Questioni di ammissibilità: complementarità e gravità
La Corte penale internazionale è chiamata ad affiancare, e non a sostituire, i sistemi giudiziari nazionali. Elemento essenziale nella dinamica delle relazioni tra la Corte e le giurisdizioni nazionali è il principio di complementarità che assegna agli Stati la responsabilità primaria di perseguire i presunti responsabili dei più gravi crimini internazionali e lascia alla Corte penale internazionale il compito di attivarsi solamente a) nei casi di inattività da parte delle autorità statali; b) nell’eventualità in cui i procedimenti attivati a livello domestico manifestino un’incapacità o una mancanza di volontà da parte dello Stato di svolgere veramente (genuinely) l’azione penale (articolo 17).
Con riferimento al difetto di volontà (unwillingness), l’art. 17(2) dello Statuto di Roma individua tre particolari situazioni. La prima richiede alla Corte di verificare se il procedimento è o è stato intrapreso, ovvero la decisione dello Stato di iniziare un procedimento è stata adottata, nell’intento di proteggere la persona interessata dalla responsabilità penale per i crimini rientranti nella giurisdizione della Corte indicati dall’art. 5. La seconda, di stabilire se vi è stato un ingiustificato ritardo nella procedura che, date le circostanze, è incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia. La terza, di accertare se il procedimento non è o non è stato condotto in modo indipendente o imparziale, ed è stato o è condotto in modo tale da essere, date le circostanze, incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.
Pur tentando di ridurre il più possibile gli elementi di soggettività nella valutazione relativa al difetto di mancanza di volontà, non si può non riconoscere come, da una lettura dell’art. 17(2), una tale determinazione si risolva nel valutare la buona fede delle autorità nazionali coinvolte nella conduzione di indagini o procedimenti. Questo aspetto è particolarmente evidente nella prima delle situazioni elencate nell’art. 17(2) quando la Corte, al di là della mera apparenza, è chiamata a sondare le intenzioni dello Stato rispetto alla sua reale volontà di procedere “genuinely” nei confronti di un determinato individuo.
Per quanto concerne il difetto di capacità (inability), lo Statuto di Roma individua tre concetti (“totale collasso”; “sostanziale collasso” e “indisponibilità” dell’apparato giudiziario) e tre specifiche situazioni che, se risultanti da uno dei precedenti scenari, potrebbero rendere un caso ammissibile di fronte alla Corte penale internazionale: a) l’incapacità dello Stato di ottenere la custodia dell’imputato; b) l’incapacità di procurare le prove e le testimonianze necessarie al fine di condurre il procedimento instaurato; c) l’incapacità di condurre in qualunque altro modo il procedimento instaurato.
Accanto al principio di complementarità, il test per valutare l’ammissibilità di un caso si compone di un altro elemento fondamentale ovvero il requisito della gravità. Quest’ultimo, in alcuna disposizione dello Statuto di Roma definito, prevede che un caso sia dichiarato inammissibile qualora esso non fosse sufficientemente grave da giustificare un’ulteriore azione da parte della Corte.
Da non confondere con l’elemento costitutivo dei crimini oggetto della giurisdizione della Corte, la gravità costituisce un ulteriore requisito atto a ‘filtrare’ situazioni e/o casi sui quali la Corte avrebbe competenza, nonché a guidare il Procuratore nella selezione delle situazioni da indagare e, all’interno di ciascuna situazione, dei casi da perseguire. Tra i fattori rilevanti al fine di determinare la gravità di un caso, l’Ufficio del Procuratore ha individuato: a) la scala dei crimini; b) la natura dei crimini; c) le modalità di commissione; d) l’impatto dei crimini.