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Prove di addomesticamento tra gatti, le amicizie del piccolo Principe e la legge n. 219.2017. Spunti di riflessione sulle relazioni professionali di cura e fiducia.

Prove di addomesticamento tra gatti, le amicizie del piccolo Principe e la legge n. 219.2017. Spunti di riflessione sulle relazioni professionali di cura e fiducia.
© Evgeniya Ivchenko / Unsplash

Un amico mi ha girato su WhatsApp un video. Si vede un gattino, impaurito e agitato, che, all’interno di un rifugio protetto, si difende attaccando un altro gatto. Questo fa vari tentativi di avvicinamento: le sue mosse sono caratterizzate da calma e delicatezza; più volte strizza gli occhi e si ritrae per schivare le unghiate del gattino, ma, dopo un po’ di tempo, si sdraia, sereno, accanto al primo. Anche il gattino, nel frattempo, si tranquillizza e si avvicina; infine, si distende vicino, rasserenato, accanto al gatto. I due corpi si toccano e generano calore: il gattino guarda davanti a sé, il gatto volge il capo, con premura, verso il piccolo. La rubrica recita così: “Gattina salvata, maltrattata dai precedenti proprietari; la mamma adottiva sa esattamente come guadagnarsi la sua fiducia”. Non si sa quanto tempo trascorre, ma è certo che dalla scena iniziale a quella finale è trascorso un po’ più del minuto di durata del video: tutto il tempo necessario – e le protagoniste di scena non mostrano alcuna fretta – per “guadagnare”, o forse meglio “stabilire”, una fiducia reciproca. Mi sembra che il bucolico quadretto offerto da chi ha sapientemente utilizzato i nostri supporti tecnologici, e che molto ha a che fare con l’ “addomesticamento”, possa dare degli spunti interessanti per una riflessione sulle relazioni di cura e fiducia tra umani. 

Ne escono, infatti, indicazioni su stile e metodo delle relazioni che possono applicarsi tranquillamente all’ambito delle relazioni umane. Si pensi alla relazione tra genitori e prole: il caso dell’adozione di una persona minore “in stato di abbandono” è senz’altro quello che più si avvicina alla nostra storia (soprattutto nel caso in cui la persona abbia subito maltrattamenti), ma potrebbe anche accadere che uno dei genitori muoia e si debba superare insieme un lutto o che, magari, un genitore biologico si riavvicini al figlio dopo un abbandono da parte dell’altro o, ancora, che una figlia si allontani dalla propria famiglia e finisca in situazioni di grave disagio e difficoltà e che ai genitori sia data la possibilità di riavvicinarsi. Un’altra diversa ipotesi, forse più “sfidante” rispetto alle asimmetrie cui siamo oggi abituati nei rapporti di cura nel contesto della filiazione, è quella di chi si trovi ad accudire il proprio genitore in una sopraggiunta condizione di “non autosufficienza”. 

Il modello fornito può forse funzionare anche in altri tipi di relazioni di cura in condizioni di prossimità. In termini giuridici si parla, talvolta, di “protettori naturali”, o “di fatto” per le ipotesi in cui una persona, indipendentemente da obblighi giuridici e per spirito di solidarietà, accetti di prendersi cura di un’altra che si trova in una situazione di grave difficoltà. Per ragionare su questo versante possiamo forse spostare lo sguardo dalla relazione tra i due nostri amici gatti alle relazioni che si instaurano tra un altro amico di molte “grandes personnes”, il Piccolo principe, ed i protagonisti del noto “libro per bambini”: non solo la volpe, ma anche lo stesso aviatore, e, prima, la rosa, ed, anche, in fondo, nel ritorno attraverso il serpente; tutte relazioni caratterizzate dallo stato di precarietà e particolare vulnerabilità in cui si trovano uno o entrambi i protagonisti. 

Nelle diverse situazioni di vulnerabilità osservate emerge con chiarezza cosa significhi, o possa significare, “cura e fiducia”. Cura e fiducia autentica possono sorgere solo se vi è accettazione delle fatiche, dei tempi, dei bisogni e delle richieste anche bizzarre dell’altro o dell’altra; si tratta, inoltre, di dimensioni che sono, o divengono, nel corso del rapporto, reciproche: se è vero che c’è un soggetto che esprime un bisogno ed un altro che offre il suo apporto per rispondervi, se il rapporto si instaura e funziona in modo adeguato, le fatiche della relazione, ma anche i “benefici”, riguardano, infatti, entrambi.

