parte, spetta al Procuratore della Corte decidere se attivare o meno un’indagine. Sino ad oggi, hanno deferito la situazione del proprio territorio Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Mali, Palestina, Venezuela e Ucraina.