Questo modello “benefico” di relazioni umane può applicarsi anche alle relazioni professionali? 

È evidente che ci sono delle differenze, che vanno considerate. 

Il professionista cui si rivolge una persona che richiede cura ha degli obblighi professionali che nascono dal mandato sociale al quale si ricollega il riconoscimento della propria attività di cura: dalle professioni sociali, nelle quali la relazione di cura è, forse, più scontata1 alle professioni sanitarie e sociosanitarie, oggi profondamente ampliate e riordinate a seguito della legge (c.d. Lorenzin) n. 3/2018 – che include, per inciso, tra le professioni sanitarie anche la psicologia. 

Si tratta, inoltre, di una relazione caratterizzata da una particolare asimmetria informativa. L’asimmetria non riguarda, a dire il vero, solo le competenze professionali di chi si propone di dare aiuto rispetto alle possibilità offerte dalla propria disciplina (possibilità offerte dai servizi sociali, piuttosto che dalla medicina, dall’assistenza infermieristica, dalla psicologia, dalla fisioterapia, ecc.), ma anche le competenze/conoscenze che la persona bisognosa di aiuto ha su di sé (valori perseguiti, concezione personale del mondo e aspettative rispetto alla propria vita ed al supporto professionale, condizione personale di sofferenza, contesto familiare e di prossimità, ecc.). 

Questo può portare, talvolta, ad intendere la relazione professionale in termini più riduzionistici, schiacciati sulla prestazione, e a dimenticare il più ampio fine “assistenziale” della stessa. Il fine resta, infatti, la “cura” della persona e la relazione si deve basare su un accordo fondato su rispetto e fiducia reciproci, da guadagnare, costruire e confermare nel tempo e secondo i tempi della relazione. 

Se la “deriva prestazionistica” è possibile ed è in parte giustificata dall’organizzazione dei servizi di cura (in particolare, del SSN, ma non solo), nonché da alcuni strumenti normativi che tendono ad appiattire la relazione rispetto ai “livelli essenziali di prestazioni”, livelli intesi, talvolta, come “minimali”, si tratta, per l’appunto, di una deriva non auspicabile, né normativamente fondata2

Vorrei qui solo accennare a due aspetti normativi, che meritano di essere meditati ed approfonditi e che propongo perché attengono alla dimensione sanitaria, quella in cui, talvolta, nell’attuale stato di fatica del c.d. welfare State, è più difficile non solo la realizzazione, ma pure l’aspettativa di adeguate relazioni di cura e di fiducia da parte degli stessi attori principali: chi offre e chi richiede cure (per sé o per una persona cara).

Il primo riferimento lo traggo da una sentenza del Consiglio di Stato (la n. 4460/2014), famosa perché si è pronunciata sul noto caso Englaro3, alcuni anni dopo la morte di Eluana. 

Si tratta di un provvedimento importante perché nasce da una vicenda giuridica che ha impegnato non solo la protagonista ed i genitori, ed in primis il padre-tutore, che si faceva interprete dei bisogni, desideri ed aspirazioni della figlia, ed esercitava “poteri” (e “doveri”) di cura”4, ma anche la magistratura, la comunità scientifica e tutti coloro che hanno partecipato alla costruzione del “dibattito pubblico”; per questo motivo, la giurisprudenza su questa ed altre sofferte vicende, umane e giudiziarie, ha condizionato fortemente anche l’attuale evoluzione normativa. 

I giudici offrono una definizione di “prestazione sanitaria”, adeguata ad un «moderno diritto amministrativo prestazionale», da intendersi come una «prestazione positiva complessa che va dall’accoglimento del malato alla comprensione delle sue esigenze e dei suoi bisogni, dall’ascolto delle sue richieste alla diagnosi del male, dall’incontro medico/paziente all’elaborazione di una strategia terapeutica condivisa, alla formazione del consenso informato all’attuazione delle cure previste e volute, nella ricerca di un percorso anzitutto esistenziale prima ancor che curativo, all’interno della struttura sanitaria, che abbia nella dimensione identitaria del malato, nella sua persona e nel perseguimento del suo benessere psico-fisico, il suo fulcro e il suo fine»5. Come si vede, non è un modello distante da quello richiamato all’inizio di questa riflessione. 

È un modello che è stato fatto proprio da una legge dello Stato, di poco successiva, la l. 22 dicembre 2007, n. 2017, che si intitola “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” e che costituisce il secondo riferimento normativo che vorrei qui proporre. Ne riporto solo la lettera, riservandomi di tornare a ragionare su alcuni aspetti in successivi approfondimenti6

Nell’art. 1 di questa legge si stabilisce: 

  • al comma 2°: “È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'equipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo”;
  • al comma 5°: “[…] Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. […]”. 
  • al comma 6°: “Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”. 

Sembrano indicazioni preziose per definire il campo della relazione di cura e per ricordare quali sono i fuochi dell’”universo” in cui si incontrano chi chiede e chi offre cura, e in cosa consista il rispetto reciproco. 

Sono essenziali anche i commi 8°-10° dello stesso articolo perché attengono alla dimensione organizzativa in cui una relazione di cura e fiducia di tal fatta è possibile: 

  • “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.” 

Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l'informazione necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale. 

La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative”.
Mi pare emerga ancora una volta un orizzonte relazionale di riferimento non dissimile da quello descritto in apertura. 

Una breve, amara, considerazione finale. Si tratta di legge dello Stato, cioè di obiettivi che abbiamo scelto di darci come società, forse anche perché, come emerge dai lavori parlamentari e come è più semplicemente testimoniato dagli esempi da cui è partita questa riflessione, si è ritenuto sensato e “buono” orientare in questo modo relazioni professionali che servono a promuovere la salute (uno stato di benessere fisico, psichico e sociale) delle persone. Il linguaggio giuridico si caratterizza per essere prescrittivo, anche se è sempre più spesso inteso nella prassi come esortativo. E se il diritto non riesce a “fare cose con le parole” è un problema di cui dovremmo farci carico tutte e tutti, in quanto destinatari delle norme e perciò coinvolti, tanto nella dimensione pubblica quanto in quella privata, nella loro attuazione.


[1] Si veda, ad esempio, il Codice deontologico dell’assistente sociale del 2023./See, for instance, the 2023 Code of Ethics for Social Workers.

[2] V. sul punto ad esempio A. Pioggia, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino: Giappichelli, 2020, p. 58 s./ See, for instance, A. Pioggia, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Turin: Giappichelli, 3rd ed., 2020, pp. 58 ff.

[3] Sul caso giudiziario v. la sintesi contenuta in https://www.associazionelucacoscioni.it/caso-giudiziario-eluana-englaro. / See, for example, the summary of the judicial case at the website of Associazione Luca Coscioni concerning Eluana Englaro https://www.associazionelucacoscioni.it/caso-giudiziario-eluana-englaro

[4] V. Cass., 16.10.2007, n. 21748, punto 7.2, in https://www.altalex.com/documents/news/2009/02/12/diritto-di-autodeterminazione-del-malato-sospendibili-anche-le-cure-vitali./ See Cassation Court, 16 October 2007, No. 21748, para. 7.2, as reported in Altalex on the patient’s right to self-determination and suspension of life-sustaining treatment https://www.altalex.com/documents/news/2009/02/12/diritto-di-autodeterminazione-del-malato-sospendibili-anche-le-cure-vitali

[5] Consiglio di Stato, 2 settembre 2014, n. 4460, punto 57.5 (corsivi aggiunti), in https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Giurisprudenza/Consiglio-di-Stato-sent.-04460-2014-illegittimita-della-decisione-della-Regione-Lombardia-sul-caso-Englaro./See Council of State, 2 September 2014, No. 4460, para. 57.5 (italics added), available at https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Giurisprudenza/Consiglio-di-Stato-sent.-04460-2014-illegittimita-della-decisione-della-Regione-Lombardia-sul-caso-Englaro 

[6] Chi volesse approfondire può partire da AA.VV., nel Forum “La legge n.219 del 2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, in Rivista di Biodiritto-Biolaw, fasc. 1/2018, pp. 1-104 ed eventualmente vedere anche M. Piccinni, L. Busatta, L. Orsi, M. Tomasi, V. Zagonel, La pianificazione condivisa delle cure: per un diritto e una medicina gentili, in Rivista di Biodiritto-Biolaw, fasc. spec. 1/2025, pp. 1-366./Those wishing to explore the topic further may start with AA.VV., in the Forum ‘Law No. 219 of 2017 on informed consent and advance healthcare directives’, Rivista di Biodiritto–Biolaw, no. 1/2018, pp. 1–104. They may also refer to M. Piccinni, L. Busatta, L. Orsi, M. Tomasi, V. Zagonel, Shared care planning: towards a gentle law and medicine, Rivista di Biodiritto–Biolaw, special issue no. 1/2025, pp. 1–366.

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